PRESENTAZIONE
Gentilissimo lettore, ti presento il secondo volume delle “Botteghe di una volta” della mia città: Corigliano Calabro. Anche in questo ho seguito, in linea generale, le impostazioni del pri - mo, approfondendo in particolare alcune notizie di carattere storico, per comprendere meglio il contesto sociale in cui hanno operato i personaggi dei racconti. Con i miei amici ho percorso il sentiero della memoria, consegnando ai posteri i ricordi del nostro passato, fatto di tradizioni e di piccole cose che bastavano per vivere con dignità. Non ci sono rimpianti. Anzi, al con - trario, pur vivendo in un periodo dove non c’era concesso tutto, la mia generazione - è un mio parere - è stata, per certi versi, molto fortunata per aver vissuto in vicoli angusti e aver frequentato delle botteghe, che erano la casa di tutti. Come posso dimenticare tutte le volte che dall’estrema periferia della mia città, via Carso n. 6, dove al massimo passava don Lisanni ccu ru ciuccio (don Alessandro con il suo asino), mi recavo al centro, in vico VII Roma n. 3, per vedere dal balconcino di nonna, za ’Ntunetta (zia Antoniet - ta), un mondo nuovo e attraente. Restavo incantato nel vedere quel viavai armonioso della gente, le ri - sate dei ragazzini monelli che si aggrappavano ai paraurti posteriori delle poche automobili circolanti, le antiche botteghe, una accanto all’altra, che si tenevano per mano. Quelle botteghe erano il luogo di tutti, la voce del quartiere, piene di genuino sapore, in cui i mestieri erano eredità dei padri al servizio della gente. Tutto questo ho raccontato, utilizzando anche il linguaggio dei no - stri padri. Quello straordinariamente semplice. Mi auguro che questi racconti non siano fini a se stessi, ma abbiano come obiettivo quello di aprire virtualmente le tante porte chiuse da trop - po tempo. Ed è anche un invito per i docenti a far visitare agli studenti il Centro Storico, raccontando loro che al di là di quelle porte chiuse ci sono tante storie: quelle dei nostri padri. Solo così non saranno mai dimenticati personaggi come il calzolaio Mimmo Capalbo, che, oltre ad un semplice scarpari (ciabattino), era un uomo di cultura, e Ciccuzzi (Antonio Ungaro), il famoso poeta-cantiniere, che, come dico in un mio racconto, nei suoi versi mescolava il nettare con i sapori della terra e quelli dell’anima. Ritornare al passato non è possibile; resta per sempre passato, come il calpestio degli zoccoli dei quadrupedi sul selciato di via Roma o dei colpi di martello dei maniscalchi, il cui ritmo faceva rallentare il passo della gente per ammirare questi maestri del ferro, che chiamavamo fruggeri. Ma se non è possibile ritornare indietro, di certo è possibile rivitalizzare il nostro centro storico con tante attività, soprattutto quelle artigianali. E perché no, assaporare quelle antiche delizie ’i ru bar Gatto Bianco o quei famosi gelati a limone o al cioccolato ’i ru bar ’i ru Combattenti. Solo così faremo contento anche sua Maestà, il Castello, che ogni giorno ci guarda stupito dall’alto del paese. Ricordarsi del nostro borgo antico solo per pochi giorni dell’anno, come avviene oggi, o durante la presentazione di un semplice libro, mi sembra un modo poco proficuo per cercare seriamente una soluzione ad un problema non semplice, ma neanche tanto difficile. Con l’augurio di una futura rinascita del Centro Storico, mi avvio alle conclusioni se non prima di ringraziare gli altri autori dei racconti, tutte le persone che mi hanno fornito notizie sui loro cari e quei due amici e maestri, Franco Caravetta ed Enzo Cumino, che ancora una volta mi tengono a… battesimo. Grazie. E a presto.
Giovanni Scorzafave