Francesco Dragosei
di Francesco A. Arena
a cura di Salvatore Arena
INTRODUZIONE
Di Francesco Dragosei ho sentito sempre parlare, dentro e fuori casa, come di un personaggio eccezionale.
Nei racconti delle persone anziane era visto come un uomo formidabile che era riuscito a costruire tanti pezzi di storia vera. Si parlava di Lui con gratitudine e ammirazione. Infatti, tutte le persone erano consapevoli di avere ereditato molto e in breve tempo dal cav. Dragosei.
Corigliano, per merito suo, aveva fatto un salto di qualità, come era successo solo a pochi altri comuni d'Italia.
"Don Ciccio", così veniva chiamato con rispetto da tutti, visse in un periodo di grandi incertezze politiche e di soprusi. Si tuffò nella politica, nel giornalismo, nell'editoria, nell'arte e in ogni altra attività riuscendo a creare per Corigliano condizioni di vita più civili.
Francesco Dragosei si è fatto sempre portatore di seri valori critici, di attenzione ai problemi del suo tempo. Pur non essendo un eroe, ha avuto il coraggio di contrastare il malgoverno, svolgendo una funzione di stimolo.
Mio padre fu amico del figlio Italo, giornalista famoso a Roma. Proprio per questo ebbe modo di conoscere il cav. Dragosei tant'è che di Lui scrisse a più riprese sia su II Popolano (1971) che sujonipress (1972).
Mi piace, adesso, raccogliere questi articoli in un volumetto perché "Don Ciccio" Dragosei possa continuare a raccontare la sua storia - che, poi, è storia edificante per Corigliano.
Salvatore Arena
FRANCESCO DRAGOSEI
Inizio, senza seguire un ordine cronologico, una rassegna dei concittadini più rappresentativi, che, in ogni epoca, per spiccate virtù sociali, per altezza d'ingegno o per magistero educativo o per virtù eroiche e religiose - hanno dato lustro alla comune città natale.
E mi accingo ad adempiere questo non facile compito con un senso di profonda umiltà e con incoercibile orgoglio civico: umiltà perché seguo le anime belle che, proprio su questa terza pagina de IL POPOLANO (ieri grandemente ammirata), hanno scritto prima e meglio di me; orgoglio perché penso che rievocare, senza retorica o iattanza, i grandi artefici della nostra storia cittadina, significa assolvere ad un categorico dovere collettivo di riconoscente gratitudine. E ciò avviene - certo, non a caso - in un momento notoriamente drammatico della nostra vita nazionale, giacché, nell'inarrestabile naufragio generale dei valori morali e spirituali, anche qui, la gratitudine ha pressocché cessato di essere uno dei più puri sentimenti dell'animo umano ed è diventata, invece, una parola vana, svuotata del suo genuino significato, che lascia il tempo che trova.
Inoltre, penso di fare opera educativa nei confronti delle giovani generazioni, presenti e future, se è vero, com'è certamente vero, che "i morti comandano i vivi" e li convocano alla storia.
Per l'evidente, logica e sostanziale continuità ideale de IL POPOLANO, il quale riapre, proprio con questo numero, un nuovo corso storico o ciclo di vita, io inizio, con modestia di mezzi, ma con tutta serenità d'animo, la rievocazione della figura poliedrica e dell'opera veramente egregia del cav. Francesco Dragosei.
Che importa se, proprio ieri, sian trascorsi trentatré anni dal suo trapasso? Il tempo per lui non avrà distanza né oblio.
La sua eccezionale personalità di uomo d'azione lungimirante, dinamico, coraggioso ed onesto, e la sua benefica opera di araldo di rivendicazioni sociali al di là di ogni meschino interesse di parte, e di promotore infaticabile di progresso civile e di cultura (anche musicale), saranno conosciute e meditate specialmente dagli studenti di ogni ordine e grado delle nostre scuole.
Se l'immortalità è la continuazione della vita nella memoria di coloro che sopravvivono, il cavaliere invitto del lavoro, il servitore del suo popolo, sarà immortale, non solo nel cuore dei figli e dei congiunti, nella venerazione dei suoi discepoli e nell'estimazione di coloro che lo conobbero e gli vollero bene, ma anche nell'ammirazione dei coriglianesi che si succederanno. I quali non potranno, nel consenso o anche nel dissenso, non sostare pensosi dinanzi al monumento della sua opera, compresi della pluralità e intensità delle attività professionali esercitate, quasi contemporaneamente, con mirabile equilibrio, della luce del suo ingegno fertile e della sua fede, mai vacillata, nel progresso umano.
Perché questo è il privilegio di alcune, poche creature, nella immensa moltitudine di quelli che attraversano, senza proiettare ombra, la vita: pur quando cedono alle leggi inesorabili della natura, niente, se non la carne, di esse si perde. Lo spirito continua a risplendere, le opere ammaestrano, l'esempio ancora ispira. Pertanto, egli continua a vivere nel monumento della sua opera.
Infatti, tutti coloro che oggi o domani vorranno accertare de visu la veridicità della mia affermazione, tentando d'individuare la parte più vitale, vale a dire il piedistallo, immarcescibile, di questo monumento, non dovranno fare altro che pensare, con mente limpida e serena, alla funzione storica assolta, meravigliosamente, da IL POPOLANO, e consacrata nei 100 grossi volumi circa della sua collezione.
Allora, e solo allora, anche i più scettici e i più distratti dovranno, onestamente, prendere atto del decisivo contributo dato dal cav. Francesco Dragosei e dalla bella famiglia dei suoi collaboratori al giornalismo meridionale, alla sociologia locale e, principalmente, all'evoluzione dell'Arte della parola medi tata e scritta.
Il Popolano di cui Francesco Dragosei fu fondatore e direttore nacque il 15 dicembre 1882 per la difesa degli interessi di Corigliano. E nacque contemporaneamente ad un glorioso quotidiano italiano, La Tribuna (vi fu, allora, uno scambio di messaggi augurali tra i due direttori).
Tipografia e redazione de Il Popolano, nel periodo che va dal 1910 al 1929, furono frequentati da giornalisti in erba, studenti, tipografi e curiosi. Molti di quei collaboratori divennero in seguito assai famosi in Italia e (alcuni) all'estero. Tra i tanti: Vincenzo Tieri, giornalista e commediografo, che si trasferì giovanissimo a Roma e dove scrisse nei migliori giornali della Capitale; Italo Carlo Falbo, deputato al Parlamento, divenuto, poi, direttore de II Messaggero e a New Jork direttore del Progresso italo-americano.
Apparivano su il Popolano anche le firme di Ostilio Lucarini, redattore de II Resto del Carlino, Peppino Tricarico, redattore de II Mattino di Napoli, l'on.le Guido Compagna, Ciccio Longo, Luigino Bruno, Giovannino Policastri, Francesco Grillo che si trasferì a New Jork, e Peppino Galtieri che, invece, raggiunse Buenos Aires.
Le altre firme di prestigio furono quelle di Francesco Maradea, poeta, di Domenico Gallerano, del figlio prof. Vincenzo, del prof. Fortunato Bruno, di Antonio Julia, poeta di Acri, dell'avv. Francesco Rossi, di Giovanni Patari (Alfio Bruzio), del prof. Vincenzo Tallarico, di Gaetano Fino, di Lincoln Caviccioli, di Lettieri ed altri.
Tra i giovani: i fratelli dott. Luca e avv. G. Battista Policastri, i fratelli Michele e Ciccio Persiani, entrambi medici, i fratelli Tricarico, Arcangelo Liguori, Raffaele Amato e Francesco Santolucido.
Il Popolano fu soppresso dal Fascismo nel 1930, in seguito alla pubblicazione di un articolo di Curzio Malaparte e di articoli di altre personalità che invocavano una certa moralizzazione del Partito.
E Francesco Dragosei fu espulso dal Partito Nazionale Fascista e dal Sindacato Giornalisti. Fu quello un momento terribile per il cavaliere tant'è che il figlio Italo, con animo commosso e con molta sincerità, così scrisse su II Popolano -2a serie - del 23 dicembre 1945: "Questo giornale era più che un figlio per l'uomo che lo aveva creato e che lo animava della sua stessa vita. "Quell'uomo, nostro padre, era un ingenuo: credeva nella libertà, credeva nel prossimo, credeva nell'amicizia; credendo nella libertà quando già da un lustro la libertà era stata soppressa -finì col perderla: dal prossimo fu misconosciuto, da certa amicizia ebbe grosse delusioni se non ne fu addirittura tradito.
"Nostro padre, anche se talvolta condusse una vita disordinata, da artista -come suoi dirsi in provincia - era un lavoratore instancabile e questo nemmeno i suoi nemici osarono mettere in dubbio.
"Uomo attivissimo, passionale, impulsivo, lavorò molto, più di quanto le umane possibilità permettessero; lavorò per la sua famiglia e per il suo paese, due cose nelle quali credeva assai. Ci sono ancora uomini della sua generazione che possono dire quanto Egli abbia fatto per questa Corigliano che tanto amava.
"Questa vibrante, insonne attività fu mal ripagata - non dal popolo che sempre lo amò, anche nella sfortuna - ma da pochi uomini. Eravamo ragazzi quando la nostra casa andò in rovina e pur ricordiamo di aver visto tutto crollare intorno a noi; lo ricordiamo con chiarezza impressionante, come se fosse stato ieri.
"Tutto rovinò: un'attività dopo l'altra; rasentammo la miseria, non ignorammo lafame e le umiliazioni più tristi.
"L'11 maggio 1930 non morì solo il Popolano, questo umile e sereno foglio di carta: quel giorno segnò anche la fine di Francesco Dragosei, ch'era stato soltanto un ingenuo e onesto lavoratore".
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1945, ci fu un primo tentativo di riportare alla luce la vecchia e gloriosa testata de II Popolano.
La direzione di questa seconda serie fu affidata a Francesco Santolucido che la mantenne fino al 1946.
Dal n. 1 del 6 gennaio 1947 ne assunse la direzione Italo Dragosei mentre condirettore responsabile fu Antonio Le Pera.
Nel giugno del 1948 la pubblicazione cessò.
Trascorreranno ventitré anni prima di riprovare con la 3a serie. Dal 25 settembre 1971 la direzione venne affidata a Ernesto Paura. Lo staff dei redattori era composto da France sco A. Arena, Mario Candido, Domenico Capano, Luigi De Luca, Giuseppe De Rosis, Antonio Formare, Antonio Pappacena, Ernesto Paura, Antonio Russo, Franco Scarcella e Stefano Scigliano.
Il giornale rimase in piedi fino al 1975. Da quel momento de II Popolano non se ne parlerà più.
Rovistando con curiosità radicale e con spirito di ricerca nella collezione de II Popolano, non sarà difficile ottenere, domani, la formazione di numerose antologie concernenti: l'arte del buon governo e l'oculata saggia gestione della cosa pubblica; assistenza privata e pubblica ai cittadini più abbisognevoli; l'educazione morale e civile del corpo elettorale; l'igiene e la difesa dell'ambiente naturale (argomenti, questi, come si vede, di grande attualità); il movimento operaio e le prime forme di associazione; gli usi e i costumi locali. Si potrebbero ancora allestire delle antologie di novelle e di racconti di alta poesia, tanto nella lingua di Dante quanto in spigliato coriglianese ed acrese.
Ricomparirebbero, così, i nomi e i cognomi delle più alte ed espressive voci poetiche: dal coriglianese Francesco Maradea allo acrese Antonio Julia; e, per le nuove leve poetiche di allora, si troverebbero in primissima linea, Vincenzo Tieri, Ostilio Lucarini e Giuseppe Galtieri.
Infine, il futuro storico di Corigliano troverà nella monumentale collezione de II Popolano la fonte più ricca, più limpida e fresca dell'ultimo periodo della nostra storia cittadina; e ciò è indispensabile per la successiva integrazione della crono-historia di Corigliano Calabro del dott. Giuseppe Amato, che è la più moderna ed aggiornata fino a tutta la prima metà del secolo scorso.
Che dire, ora, della schietta ammirazione e della stima di cui è oggetto, ancora oggi, don "Ciccio" Dragosei?
Per la sua rievocazione non mi sono affidato solo ai ricordi della mia lontana giovinezza, anche se vivissimi e copiosi, né mi sono accontentato di chinarmi su molte "carte sparse", or mai ingiallite dal tempo, ma ho ritenuto doveroso, anche ai fini della obiettività e della compiutezza della mia esposizione, documentarmi ulteriormente ascoltando anche la voce di molti coriglianesi emigrati in Argentina.
Francesco Dragosei nacque a Corigliano Calabro da Luigi e Maria Grazia Medolla il 18 febbraio 1859 e morì il 9 ottobre 1938.
Suo padre, tenente della Guardia Nazionale, perì a ventun anno in un'imboscata dei briganti.
Uno zio, Alessandro, avvocato e maestro elementare, divenne poi direttore didattico.
Pioniere del cinema, fondò il cinema "Trento e Trieste" nel 1909, uno dei primi locali sorti in Italia.
Adattò a teatro lo stesso locale che ospitò, nei primi tempi, primarie compagnie delle quali fecero parte attori come Turi Pandolfini, Umberto Spadaro, i fratelli Libassi.
Scrisse e fece rappresentare in diversi teatri d'Italia il dramma sacro Vita di S. Francesco di Paola.
Francesco Dragosei fu direttore e fondatore della Banda musicale cittadina per circa 40 anni. Fu anche autore di varie marce e ballabili.
Sindaco, assessore e consigliere comunale al Comune di Corigliano per oltre 35 anni. Si è sempre battuto per dare l'acqua, l'ospedale e le strade al suo paese.
Editore e stampatore, creò la prima tipografia a Corigliano e pubblicò nel 1917 un volume, LA FORNACE, a beneficio degli orfani di guerra.
Stampò tutte le opere del prof. Francesco Maradea (Foglie Sperse, Storia di un amore, eccetera), libri di Giuseppe Tricarico e di Vincenzo Tieri e di altri autori che con lui affilarono le prime armi. Stampò anche una storia di Corigliano.
Nei tempi andati favorì la stampa del giornale GIOVINEZZA, curato e diretto da Vincenzo Tieri, allora tredicenne, e consentì la pubblicazione di un giornale ai più grandi di età, L'IRIDE, curato e diretto da Francesco Lettieri.
Interventista, aderì al Fascismo dalla fondazione, per esserne poi espulso nel 1929-302.
Fu nominato cavaliere della Corona d'Italia.
In occasione della visita di Vittorio Emanuele III (allora Principe di Napoli) ricevette in dono una preziosa spilla con brillanti e rubini, con le iniziali del futuro sovrano.
Fu amico di Francesco Compagna, di Guido Compagna, di Italo Carlo Falbo; e in ottimi rapporti con Luigi Federzoni e con altri parlamentari del tempo.
Il 27 maggio 1932, nonostante il divieto di pubblicazione, fece uscire un numero unico de IL POPOLANO con un vibrato saluto al Principe di Piemonte, Umberto, e alla sua consorte.
Nei primi anni Sessanta, il mio amico Vincenzo Tieri, famoso giornalista e commediografo, tracciando una sua breve autobiografia, finì col parlare su COR BONUM del suo Maestro, Francesco Dragosei. Ecco alcuni passi importanti: "Tutto ciò che imparai da Francesco Dragosei e tutte le attività che io esercitai da ragazzo e da giovane con lui sono le stesse attività che in maggior proporzioni ho svolto e svolgo tuttora: giornalismo, teatro, politica; per cui, parlando di me, parlo implicitamente di lui, del suo giornale, della sua tipografia, che furono fucina di giornalisti e scrittori come Italo Carlo Falbo, diventato, poi, direttore del più diffuso quotidiano romano; Ostilio Lucarini, giornalista e scrittore a Bologna; Giuseppe Tricarico, giornalista e scrittore a Napoli; Italo Dragoseie e Luigi Bruno, giornalisti e scrittori a Roma.
"Dragosei fu per il suo paese una fonte di energia, di operosità, d'iniziative ovunque da lui strenuamente difese: in piazza, in consiglio comunale, sul giornale. La sua cultura non era vasta né profonda ma infinitamente varia; inquiete e instancabili erano le sue curiosità intellettuali e sociali, acutissimo il suo fiuto di quel che andava e di quel che non andava, numerosi gli interessi materiali e spirituali che ne facevano il promotore delle più importanti attività cittadine. Egli aveva editorialmente la stoffa dei Rizzali e dei Mondadori; giornalisticamente quella degli Chauvet; nel campo dello spettacolo quella dei Suvini, dei Papa, dei Paone;nel campo musicale quella dei Vessella, Levate un uomo come lui dall'ambiente comunale angusto e avrete un grande editore, un giornalista di fama, un capitano d'industria".
In verità, di Francesco Dragosei continuano a parlare ancor oggi le sue opere: le cento e cento battaglie combattute con fermezza di convinzione e coraggio morale, nel consiglio comunale, in nome degli eterni ideali di libertà (la libertà, per lui, fu norma, ma più ancora fu sostanza di vita!), della democrazia, del diritto di tutti al lavoro ed all'istruzione; del rispetto della dignità della persona umana, del disinteresse personale nel governo della cosa pubblica e della giustizia sociale.
Don Ciccio vive nel suo giornale, che fu una voce nuova e squillante, la voce di Corigliano; una bandiera di rivendicazioni sociali ed un aulente focolare di idee. Vive qui, nella redazione del suo giornale, e vigila perché essa sia ancora un cenacolo d'idee e lievito di vita. Vive nel cinema e nel teatro comunale "V Valente", da lui introdotti nella sua Corigliano, per l'elevazione spirituale del suo popolo, quando tutti "dormivano".
Ma, soprattutto, vive nella storia dell'editoria meridionale; vive e risplende in tutta la sua magnificenza delle sue intenzioni creative tradotte in fatti concreti e in opera di civiltà.
Penso che per cogliere l'essenza di quest'uomo - eccezionale per vigore d'intuito, per tenacia di volontà, per opera costruttiva, - convenga rifarmi a quella pagina dove il sommo W. Goethe dice: "Pensare è facile, agire è difficile; agire secondo il proprio pensiero è ciò che vi è di più difficile al mondo".
Ora, a me pare che un'intelligenza aderente alla realtà effettuale e una volontà illuminata dalla ragione dovessero, appunto, generare in Francesco Dragosei un'armonia fra quella dote squisita e non comune che si chiama intuito e la vita, fra gli ideali e la vita, fra gli ideali e le opere, fra la realtà socioeconomica della sua Corigliano e la politica nel campo amministrativo.
In tale equilibrio, in sì compiuto raccordo fra l'uomo d'intuito e l'uomo d'azione, mi pare che si annidi il segreto della personalità così largamente dotata (compreso anche il dolore) come quella del cav. Dragosei.
Su tale terreno mi pare affondino, sicure radici, la tempra adamantina del suo carattere, la tenacia nel lavoro, l'anelito verso l'elevazione del suo popolo.
L'Uomo non vacillò mai, nemmeno come quando, giunto sul crinale della sua vita tumultuosa allorché avrebbe dovuto godere per le sue opere di bene sociale, fu toccato, per ragioni
esclusivamente politiche, dagli aculei della nequizia umana. Senza quel raccordo cui accennavo non si comprenderebbero a pieno le molteplici sue realizzazioni sociali e culturali, poiché esse
sarebbero come avulse dall'ispirazione, dall'intuito; né sarebbe stata feconda la sua visione dell'ideale, ossia la forza di tradurre quella sua idea-forza del progresso in fatti concreti.
Il ritornello di una delle più popolari canzoni militari statunitensi del tempo di Dragosei ripeteva che "I vecchi soldati non muoiono: scompaiono". E come il soldato di quella canzone, da lui musicata durante lo svolgimento delle epiche battaglie del Piave, probabilmente per accompagnare, con la sua voce rincuoratrice ed augurale, i suoi concittadini schierati su tutti i fronti della guerra, egli è scomparso da vecchio combattente.
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La "Lettera aperta dal mondo ultraterreno ai coriglianesi" reca la firma di Francesco Dragosei. In realtà, fu scritta da Francesco A. Arena e pubblicata su "II Popolano" del 25 settembre 1971.
S.A.
LETTERA APERTA DAL MONDO ULTRATERRENO AI CORIGLIANESI
Aldilà, settembre 1971
Miei carissimi concittadini, il fatto che io sia passato a miglior vita non impedisce al mio spirito, invitto e vigilante, di aleggiare intorno e in mezzo a voi,di guardare-libero da ogni passione, - a destra e a manca, di girare per le vie e le piazze cittadine, -rimaste pressoché intatte, e di spingere lo sguardo indagatore lontano, -sulle verdeggianti e solatìe contrade della pianura, fino alla stupenda Marina Schiavonea,-e tutt'intorno (dalle dolci colline della contrada "Costa" all'erta "Piana di Caruso", orba ormai dei suoi lussureggianti castagneti), - allo scopo di rendersi edotto di tutto ciò che avviene nella circoscrizione territoriale della nostra diretta diletta città (dove riposano le mie spoglie mortali) e d'interessarsi, ancora e sempre (con suggerimenti a voi e preghiere a Dio Onnipotente), ai problemi cittadini che ancora reclamano una razionale e pronta soluzione.
Certo, i tempi ed i costumi sono cambiati ed i bisogni individuali (quelli, s'intende, di civiltà) si sono accresciuti a dismisura; ma, parlandovi con estrema franchezza, vi dico che i vostri problemi fondamentali sono, invece, essenzialmente, gli stessi da me vissuti e che, pur essendo stati, allora, risolti, si sono, poi, ripresentati in forma nuova e, forse vi sembrano acuiti e moltiplicati a causa dell'incremento demografico ed edilizio e della contraddittoria civiltà dei consumi in cui vivete, senza accorgervi, però, di uccidere la poesia della vita!
Come molti di voi ricorderanno, al progresso civile della comunità coriglianese io, quando ero in vita, consacrai, svisceratamente e con assoluto disinteresse, le mie migliori energie, sia dal mio posto di responsabilità, quale consigliere comunale, sia dalle spigliate e pugnaci colonne de "II Popolano", (vecchia bandiera da me issata nel 1882, quando, nell'Italia meridionale, quasi tutti dormivano).
Adesso ,vedo, con i miei occhi di trapassato, che molto è stato fatto finora, dal dì della mia dipartita; ma,al tempo stesso, noto che esistono pure moltissime brutture , che io, col distacco del mio stato di rinato alla Vita Eterna, chiamerò col nome effettuale.
L'incuria e l'indifferenza di molti, nonché la bramosia di facili guadagni e di sfarzo di molti altri,finiranno col privarvi dei grandi benefici derivanti dall'ambiente naturale, di cui la nostra Corigliano ha goduto da tempo immemorabile.
Mani sacrileghe hanno già devastato interi boschi e numerose zone verdi, distruggendo, così, non solo l'estetica, ma anche la vita di domani, sovvertendo il clima, rendendo l'aria insalubre e provocando smottamenti e rovine. Noto, inoltre, una circolazione automobilistica spettacolare, disordinatissima, anzi indisciplinata e caotica e, spesso, pacchianamente assordante, e lunghissime file di auto in sosta lungo i due lati di Via Roma e di Corso Umberto, ed altre ferme in punti nevralgici, ora perché alcuni autisti confabulano -sotto gli occhi imperturbabili dell'imponente corpo dei Vigili Urbani-con amici di transito, ora per scaricare o caricare merci. Vedo tratti di via di qualche quartiere cittadino di Corigliano alta, e vie di diversi rioni popolari, ancora "depressi", colmi d'immondizie. Che dire, poi, dell'incivile abbandono in cui è tenuto da un quarantennio il rione dei "Mazzi j Janni"? Una vasta e amena collina , molto panoramica, bene in vista a tutti , essendo situata, come voi sapete, a monte di via Margherita , diventata ora , oltre che brulla, una orripilante esposizione pubblica di rifiuti ed un serbatoio di infezioni, grazie al disservizio della nettezza urbana. E ancora: torcendo gli occhi esterrefatti dai "Mazzi j Janni", vedo che la cara Villa Comunale è ridotta ad un povero e misero simulacro, sol perché un'eminenza grigia forestiera, ma che aveva bevuto, come tante altre, "l'acqua di San Francesco", ebbe il capriccio di fare abbattere, barbaramente, gli annosi alberi, al fine di creare l'area per la costruzione di quell'orribile capannone (da "masseria" di altri tempi), gabellato per ufficio postale moderno, con tutte le conseguenze che voi, miei carissimi concittadini, conoscete meglio di me.
Con siffatta mentalità e gestendo la cosa pubblica non a servizio di tutti i cittadini, e senza un programma organico e completo dei lavori pubblici (concernente anche il consolidamento del suolo), tale, cioè, da realizzare una coesistenza armonica di Corigliano vecchia, storica, e di Corigliano nuova, ancora senza storia, io riesco a spiegarmi anche le altre brutture. Una "selva selvaggia" di mostruosi grattacieli, veri casermoni umani di cemento armato, che, -fatti costruire alla garibaldina, calpestando leggi sismiche e regolamento edilizio (mentre, per giunta, già si faceva un gran parlare di urbanistica programmata )-, hanno distrutto oasi di verde e di silenzio e assassinato il paesaggio. Ultima prodezza , l'enorme scatolone di cemento armato, che incombe minaccioso sul serbatoio dell'acquedotto e che si erge sul ciglio di un dirupo! Si è creato , così, anche il caos edilizio dovunque, poiché quanto avviene quotidianamente in Corigliano capoluogo, viene ripetuto e, talvolta, aggravato, anche nelle sue maggiori frazioni (Stazione, Marina, Sopralirto, ecc.).
Ma è proprio vero che Corigliano, patria di Santi, di Beati, di Martiri, di Eroi, di Musicisti, di Poeti, di Umanisti e Giuristi, è diventato "il paese dei fessi"?! Ho stentato a crederci; ma, purtroppo, poi, mi son dovuto convincere che nella espressione suddetta c'è del vero. Infatti, noto altresì, una gravissima deficienza in materia di edilizia scolastica; diverse usurpazioni di strade comunali rurali tollerate (mentre, in altri tempi, per meno di tanto, ci scappavano le dimissioni del Sindaco o dell'Assessore ai LL.PP), altre totalmente trascurate, ed usurpazioni di molti altri beni demaniali, dissipazione del demanio comunale; il Comune indebitato fino alla cima dei capelli; nuove cospicue ricchezze accumulate nel giro di pochi anni e non impiegate per scopi sociali; continuo rincaro del costo della vita; cariche pubbliche accentrate nelle mani delle solite poche persone a voi note; gente che cambia mestiere dalla sera alla mattina. Noto, infine, una strana inattività dei partiti politici, i quali, sebbene indeboliti all'interno dal pullulare delle correnti e delle ambizioni individuali, usciranno, -ritengo, - a bandiere spiegate dall'attuale letargo, per dare l'assalto, l'anno prossimo, alla Casa Comunale, in nome del popolo sovrano!
Grossi vecchi nodi son venuti al pettine: arresto, da oltre un anno, dei lavori del decantato super-porto petrolifero di Sibari e ritorno offensivo dell'industria pesante, mentre Cosenza, nell'"Area industriale" già fa la parte del leone, accaparrandosi le industrie manufatturiere. Inoltre, nessuno degli alti papaveri locali pensa alla soluzione del problema principe d'approvvigionamento idrico . Una ventina d'anni fa, il mio spirito vigilante si era rallegrato, vedendo che, giunta l'acqua del "Fallistro", erano cessate anche le "scerre" a getto continuo che avevan luogo per attingere, col misurino, l'acqua dai pochi fontanini pubblici. Purtroppo, quel rallegramento è stato temporaneo, giacché, fatte disperdere insipientemente le acque che alimentavano il vecchio acquedotto e lasciata incustodita la parte montana della condotta idrica, del prezioso elemento si è fatto tanto scempio,per scopi diversi da quelli cui l'acqua del "Fallistro" era destinata, e voi, miei carissimi concittadini, tra un paio d'anni, sarete condannati a patire la sete. Di fame non si muore, ma di sete sì !
Siate, dunque, vigili e fate correre chi di dovere ad apprestare i rimedi necessari senza indugio!
Che dirvi di più ? Solo posso assicurarvi che la nuova edizione de "Il Popolano" saprà difendere, strenuamente, i vostri sacrosanti diritti ad una vita civile e vissuta secondo la dimensione dell'uomo.
Benedico i pensieri e la fatica della nuova famiglia de "II Popolano", che si accinge ad esplicare con dedizione, e senza alcun interesse particolare che non sia il bene comune, - in siffatta situazione così difficile - la sua feconda attività, augurandole, toto corde, buon lavoro, coronato dal più lusinghiero successo e sonetto, penso, dalla fiducia della popolazione coriglianese, residente costà, e da quella delle nostre comunità, tanto benemerite, sparpagliate in tutte le città d'Italia.
Concittadini, redatto da uomini liberi e forti, "II Popolano" sarà sempre il vostro giornale! Vi raccomando vivamente di accordargli anche la più fervida e fattiva collaborazione, segnalandogli tutti i problemi, piccoli o grandi non importa, rimasti insoluti nei vostri quartieri cittadini e nelle zone di campagna. E, nel mentre vi ringrazio sentitamente di quanto farete per diffondere il vostro giornale, vi auguro concordia sociale, ordinato progresso civile, benessere e perenne felicità.
Saluto, cavallerescamente, i periodici locali.
Saluto calorosamente le popolazioni dei comuni viciniori.
Infine, esprimo i più fervidi voti augurali alle numerose e laboriose comunità di Corigliano, che, nelle due Americhe e in altre regioni extraeuropee, portano nel cuore l'immagine della comune amatissima città natale, e a quanti, non avendo trovato stabile lavoro in casa propria, si trovano nella Germania Occidentale, nella Svizzera, nella Francia. E li conforti, nel loro volontario esilio, la voce della cara terra natale, espressa anche attraverso "II Popolano".
A prova della mia riconoscenza, vi faccio omaggio della copia del primo numero de "II Popolano", che m'ero portato appresso nell'Aldilà.
Vostro affezionatissimo FRANCESCO DRAGOSEI.
(n. 18-11-1859 — m. 9-10-1938)