Francesco Grillo

Francesco Grillo (1898-1986) oltre che poeta e critico letterario è stato uno dei più profondi e documentati cultori di storia locale. Emigrato nel 1914 in Argentina, apprese rapidamente lo spagnolo ed il latino da un Pastore protestante. Nel 1917 tornò in Italia per la chiamata alle armi e ripartì definitivamente per gli Stati Uniti d'America nel 1921. Tra le sue opere, numerosissime, ricordiamo : "Vita e opere di F. Pometti", "Il poeta dell'Utopia: Francesco Maradea", "Antichità storiche e monumentali di Corigliano", "La Rivoluzione napoletana del 1799".

(E. Viteritti)

Storie emigrate. Francesco Grillo

La vicenda umana di uno studioso d’oltremare.

 

di Luigi Petrone

 

Francesco Grillo dedicò la sua vita agli studi di storia coriglianese per i quali rimane ancora oggi un importante punto di riferimento. Meritatamente occupa un posto di tutto rispetto nel panorama degli studiosi di vicende storiche, fatti e personaggi di Corigliano e della Calabria . Ma per molti anni questo singolare emigrante, che da Nuova York inviava storie sulle glorie cittadine, restò a lungo uno sconosciuto forestiero. Sino a quando nel gennaio del 1956, un articolo di Giovanbattista Policastri sul “Cor Bonum”, non fece conoscere l’esistenza e l’impegno di questo scrittore d’oltremare[1]. 

 

La partenza per l’America

 

Francesco Grillo nacque a Corigliano Calabro il 19 novembre 1898. Secondogenito di Tommaso e Rosa Cerchiaro [2], abitava con la famiglia al rione Pizzillo (gradoni Sant’Antonio) in via Aquilino. Il padre, di umili origini, bracciante, era originario di Longobucco; la madre, coriglianese, era filatrice. La coppia, oltre a Francesco, ebbe altri due maschi ed una femmina. All’età di dieci anni accadde un episodio che segnò profondamente la sua esperienza umana. Era il compleanno della madre. Come tanti ragazzi di quell’età, pensando di fare cosa buona, prese dei fiori dai giardinetti pubblici dalla villa che stava sotto il “Collegio” (l’attuale villa Margherita). Disgraziatamente il guardiano se ne accorse e dopo avergli urlato appresso, fece sapere al padre la monelleria del figlio recapitandogli una multa. All’uomo, che viveva alla giornata e faceva fatica a mandare avanti la famiglia, quella cosa non gli piacque. E il ragazzo, infatti, non se la cavò con una sonora rimproverata o una ‘manica’ di botte perché il giorno dopo il genitore, per questa innocente monelleria, lo tolse dalla scuola e lo mandò al lavoro. Quei pochi anni di scuola impressero in lui, tuttavia, ricordi indelebili. Mai dimenticò i suoi primi maestri (Martire, Minisci, il direttore Dragosei), mai i primi compagni (Policastri, Dima, Mazziotti, De Angelis, Laudonio…) con i quali Franco – com’è chiamato familiarmente Grillo – amava vagare “…per i prati, e sul greto del Coriglianeto; alla Stazione a vedere il treno arrivare, sbuffare, fischiare…”, chiacchierare con don Alessandro Dragosei, passeggiare ai “Cappuccini, la sera ascoltare il conversare su’ Palma, Pometti, Maradea e Valente,…Leonetti, Tricarico, Tieri, Policastri, Mortati…”[3], i suoi primi miti.

Fondamentale per apprendere la genesi dell’esperienza umana di Francesco Grillo è il componimento “Soliloquio d’un trapiantato” pubblicato nell’opera “Soliloqui e Miscellanea” (Pellegrini Editore, Cosenza 1983). “Soliloquio d’un trapiantato” non ha nulla di poetico. La prosa è sin troppo semplice, prevedibile, sebbene in alcuni passi sfiori un iniziale stile poetico. Anzi più che una poesia è una sorta di racconto. Ma è proprio un racconto quello che Grillo ha voluto scrivere, lasciare una testimonianza di sè. Nel “Soliloquio” il racconto dapprima s’incammina tra i vicoli del centro storico, per rivederne luoghi, persone, mestieri; poi si smarrisce e sprofonda prepotentemente nei ricordi della sua infanzia, di un’adolescenza sofferta, eppure profondamente vissuta, radicata. Man mano che procede nella lettura, la narrazione assume i toni di un deamicisiano racconto da libro “Cuore”. A dieci anni, un padre un po’ troppo severo, o forse impaziente di avere braccia per aiutarlo nei lavori agricoli, lo toglie dalla scuola elementare quando ancora frequenta la terza classe, appena il tempo di apprendere a leggere, scrivere e far di conto. Lo studio, nelle famiglie dei contadini era un ‘lusso’ che non ci si poteva permettere e prima o poi  l’abbondano scolastico, per contribuire al sostentamento della famiglia, era inevitabile. Cominciò ad assistere il padre nei lavori della vigna. Un’estate, mentre il resto della famiglia si trasferiva nella casa di montagna a Soveria, fu mandato a lavorare nella selvosa Palombara e, poi, nel greto del Cino a elevare briglie ed argini. Questo lavoro per un ragazzo della sua età è tra i più duri. Presto la stanchezza e il caldo torrido finirono per sfinirlo sino a farlo ammalare; “in questo loco – scrive Grillo – dopo tre settimane vi divenni infermo, tanto che il dirigente mi disse: «Vatinne a ra casa, ccu’ ssa freva ri cani»! Così, con alta febbre, e più morto che vivo, …a lo spuntare del giorno, m’avviai per l’aspro viaggio, intontito, distratto”. Il viaggio di ritorno dalla valle del Cino a Soveria è tremendo. Per raggiungere la famiglia in montagna, una distanza che si copriva abitualmente in tre o quattro ore, quel ragazzo malato e febbricitante impiegò un tempo infinito. “Dopo tradici [tredici] ora di sem’agonia giunsi alfine su la porta della casetta, pallido, inatteso, caddi”[4]. Quella notte la madre pose teli bagnati «sull’ardente mia fronte, mentre mio padre e mia sorella, svegli anch’essi, l’intera notte, a preparare alla meglio ogni cosa pe’ ritornare senz’altro fin dall’alba a Corigliano». Quel ragazzo malato per un giorno era riuscito a tenera unita la famiglia attorno a sè. Si temeva per la sua vita. All’indomani fecero ritorno a Corigliano. Il dottor Fiore chiamato a visitarlo obbligò i genitori di tenere quel ragazzo a riposo, per più di un mese. Quei giorni di convalescenza furono sereni, scanditi dal ticchettio della macchina Singer intenda a cucire e dalla trepida attesa della sorella di ritorno dalla scuola, per chiedere cosa imparò quel giorno.

Poi arrivò di nuovo l’estate e quella volta, a luglio, il padre condusse tutti a Soveria. Tra gli alti fusti Franco amava smarrirsi, a divertirsi ad incidere le cortecce degli alberi con il suo nome, mentre andava ad attingere acqua alla sorgente del Gattone, esiguo avanzo di un bosco ridotto a termine dalla scure dell’uomo[5]. Fu un’estate felice anche se breve e con un epilogo drammatico. Una sera, mentre tutti erano nell’attesa del rientro del capofamiglia, questi giunse a Soveria in tarda notte, ubriaco. Legò il mulo nella stalla e nel silenzio della notte, ai familiari che lo guardavano preoccupati, l’uomo disse che per soldi aveva dovuto vendere la casa in paese dove abitavano ad un usuraio, per far fronte ai debiti[6].

Ad ogni modo dopo quella malattia Grillo non fece più ritorno ai duri lavori. Avevamo trovato, sin da subito, esagerata la reazione punitiva del padre verso quel ragazzo poco o più di un fanciullo, che “per un’innocente monelleria” era stato mandato a lavorare quando poteva bastare farlo andare a bottega da uno dei tanti artigiani del paese, se solo si trattava di educarlo. Un lavoro duro ma ben pagato, da manovale, appresso ai muratori (“la paga la riscuote mio padre” scrive nel ‘Soliloquio’). Forse il padre si era pentito di quel duro castigo? La verità era invece un altra, quella del bisogno familiare, e chissà se Grillo comprese mai le ragioni del suo allontanamento dalla scuola.

Ma anche così le cose non andavano meglio. La famiglia non attraversava, infatti, un momento felice e il magro bilancio familiare non bastava più a sfamare tutti. La vigna, prima di essere distrutta dalla filossera, non rendeva abbastanza. Il terzogenito era già partito per l’America, per raggiungere il fratello maggiore (a San Paolo, in Brasile, dove alla fine dell’Ottocento uno zio del padre era emigrato), e il padre stesso si apprestava a partire per la terza volta e tentare di nuovo la fortuna. Uno dopo l’altro quel destino che aveva già portato via gli uomini della sua famiglia presto, temeva la madre, avrebbe portato via anche Franco[7]. Nel 1914, a sedici anni, il padre gli chiede di raggiungere pure lui il fratello in Argentina, a Buenos Aires. Qui, tra un lavoro e l’altro, Francesco Grillo prende lezioni di latino e spagnolo frequentando la scuola serale di un pastore protestante d’origine napoletana di nome Marotta. Da apprendista a scrivano, arrotonda i suoi guadagni scrivendo lettere per i connazionali analfabeti alle loro famiglie in Italia.

  

Il ritorno a Corigliano e la definitiva partenza

 

Con l’avvento della Grande Guerra, anche per Grillo arrivò la chiamata alle armi. Nel 1916 viene chiamato per il servizio militare e torna in Italia. Fu la prima volta e, come vedremo anche l’ultima, che egli fece ritorno. E’ arruolato nel 61.mo Reggimento Fanteria. Si ritrova nel vivo della prima guerra mondiale. Viene inviato sul fronte del Trentino; tanti, molti, furono i “ragazzi” di Corigliano caduti e mai più tornati. Nell’esercito rimase sino al 1920 anno in cui, alla fine del conflitto, è congedato. Torna a Corigliano, dalla cara madre. Sono mesi sereni, rinnova vecchi ricordi, nascono nuove amicizie, conosce Veronica. Veronica è un’attraente giovinetta con la quale il nostro ha una breve ma intensa intesa emotiva benché, come si usava in quel tempo, ai giovani non fosse permesso incontrarsi. Ciò non di meno lei, immersa a leggere nella loggia di casa, non si sottraeva dal mandare al nostro timidi baci, con la mano, ed una domanda: “e tu ritornerai?”. Ma era una storia d’amore senza futuro. Nei quattro mesi di permanenza a Corigliano, alla fine di un conflitto vinto ma che aveva lasciato in ginocchio la Patria, le prospettive di lavoro erano nulle. La terza fase migratoria (1896-1920) alla fine si portò via anche lui. Non c’erano alternative e decise d’imbarcarsi nuovamente per l’America[8]. Quel giorno arrivò, un ultimo abbraccio alla madre e alla sorella (pure lei da sola con due figli ed un marito emigrato) e il 21 marzo 1921 con gli occhi rotti dal pianto partì nuovamente. Questa volta per non fare più ritorno.

Grillo sopravvisse a quell’oceano umano nel quale s’inabissarono in tanti senza lasciare traccia. A New York fa un po’ di tutto. Dapprima è commesso in un negozio, poi il filatelico, il contabile e l’impiegato in una tipografia. Ma trova anche il tempo di frequentare di sera, dopo il lavoro, una scuola di giornalismo. Comincia ad acquistare libri ed inizia a mettersi alla prova scrivendo versi e prose. Di queste prime composizioni e dei suoi libri oggi nulla rimane perché tutto se ne andò in fumo nell’incendio di casa qualche anno dopo. Nel 1924 sposa la ventenne Rosa Quattromani figlia d’Italiani ma nata a New York. Da quest’unione nasceranno due figli, Maria (1925) e Thomas (1930). Compaiono i suoi primi articoli su periodici e riviste italo-americane. Inizia a collaborare pure con “Il Popolano” ed è proprio il suo direttore, Francesco Dragosei a far scoprire questo coriglianese d’America. E’ un susseguirsi d’articoli e pubblicazioni. Scrittore, storico, critico, autore di componimenti in prosa, Francesco Grillo nella sua lunghissima carriera di pubblicista, che svolse ininterrottamente per quasi 60 anni, pubblicò oltre 50 scritti tra articoli, recensioni e saggi, imponendosi tra i più prolifici scrittori Coriglianesi moderni [9].  Se c’è un elemento che caratterizza l’opera del Grillo, benché preferisca la critica storico-letteraria, è la sua varietà d’interessi. Non c’è dubbio che la nostalgia del passato rappresenti uno stimolo prepotente nella sua produzione letteraria e, in fondo, il suo scrivere sia un modo per far sapere che lui seppur lontano, in fondo, c’era ancora e che non si era mai mosso, con l’anima, da Corigliano.

Un documento eloquente per conoscere e comprendere la sua biografia è “Soliloquio d’un trapiantato”, un lungo componimento narrativo pubblicato in uno dei suoi scritti meno importanti ma che si rivelerà poi fondamentale[10]. Nel “Soliloquio” (un mini racconto autobiografico che Grillo dedica a Mario Policastri Editore del “Cor Bonum”), egli ci offre tutta la dimensione di questo rimpianto struggente, della sua “coriglianesitudine” come alcuni hanno definito la nostalgia per il vecchio Borgo [11].  Con la mente, vivida, Grillo ripercorre i luoghi e le memorie della sua trascorsa vita a Corigliano. Passeggia, in un inconsueto soleggiato mese di gennaio, nel Central Park. Gli fa compagnia… la sua ombra, la sua anima. Accompagniamolo allora anche noi, in questa singolare passeggiata.

Oltre il ponte ecco la chiesa del Carmine, a sinistra, ma sottostante al suo fianco non v’è più il rinomato stabilimento dove si processava la succosa e dolce liquirizia radice, che al tempo della fanciullezza mia si estraeva ancora, dalla piana in abbondanza. Né vedo più la Funivia, a destra, i cui carrelli ritornavano dal Baraccone carichi di assi di legno ed altro. Sì, ed or saliamo per il ripido Rione de’ Vasci, dove è la Giudeca…e ricordo, in un vicolo qui presso v’era una Maddalena [12], una tale detta «donna Carmenia a’ pellara», attiva ma discreta…Giunti siam, ombra cara, presso il Castelluccio, a la Portella, con il Largo Garopoli..Ed ora…scendiamo nella Piazza del Popolo, detta de «L’acqua Nova» Ohimè! Com’è cambiata: non v’è più la Fontana marmorea, con in mezzo un satiretto ad una colonna arrampicato che gettava dalla bocca acqua[13]. Non più i forestieri acresi ed albanesi, d’estate ogni domenica mattina con somarelli carichi di prodotti,…non più il banditore soffiar nella trombetta e poi bandire di questo e di quello… ecco a destra il Rione Cerrìa che conduceva a i Mulini, ...Piazza Vittorio Veneto, a la cui destra v’è la Chiesa e ‘l Convento di San Francesco di Paola…e in tal Convento adibito a Scuole Elementari ancora, al tempo della mia fanciullezza, e frequentai fino alla III appena…e qui accanto, ecco il bel monumento di Tamagnini a gli eroi caduti per il riscatto di Trieste e Trento[14], e del nome meno Italo Carnaro [15], vilmente abbandonato a chi non appartiene! ..Or ecco, a destra il Viale Rimembranze…dove incontrar solevo il mio Poeta dagli occhi belli[16]”. Torna veloce con il racconto verso il cuore del paese.  “Ecco il palazzo Abenante, Piazza Guido Compagna, ed il Castello …Ed ora proseguiamo la strada che va oltre il «Birò» di Sollazzo[17]…Largo Valente, ove s’esprime «Cor Bonum» di Gianbattista già ed ora da Mario Policastri, con civico senso ed arte. E Proseguendo dritto, per la strada quasi piana, ecco in fondo la chiesa de’ Riformati, con accanto il Teatro Valente, ma non più la Scuola femminile,frequentata dalla buona e cara mia sorella …rione “Orto del Duca”, e de’ Gradoni proseguiamo fin’al palazzo Gaudio, dov’era un fontanino, da cui acqua più volte attinsi…sostiamo, ombra mia cara: la casa, ecco, con scala..che per una soggetta portava a due spaziose stanze con ampie finestre…lì dove nacqui e dove restano tante ricordanze care della mia fanciullezza…”[18]. Narra a questo punto l’episodio che portò suo padre a toglierlo dalla scuola, di quella Villa dove perse la sua spensieratezza, ora trascurata, “con gli alberi di acacia, ma sparite sono le aiole e’ fiori; sparita è la Fontana con scoglietto nel mezzo, su cui sedeva marmorea sirena con due giocosi delfinetti, e rane nell’atto d’emergere dall’acqua[19]. Si abbandona ai ricordi. Rammenta “… il mulinaro col mulo andare per il paese, in giro gridando: «’U Mulinaro»! ed ei prendeva tomoli di grano, li portava al Molino e al pomeriggio riportava a’ clienti, macinati in farina...”. Ma la modernità sta cambiando anche il suo paese. “Dovunque, ecco, l’ambiente è cambiato, quasi come in America,..non vedo più lo stagnino, detto a torto «’U Quararo»; né a battere il ferro il maniscalco, e ferrare cavalli, asini e muli; né carrozza o traino…Non più, cara mia ombra, si vede il forestiero capellaro, e per le vie gridare «’U Capillaro» femmine! che allor’ancor le donne portavano i capelli lunghi e trecce, ed ei comprava…per non più d’un tornese! Vendendo invece forcinette e spilli, con nastri e gingilli!..”. Inevitabile per lui non rimembrare i rioni degli artigiani, quello de “..l’irta località La cittadella pur detta de’ Tessitori, produttori d’una pregiata e rinomata felpa..i Pignatari far stoviglie…accanto alla discesa accorciatoia che reca al Ponte «’i Ciota-Ciota», si dal volgo detto, non so perché; che attraversa il Coriglianeto…”. Si allontana dal borgo, verso la Stazione Ferroviaria dove allora “v’eran solo quattro case, l’ufficio e un tabaccaio” e, oltre la contrada Ralla il rettifilo di “…Via della Marina, ma or non più con i margini adorna di due file di pioppi alti e ombrosi”.

Conclude questo viaggio nostalgico ed immaginario con i versi “ombra mia cara, andiamo a riposare!”, con il sole che sta per tramontare, il tramonto non solo di una giornata ma anche quello della sua vita[20]. 

 

Gli ultimi anni

 

New York, “Eastchester Park Nursing Homes”, Ottobre, 1975. L’amata Rosa è ricoverata in una casa di riposo newyorkese per anziani non autosufficienti. Ogni giorno con la figlia Maria va a trovare sua moglie, tra “altra gente anziane, smorte, colpite anch’esse da la mala sorte”. E’ commovente il dialogo, impossibile, tra madre e figlia che gl’intona “qualche melodica stanza di bel canto popolare”. Incolmabile nota di dolore è, tuttavia, l’assenza del figlio Thomas che da oltre quindici anni da quando la moglie lo persuase tra i Testimoni di Geova, si è allontanato senza dare più notizie per andare a vivere in California. Questa perdita agli affetti del figlio Thomas, forse più della malattia della moglie, fu per lui, cattolicissimo, un’autentica tragedia familiare della quale non sè ne darà mai pace. Rassegnato, senza alcuna speranza, scrive, “…Thomas ormai sperduto nel sognar l’utopia pueril de’ «Testimoni di Jehovah»[21]. Grillo ora è un uomo rassegnato al suo destino e in Lauda Nova ci fa toccare con mano questa rassegnazione scrivendo di sè come di un “vecchio afflitto padre” separato dal fato dalla “cara mia compagna/colpita dalla sorte avversa e ria/ e intanto non mi resta/ che piegare la testa!”[22].

In questo scorcio della sua vita feci la conoscenza di Francesco Grillo. Gli scrissi la prima volta alla fine del 1983 [23]. Mi rispose subito. Il 15 gennaio 1984 mi recapitarono un plico denso, compatto, incartato per bene. Al suo interno Grillo mi aveva inviato in dono quasi tutte le sue opere che oggi fanno parte del mio Librarium. Fu un regalo di Natale, giunto in ritardo ma graditissimo perché inatteso. In quel cartoccio c’erano le inedite (per me), biografie del “Garopoli” e del “Pometti”, le “Antichità storiche e monumentali di Corigliano” che, da ragazzi, potevamo solo consultare nella “Biblioteca Pometti” (allora ricavata in alcuni locali al piano terra di palazzo Cimino, in via Principe Umberto) che Stefano Scigliano teneva aperta sino a tarda sera. Lo ringraziai subito e gli inviai due copie del mio “Castello di Corigliano [24]. Rimase contento, e noi più di lui di essere riusciti a consegnare un frammento di gioia a quell’anziano cultore di cose locali. Mi rispose nuovamente un mese dopo, il 16 febbraio, con altri libri in dono. Ma le sorprese non erano finite. Man mano che sfogliavo e leggevo avidamente quei volumetti, m’accorsi che non erano delle copie in più che egli aveva voluto donarmi, ma erano i libri dalla sua biblioteca privata. Ovunque trovavo vecchie chiose, correzioni, annotazioni (di date, di pagine, di nomi) accurate e attente, chiare e decise, che non sembravano apposte dalla mano tremolante di un vecchio. La conferma che quelli fossero i libri privati di Grillo la ebbi sfogliando “La Storia dell’Italia moderna di Denis Mack Smith” (estratto da “Calabria Nobilissima”, nn.39-40, 1960). Sulla copertina, manoscritto a mano, in chiara grafia a stampatello, vi era il sottotitolo “Il Fortino di Vigliena pp.72”. Queste annotazioni le avevo incontrate anche su altri opuscoli certo, ma leggendo notai che alcune correzioni erano state eseguite cancellando abilmente le lettere e sostituite a mano con altre, come a pagina 75 dove il cognome dell’eroe Toscano era stato corretto con Toscani[25]. Com’era possibile che una persona anziana avesse potuto fare quelle correzioni da ‘certosino’ a quell’età e afflitto dalla cataratta?

Al successivo Natale, e questa volta in tempo, l’11 dicembre 1984 Grillo mi fece ancora una sorpresa, m’inviò i suoi auguri con un'altra sua opera, “San Francesco di Paola nella storia e nella leggenda”. Lo lessi tutto d’un fiato, mi piacque questa rivisitazione critica sulla vita e i miracoli del Paolano, una lettura razionale,  meno soprannaturale e, quindi, più vicina a noi, di alcuni miracoli di San Francesco[26]. Lo ringraziai, rammaricandomi soltanto che, per un banale ripiego in fase di stampa, le pagine 23 e 24 di quel libro erano venute impresse male. Non mi fece attendere e con una nuova lettera, nel successivo febbraio 1985, provvide immediatamente ad inviarmi fotocopia delle pagine mancanti. Questa lettera dell’ottantasettenne scrittore Coriglianese è l’ultima lettera di Francesco Grillo:

New York, 19 Febbraio 1985. Carissimo amico Petrone. In risposta alla vostra lettera del 3 Febbraio u.s. ho notato con ammirazione il serio impegno nei vostri studi in Medicina e Chirurgia, perché solo con simili impegni si raggiungono gli scopi prefissi….e così farete onore non solo a voi stessi, alla vostra famiglia ed alla nostra bella Corigliano…. Quando chiesi se fosse impegnato con altri studi mi rispose: “Ormai, caro Petrone ho dovuto smettere di occuparmi di simili cose a causa degli acciacchi dell’età e dalla cataratta che a fatica posso alquanto leggere e scrivere, ed causa di problemi della vita familiare. Insomma, come già dichiarai, sono autodidatta, non ho mai appartenuto a circoli intellettuali veri e propri, ma sono stato in relazione con intellettuali, qui ed in Italia con i quali ci scambiammo i propri libri e apprezzavano la mia erudizione e obiettività critica….

                                                        Vostro dev.mo Francesco Grillo[27] 

 

Grillo si complimentava per la mia prossima Laurea. Io ero ancora studente in Medicina ed i miei studi li avrei completati soltanto quattro anni dopo. Non saprò mai se avesse compreso male o forse soltanto per lusingarmi. Non ebbi mai il coraggio di correggerlo, non n’ebbi tempo. Nel mese di aprile di quello stesso anno si spense. A farle compagnia una colomba bianca che tutte le mattine, alle ore 7,30, faceva capolino sul davanzale della sua finestra tra i congiunti cortili della sua residenza e la Public School 71, nel Bronx[28]. Frank Grillo, cittadino americano, muore all’età di 86 anni l’1 aprile 1985 nella sua abitazione tra la Hobart e la Roberts Avenue, Bronx, New York [29].

Non sappiamo se questa fu l’ultima lettera del Grillo certamente fu tra le ultime, forse consegnata dal fato affinché potessimo dare notizia dell’ultima delle sue storie migrate[30]

 



[1] Era stato Giovanni Patari il primo a scrivere di lui (cfr. Tra Carte e Ricordi, Catanzaro, s.d. ma 1949, pp.217-220) anche se questa prima nota bio-bibliografica restò ai più sconosciuta. Altre notizie si trovano in Giovanni Battista Policastri, “Cor Bonum”, anno XII, Corigliano Calabro 31.1.1956; Francesco Russo, Scrittore Italo-Americano: Francesco Grillo in “Cronaca di Calabria”, anno LIV, Cosenza 1 aprile 1956 ; Enzo Cumino, Gli Scrittori di Corigliano Calabro (dal 1500 al 1997), Mangone, Rossano 1997.

[2] In alcuni studi il cognome della madre compare con la grafia “Cerchiara”. Ma in una nota manoscritta di sua mano, tra le nostre carte, Grillo annota questo cognome in una grafia diversa. Scrive egli, infatti «Mio padre, Tommaso Grillo, nacque in Corigliano Calabro (Cosenza) il diciannove Ottobre 1860, da Felice e da Filomena Pettinaro, e morì nella primavera del 1928. Mia madre, Rosa Cerchiaro figlia di Leonardo e di Anna…, morì l’8 giugno 1932, anche essa nacque e morì in Corigliano. Io, Francesco Grillo, nacqui in Corigliano il 19 novembre 1898 da Tommaso e Rosa Cerchiaro. Mia moglie, Rosa Quattromani, figlia di Luigi e di Maria Sapia, nacque in New York il 22 febbraio 1904 e ci sposammo il 29 giugno 1924. Mia figlia. Maria, nacque in New York il 22 maggio 1925 e sposò Adolph Tarantino il 15 febbraio 1947; e mio figlio Thomas nacque il 29 giugno 1930 in New York e sposò Gloria Powell il 12 agosto 1956» (Archivio Privato, Nota personale manoscritta di Francesco Grillo).

[3] F.Grillo, Ricordanze in “Campanella e Dante”, Pellegrini Editore, Cosenza 1977, pp. 50, 51, 52.

[4] F. Grillo, dal “Soliloquio d’un trapiantato” in  Soliloqui e Miscellanea, Pellegrini Editore, Cosenza 1983, pag.155.

[5] F. Grillo, in  Soliloqui e Miscellanea, pag. 158.

[6] Da lì a breve la famiglia lasciò la “prediletta casa” andando ad abitare alla Ricella in una casa in affitto dei Romanelli. 

[7] Anche la sorella, l’ultimo dei figli dei Grillo, alla morte dei genitori, partì da Corigliano ed emigrò in Argentina dove l’attendevano il marito e il figlio (Soliloquio d’un trapiantato, op. cit. pag. 159).

[8] Soliloquio…, op. cit., pp. 162, 163. Le partenze erano programmate. Partendo da Napoli occorrevano 14 giorni di nave per sbarcare a Buenos Aires, qualche giorno in meno per New York. Su “Il Popolano” del 1887 leggiamo “E sen vanno, sen vanno ogni giorno a popolare il nuovo mondo, abbandonando la patria, le officine, i campi!!” (anno V, n,19, 2 ottobre 1887). Sul fenomeno dell’emigrazione a Corigliano consigliamo la lettura dell’ottimo studio di Carlo Di Noia, Il fenomeno dell’emigrazione dalla Calabria nelle Americhe tra Ottocento e Novecento. Il caso di Corigliano Calabro, Editrice Aurora, Corigliano Cal. 1995.

[9] Il suo primo scritto in assoluto è un articolo dal titolo “Calabria misconosciuta e negletta” apparso su “Cronaca di Calabria” il 2 ottobre 1927. La sua prima pubblicazione fu invece “Un Lirico Calabrese: Pasquale Leonetti” (Società Edizioni Aspetti Letterari, Napoli 1940).

[10]  Francesco Grillo, Soliloqui e Miscellanea, op. cit.

[11]  L’espressione è dell’amico Stefano Scigliano.

[12] Una meretrice.

[13] Questa fontana era la celebre “Fischija” popolarmente anche chiamata “Cicci i l’acqua” (Cfr. L.Petrone, Le antiche fontane, “Il Serratore”, anno I, n.4, p. 29, Corigliano Cal. 1988).

[14] Torquato Tamagnini è lo scultore che realizzò la bella scultura in bronzo che adornava il monumento ai Caduti poi fuso, per necessità belliche, durante il secondo conflitto mondiale.

[15] Così era chiamato il poeta Gabriele D’Annunzio dopo l’impresa di Fiume quando, incarnando il desiderio di molti italiani, aveva occupato con ex combattenti la città per annetterla alla patria.

[16] E’ il poeta coriglianese Francesco Maradea (1865-1941).

[17] Presso questo palazzo, durante il periodo dei Napoleonidi, fu aperto un Ufficio del Governo Francese, un “bureau”.

[18] E’ la casa in via Aquilino, dove abitava e che il padre fu poi costretto a vendere per far fronte alle richieste di un usuraio (Soliloqui e Miscellanea, p.157).

[19] Si tratta di una meravigliosa fontana in marmo di Carrara la cui realizzazione era stata promossa nel 1825 dal sindaco Carlo De Gaudio. Quello che resta di questa fontana si vede oggi sulla piazza d’armi del castello ducale.

[20] F.Grillo, in  Soliloqui e Miscellanea, Pellegrini Editore, Cosenza 1983, pp. 143- 166.

[21] In ben due diversi brevi componimenti in prosa Grillo ricorda quest’episodio, in Lauda Nova  (cfr. “Campanella e Dante”, Pellegrini Editore, Cosenza 1977, p.61 e in Nuovi Soliloqui, Pellegrini Editore, Cosenza 1984, pp.3, 4, 5).

[22] F.Grillo, Lauda Nova  in “Campanella e Dante”, Pellegrini Editore, Cosenza 1977, p.61.

[23] Fu l’amico Scigliano a fornirmi il suo recapito a New York.

[24] G.Santo, G.Felicetti, L.Petrone, F. Spataro, Il Castello di Corigliano Calabro. Origine e sviluppo di un fortilizio nel meridione, De Rose, Cosenza 1983 (II edizione). La prima edizione era uscita nel 1982 dai torchi delle Arti Tipografiche Jonche di Corigliano ma era andata presto esaurita in pochi mesi. Anche l’edizione successiva, come la precedente, venne stampata con il patrocinio e a spese del Comune di Corigliano.

[25] Altro intervento, più impegnativo, si trova alla pagina 68 dove la parola “agevolando” è stata corretta con "agevolarono".

[26] Questo studio, edito da Pellegrini nel settembre del 1984, risulterà l’ultima sua opera pubblicata.

[27] Archivio Privato, Lettera di Francesco Grillo, New York, 19 febbraio 1985.

[28] F.Grillo, Nuovi soliloqui, Pellegrini Editore, Cosenza 1984, pag.3.

[29] Nel Registro dei morti dello Stato di New York, Frank Grillo è registrato al numero di sicurezza sociale degli individui deceduti 117-03-8586, codice di residenza 10461, Bronx County, NY. La notizia della morte del Grillo a Corigliano giunta nel mese di luglio ingenerò la convinzione che fosse deceduto in questo mese anziché in aprile.

[30] Avevamo espresso a Francesco Grillo il nostro desiderio di raccontare la sua vita. E’ passato molto tempo da quella promessa. Lo studio, la famiglia, il mio lavoro da medico, volontariato, collaborazioni editoriali, restauri di palazzi, ci hanno distolto da questa promessa.

Lo facciamo ora. Non pensiamo di aver scritto una biografia su di lui, certamente no, ma un racconto della sua anima forse si.