Personaggi Popolari

Zu Francischi u ciaravulari

Di Giulio Iudicissa

 

V’è a Corigliano una nobile tradizione di medici illustri, che si distinguono nell'esercizio della professione e trovano accoglienza ed ascolto nelle dotte accademie. Le patrie storie conservano d'essi la memoria, a partire dal diciassettesimo secolo, e narrano gli studi compiuti e le mirabili tecniche approntate. Orazio Lumbisano, Ettore Capalbo, Giovanni Battista Capuccio, Francesco Capalbo, Domenico De Tommasi, Tommaso Bomparola sono i primi, per secolo, e forse, restano i più appariscenti per dottrina. Questi, però, poco o nulla giovano al popolo, per l'infamia dei tempi soprattutto, che non consentono al plebeo di accedere al medico insigne. Cosicché l'artigiano e il contadino, per povertà congiunta al pregiudizio, ricorrono, nel caso d'infermità, alla medicina popolare, più comprensibile e sempre a buon mercato. Comari ed erboristi, segretisti e ciaravulari detengono così il monopolio della sanità, risultando raggiungibili e potendo essere remunerati con poco ed anche in natura. Il folclore trabocca di queste figure, che puntualmente rispuntano in ogni epoca, perlopiù con gli stessi rimedi e rituali, che si tramandano da una generazione all'altra. All'interno di tal variegato mondo di medici pratici coriglianesi, comunque denominati, primeggia, per una nota di originalità, la figura del ciaravuleri, e non perché questa appartenga esclusivamente al popolo di Corigiiano, ma perché, pur rintracciabile nel folclore calabrese in genere, solo a Corigliano acquista una connotazione, che in nessun altro sito si riscontra. Alla conclusione siamo pervenuti comparando antichi costumi calabresi ed il racconto di alcuni vecchi coriglianesi che videro e, perciò possono riferire. Dai primi, dunque, si desume che i ciaravulari sono girovaghi e prezzolati, in genere impostori, e sedicenti guaritori di mille ed ostinate malattie. Un quadro d'insieme più che negativo. Ed a ragione. S'aggirono costoro nei loro paesi, spesso si portano nei borghi vicini, recando con se una cassetta contenente vipere, le quali, poi, serviranno ad incuriosire la povera gente, prima d'essere, a volte, vendute ai farmacisti del posto. Laddove il loro intervento è richiesto, perlopiù dinanzi a malattie gravi o strane, essi, dietro compenso, non esitano a promettere la guarigione, a mezzi di riti singolari, con preghiere e  formule magiche, intervallate da finte convulsioni. Volgari imbroglioni, come si vede, e come, d'altra parte, vorrebbe dire lo stesso nome di ciaravuiari, che portano. Tutt'altra cosa è "zu Francischi u ciaravuleri", al secolo Francesco Marino, nato a Corigliano il 25.5.1867 ed ivi deceduto all'età di 83 anni, il 18.8.1950, per "marasma senile e collasso cardiaco". Onesto contadino e laborioso, coltiva un piccolo podere, appena fuori il paese, ereditato dal padre Giuseppe, insieme all'arcano potere di guarire il malcapitato che sia stato morso da una vipera. Che qualcuno ha bisogno di lui, glielo preannuncia un sibilo, impercettibile agli altri, segnale che deve lasciare il lavoro e tornare a casa, in Via S. Francesco N° 51, ove arriva, spesso, prima ancora dello sfortunato, che, in preda a dolori e febbre, fatto sdraiare su di un lettino, viene curato con impacchi d'erba, per tre giorni e tre notti,  durante i quali starà digiuno e sveglio col concorso di parenti ed amici, che fanno fragore con tamburelli e chitarre e canti religiosi e popolari. U ciaravuleri, intanto, discretamente coordina il tutto, rinnovando gli impacchi sulla ferita e recitando le sue rituali preghiere e formule. Vinto alla fine il veleno, "zu Francischi" non chiede compenso, che ci sarà, comunque, ma in natura e più come segno di gratitudine che come corrispettivo d'una prestazione. Non vive, dunque, di quest'arte il nostro guaritore, né, girovago ed impostore come gli altri, spaccia rimedi pei tutti i malanni, lucrando sulle altrui sventure. Nulla da spartire, perciò, con i tanti ciaravulari che s'aggirano, fino ai primi decenni del Novecento, in Calabria e fuori. Figura strana, se si vuole, il nostro, ma per nulla esuberante, né guaritore a tutto campo, ma solo dotato della virtù di curare le ferite delle persone morse dalle vipere; provveduto d'una sua moralità e consapevole quasi d'una missione, ricevuta dal padre e che i figli, sei, non si sentiranno di continuare. Se un rapporto proprio si vuoi vedere, forse si potrebbe con l'austero Serparo della "Fiaccola sotto il moggio" del D'Annunzio, che "nulla vuole. Non dimanda sorso d'acqua, né boccon di pane. Non fa soste alle soglie, poco parla, ha branca di nibbio e vista lunga”. Oggi, nessuno v'è a Corigliano che conosca quest'arte e la eserciti E’ andata persa, insieme alle tante tradizioni, che rendevano magico e colorito il vivere in paese. Si conserva d’alcune il ricordo tenue, che s’involerà pure, però, insieme agli anziani, che ne restano gli unici e malinconici custodi. 

(Serratore n.45/1997)