L’esplorazione botanica in Calabria nell’ottocento e la figura di Domenico Solazzi Castriota (1810-1860).
L’esplorazione botanica in Calabria nell’ottocento e la figura di Domenico Solazzi Castriota (1810-1860).
Introduzione
La memoria del Solazzi fu pubblicata nel 1845, l’anno stesso del Congresso scientifico. Ma da allora questa relazione è rimasta chiusa nelle pagine di quell’introvabile libretto e in ancora più rare raccolte di opuscoli botanici dove noi l’abbiamo rinvenuta.
Giuseppe Amato, pur fornendoci preziosissime notizie sulla vita del nostro, per la vastità degli argomenti che aveva da trattare nella sua Crono-istoria ci dice soltanto che il Solazzi pubblicò una memoria su alcune piante in gran parte sconosciute di Corigliano [1].
E medesima sorte sarebbe toccata al suo prezioso erbario che, insieme ai preziosi archivi del suo casato, sono giunti sino a noi grazie all’intelligenza delle mani che li hanno posseduti e alla generosità del compianto avvocato Mario Policastri persona illuminata e sensibile.
Accanto alle esplorazioni alla ricerca della mitica città di Sybari che tanto caratterizzò le osservazioni e i viaggiatori del “Grand Tour” provenienti da luoghi lontani alla ricerca di antiche città, i nostri botanici che pur discostandosi dalla tradizione letteraria del grand tour, vanno alla scoperta di un ‘nuovo mondo’; occorre accostare le osservazioni e le esplorazioni botaniche che insieme a costumi, usi e abitudini costituivano tutti gli ingredienti per poter parlare di un “nuovo mondo”.
Ma lo stimolo di scoprire per primi regioni poco note o sconosciute di quest’ultimo lembo del regno riusciranno a fare superare le incertezze e i timori che comportava avventurarsi per le sconosciute contrade cui portavano solo strade malagevoli e disseminati di pericoli.
Ma non per tutti era così a dimostrare quanto di diffidente vi fosse nel giudizio dei forestieri sulla Calabria. Giuseppe Sacchi, un viaggiatore che nel 1835 ebbe modo di intraprendere un viaggio a Napoli e nelle Calabrie, era di avviso diverso. «Per alcuni paurosi – scrive il Sacchi nel capitolo dedicato alla Calabria – il nome di Calabria suona lo stesso che nido di ladri e di assassini: eppure non è così. Io la percorsi a piedi tutta quanta, e non mi avvenne alcun disastro. Quando a Salerno levai il passaporto, mi chiesero le Autorità se voleva una scorta, e ne le ringraziai: quando mi congedai dagli amici, tutti cercarono di dissuadermi da quel viaggio; ma vedutomi fermo nel mio progetto, mi diedero il buon dì, e il buon anno, dicendomi, che se voleva giuocar la vita era padrone, ma essi non me l’avrebbero al certo assicurata. Con questi mali presagi mi posi adunque in cammino»[2].
Sino all fine del XVIII secolo pressoché inesistenti erano le notizie sul patrimonio botanico-floristico della Calabria. Se si eccettuano sporadiche informazione, le osservazioni si erano limitate a scarne note su alcune piante commerciali. Barrio, che tra i primi descrive i prodotti della terra di Corigliano, ci ricorda infatti cedrus, glycyrrhyza glabra, linum angustifolium, capparis sicula e c. rupestris, myrtus communis, thymus ed origanum virens, mentha rotundifolia, ecc.
Nel 1826 Michele Tenore, insieme a Luigi Petagna e G. Terrone, compiono una escursione scientifica in Basilicata e nella Calabria Citeriore i cui resoconti furono poi oggetto di una relazione pubblicata in quell’anno. Questa escursione scientifica si verifica quando era in corso già da alcuni anni la pubblicazione della Flora napolitana, un’opera divenuta in breve “assai apprezzata negli ambienti scientifici, per la moderna concezione che la sosteneva e per la ricchissima iconografia che la illustrava”[3]. Le motivazioni di questa spedizione erano quelle di ampliare l’erbario napoletano e, nel contempo, offrire nuovo materiale di studio e di conoscenza alla Flora del Tenore.
Con lo sviluppo della scuola botanica napoletana, si prese ad indagare sulla flora del regno di Napoli. Ma ancora le informazioni agli studiosi dell’Università di Napoli erano fornite da corrispondenti e collaboratori locali. «Si comprende, pertanto – come scrive Luigi Troccoli – l’interesse dei botanici dell’800 a constatare de visu la consistenza della flora calabrese».
Ora la memoria sulle piante rare e parte dell’erbario sono presentati all’attenzione dei lettori in modo da consentire la conoscenza e la lettura.
L’erbario non è soltanto un attento inventario della vegetazione osservata, ma……….
La pratica della erborizzazione, cioè della raccolta e classificazione sistematica delle specie locali…..
Ma quali erano le condizioni in cui si viaggiava nelle province del Regno. L’assenza quasi generale di strade e i rischi derivanti dal brigantaggio diffuso in molti luoghi del regno, unitamente agli impedimenti di un territorio afflitto dalla malaria endemica e dalle innondazioni torrentizie che impaludavano ampi tratti pianeggianti, rendeva percorribile il territorio preferibilmente in alcuni periodi dell’anno, nella stagione estiva, rendevano i viaggi un autentica avventura.
E tutt’altro che di aiuto erano le parole che alcuni viaggiatori stranieri scrivevano in quei primi decenni dell’Ottocento. Astolphe De Custine, che nel 1812 attraversava i pantani e le risaie acquitrinose della valle de Crati scrive «Questa valle è diventata la tomba di un gran numero di francesi durante l’ultima guerra… Gli uomini sono fuggiti verso le regioni abitabili e la morte tende l’agguato al viaggiatore…Contemplavo con sorpresa e spavento le rive del Crati» [4]. Mentre scriveva questa parole De Custine ricordava la rivolta antifancese scoppiata in Calabria a Maida e che proprio a pochi passi da qui, a Corigliano il 6 agosto 1806, aveva subito un’altra sanguinosa resistenza.
Le comunicazioni interne tra Napoli e la Calabria erano affidate unicamente alla strada consolare, o via regia, detta “delle Calabrie”, che rendeva percorribile il percorso in carrozza. Ma per molti tratti del territorio le strade, soprattutto d’inverno, erano transitabili solo con cavalcature a cavallo o a dorso di mulo. Pur tuttavia, «per recarsi nelle Calabrie, se proprio non si poteva evitarlo, si preferiva ancora il mare»[5].
Le condizioni migliorarono decisamente tra il 1815 e il 1860 quando i Borboni, restituiti del loro regno, compirono un notevole sforzo per migliorare le condizioni della viabilità del reame. L’arrivo di una vettura in questi luoghi non era più quell’evento raro che destava grande attrazione e curiosità al loro passare. Ora per portarsi da Napoli a Cosenza occorrono poco o più di cinque giorni di viaggio.
Dopo aver attraversato la piana e superato i vari pericoli, giungere a Corigliano era piuttosto agevole da dove si arrivava superando un robusto ponte formato da cinque (?) robusti archi di fabbrica.
Si cercava ospitalità per prendere un po’ di riposo o presso qualche convento di frati.
Domenico Solazzi Castriota
Un botanico coriglianese vissuto nell’Ottocento.
Il rinnovamento della botanica
Prima che il naturalista svedese Carl von Linné (1707-1778) fondasse il sistema di classificazione basato sulla nomenclatura a due nomi, lo studio delle piante non era ancora sistematizzato e preciso come poi avvenne[6]. La botanica era una materia non del tutto ben definita e i più attenti osservatori non erano i botanici, ma medici. Questi se ne servivano per ricercare - come accadeva per tutte le cose che allora costituivano il mondo della natura - rimedi per curare i mali. I primi erbari non erano altro che raccolte di piante e di effetti medicamentosi, come ci prova un classico della botanica prima di Linneo, l’Herbario nuovo di Castore Durante [7].
Con gli studi di Linneo, Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708) [8], George-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788), e ancor più con quella nutrita schiera di studiosi e naturalisti che contraddistinsero lo studio della botanica tra la fine del Settecento e la prima metà del secolo seguente, viene fornito il metodo per raccogliere, denominare e classificare i prodotti apparentemente infiniti della natura.
Tra il 1830 e il 1848 nel campo della Botanica esplose un fervore di studi, di polemiche e di discussioni mai osservato prima. Allo sviluppo e alla definizione di questa materia, insieme ai più noti studiosi d’oltralpe, Decandolle, Desfontaines, Willdenow, partecipano anche i botanici italiani rivolti verso un confronto e ad una collocazione più nazionale ed europea.
Un importante contributo alla conoscenza e allo studio della flora della penisola italiana venne svolto da alcuni botanici meridionali che nell’Ottocento vide affermarsi tra i nomi più prestigiosi il botanico napoletano Michele Tenore[9], Giovanni Gussone[10], Guglielmo Gasparrini, Vincenzo Stellati [11], Fabio Colonna, Antonio Prestandrea, Francesco Tornabene e, tra altri ancora, il botanico e uomo politico coriglianese Domenico Solazzi Castriota.
L’Ottocento fu un periodo di grandi progressi. Il positivismo e le teorie nuove che caratterizzarono questo secolo trovarono tra gli intellettuali di Napoli grande accoglienza ed interessi, come riprova il fiorire di idee e di istituzioni scientifiche (l’orto botanico, il museo mineralogico, l’osservatorio vesuviano, la stazione zoologica).
La disciplina scientifica predominante è ancora la medicina ma altre materie, avvalendosi dei metodi di altri settori di ricerca, confrontandosi con i risultati di altre discipline, si perfezionano. In ogni campo vengono privilegiate le osservazioni e la sperimentazione. Il sapere è ancora nelle mani dei medici ma sono proprio questi “che formano e preparano a Napoli le giovani generazioni di naturalisti”[12]. La botanica assurse così ad un ruolo di reale autonoma materia nel più vasto campo delle scienze. Accanto a ricerche mirate a individuare e descrivere nuove specie e varietà si affiancano ora vere e proprie indagini di biologia vegetale [13].
L’ambiente familiare
Domenico Solazzi Castriota nacque a Napoli nel 1810 da Baldassarre e da Maria Antonia Messia de Prado[14].
I suoi genitori probabilmente trascorrono già lungo parte dell’anno in Calabria quando, dopo la nascita del piccolo Domenico, ci risultano dimoranti stabilmente in Corigliano dove appaiono censiti tra le famiglie abitanti in questo luogo. Suo padre, il cavaliere Solazzi, appartiene ad uno dei casati più importanti ed influenti di questa città. La sua famiglia risiede in un grande edificio situato nei pressi della chiesa di Santa Maria della Piazza.
Dagli stati delle anime dell’anno 1812 apprendiamo che nel palazzo avanti S.Maria il nucleo familiare era composto da nove persone. La primogenita dei Solazzi era Isabella, di anni dieci, che precedeva Irene e Caterina, rispettivamente, di nove e sette anni. L’unico maschio è Domenico che ha due anni. Ma insieme ai quattro figli abitavano con la coppia anche le anziane donne di famiglia. All’educazione del nostro provvedono, oltre alla madre, le tre anziane zie, donna Emilia, donna Innocenza, entrambe ultrasessantenni e l’anziana donn’Anna Abenante (figlia del magnifico don Antonio e di Isabella Solazzi), che non doveva rinunciare a dispensare qualche consiglio malgrado i molti malanni, più che giustificati, considerando la sua veneranda età di 80 anni[15]. Ma l’ambiente ‘familiare’ era molto più numeroso e molto più dinamico di quanto non sembri. Secondo le consuetudini del tempo, nella stessa casa trovavano ospitalità la servitù, il cocchiere ed altre persone gradite ai Solazzi[16]. Così come, qualche anno più tardi, nel 1814, Isabella, Irene e Caterina sono assenti perché a Napoli per completare l’educandato[17].
Ancora piccolo, nel 1817, insieme al padre e al resto della famiglia compie un viaggio attraverso l’Italia[18].
Spesso assente risulta anche il cavaliere, sempre più spesso nella capitale impegnato a gestire affari ed incarichi di rappresentanza. Negli anni 1809 e 1814 egli aveva accresciuto le fortune di famiglia sino a diventare uno dei più facoltosi uomini del regno. Il cavalier Solazzi è in questo periodo membro del Consiglio Provinciale della Calabria Citra. A Napoli abita dapprima sulla strada di Chiaia, in un appartamento concesso in fitto dal Duca di Monte Gaetano Chaves[19] poi, nel 1820, Baldassarre si trasferisce in borgo San Lorenzo in un edificio di sua proprietà che fa abbellire da pittori ed architetti[20]. E qui si trova ancora negli anni 1824 e 1826 [21].
Corigliano è uno dei luoghi più fiorenti luoghi del regno. Poco dopo la chiesa di Santa Maria della Piazza, sulla strada del rione Serraturi, si vede un palazzo dal prospetto modesto ma nobilmente elegante, il più elegante tra gli edifici situati su questa via. Sul lato opposto l’edificio rivela tutta la sua sontuosità e magnificenza. Ancora oggi, malgrado sia stato sfigurato da manomissioni e aggiunte, si mostra nelle sue pure linee architettoniche ritmate da ampi finestroni coronati da frontoni ricurvi e triangolari alternati tra loro[22]. La dimora dei Solazzi era in quel tempo, dopo quella feudale dei Compagna, il più vasto edificio della città. All’interno trovavano spazio ogni sorta di comodità. Tutto era pensato per soddisfare i bisogni, ed i doveri, degli abitanti che dovevano trovare tutto all’interno dell’edificio. Qui erano ricavate le numerose stanze per gli ospiti, ornate di carte al soffitto e di vetri alle finestre, le cucine, la sala pranzo e l’oratorio privato dove, in teche sigillate, erano custodite le reliquie di famiglia, un frammento del Legno della Croce, di Santa Filomena, un frammento della tonaca di San Francesco di Assisi e quel fico che San Francesco di Paola aveva donato nel 1478 ad un antenato della sua famiglia.
Che dimostrano tuta l’agiatezza dei loro proprietari
Da questo edificio Solazzi poteva osservare le molteplici varietà della flora mediterranea, macchie di colore ora di un verde intenso ora cangiante verso il blu, che precipitando come mille rigagnoli in un fiume, come radici, davano forma ad un albero immenso che spande la sua chioma nella pianura innanzi.
L’amore verso la terra e l’attrazione verso il mondo della natura devono averlo incuriosito sin da ragazzo, probabilmente durante le frequenti escursioni nei vasti fondi che la sua famiglia possedeva a Corigliano. Ma i rapporti con la città che lo vide nascere furono sempre molto stretti. A Napoli compie i suoi studi di botanica frequentando l’Istituto universitario annesso al Reale Orto Botanico. Il soggiorno nella capitale gli offre l’opportunità di conoscere e frequentare personalità di primo piano del panorama culturale del tempo. In questi anni stringe amicizia con il botanico Guglielmo Gasparrini (1804-1866) di Castelgrande (Basilicata). Collaboratore di Giovanni Gussone, il Gasparrini aveva effettuato esplorazioni botaniche sul suolo di Sicilia e di fare molte osservazioni che il Gussone, suo maestro, utilizzò nel compilare la Flora sicula. Successore nel 1828 di Gussone nella direzione del R.Orto botanico di Boccadifalco presso Palermo, alla soppressione dell’orto fece ritorno a Napoli dove insegnò per qualche tempo botanica all’Istituto veterinario. Il Gasparrini fu tra i principali fautori del nuovo indirizzo che l’attività di ricerca doveva prendere all’inizio degli anni sessanta spostandosi dall’Orto Botanico all’Istituto Universitario e dalle osservazioni floristiche alle indagini sull’anatomia, la fisiologia e l’embriologia delle piante. A Napoli Solazzi conosce anche Carolina, figlia del conte don Luigi Gaetani, destinata a diventare sua moglie.
Nel 1830, non ancora ventenne, si unisce in matrimonio con Carolina Gaetani che ha appena compiuto la maggiore età. Da Napoli, da dove arriva con un fastoso seguito degno della migliore nobiltà, donna Carolina porta a Corigliano, insieme alla ricca dote, anche il cuoco e la cameriera personale, entrambi napolitane, e tre ancille[23].
Due anni dopo, il 30 dicembre 1832, nasce a Corigliano la loro unica figlia. L’infante, cui vengono imposti i nomi di Maria Antonia e di Francesca, riceve il primo sacramento nella chiesa di Santa Maria della Piazza, tenuta a battesimo dalla zia Irene Solazzi Castriota e dal nonno il cavalier Baldassarre[24].
La permanenza a Corigliano per lui, desideroso di mantenere vivi ed intensi i rapporti con gli amici ed i colleghi napoletani, diviene ora sempre più lunga ed ininterrotta. Occorre badare agli affari di famiglia e con la morte del genitore le sorelle, pur abilissime imprenditrici, non possono occuparsene a lungo. Questa permanenza in Calabria, tuttavia, non gli impedisce di continuare a frequentare gli ambienti culturali della regione, diventando socio dell’attiva accademia cosentina di Società Economica, luogo di raccolta di valorosi scienziati e di distinti uomini di lettere, che con l’Accademia Cosentina insieme si distinguono “per zelo e per energia” (PTT, p.79).
e di coltivare i rapporti con colleghi e con il professor Gasparrini, ora fraterno amico, che sarebbe divenuto direttore dell’Orto Botanico.
Nel 1834 Domenico Solazzi, accompagnato dalla consorte, si trova a Napoli e due anni più tardi risulta ascritto tra i cavalieri del Sovrano Militare Ordine di Malta[25]. Al suo ritorno in patria, quale attestazione di stima e di grande reputazione, viene eletto negli anni 1835-1838 sindaco di Corigliano. In questi anni, mentre il colera imperversa a Napoli, si trova ad affrontare un flagello non meno terribile, il pauroso sisma che scuote la cittadina ionica il 25 aprile del 1836. In questo stesso periodo, negli anni 1835-1836, viene chiamato ad amministrare il Monte Oliverio, l’istituzione assistenziale senza fini di lucro fondata dal benefattore e filantropo coriglianese Giovan Battista Oliverio, che assisteva orfani e giovinette da marito privi di dote[26].
E’ periodo di grande prosperità per questo antico casato coriglianese quando, nel mese di giugno del 1840, sorpreso nel corso di uno dei suoi innumerevoli viaggi d’affari, muore a Napoli il padre, don Baldassarre Solazzi.
Nel 1841 viene nominato Procuratore e d Economo del convento dei Padri Riformati, un incarico di grande responsabilità e fiducia[27].
Sotto la sua Amministrazione vengono avviate e portate a compimento opere pubbliche di grande utilità. Per i lavori di ampliamento della strada che oggi conduce dal Ponte Margherita all’entrata di via Roma che allora collegava il Pendino con il largo dei Saponari, cioè la spianata di Sant’Antonio, per sopperire alla mancanza di fondi comunali il Solazzi e Luigi Compagna anticiparono di proprio 1.300 ducati sull’intera somma necessaria per eseguire l’opera poi portata a compimento negli anni 1842-43. Se è ben vero che la strada era di utilità anche per il loro conci di liquirizia che sorgevano al Pendino, era altrettanto vero che il suo mandato da sindaco era concluso e che ad altri toccava provvedere. Nel corso dell’ufficio seguente venne rese più praticabile e carrozzabile la via principale di Corigliano, quella che dal largo dei Saponari conduceva in piazza Muro rotto (ora piazza Vittorio Emanuele II), nei pressi del castello ducale[28].
In questo periodo, negli anni immediatamente a ridosso del congresso a Napoli, accoglie nella sua dimora di Corigliano Guglielmo Gasparrini, originario di Castelgrande, in Lucania, professore aggiunto nel Regio Archiginnasio Napoletano alla cattedra di Botanica retta in quel tempo da Michele Tenore.
Le attività e le indagini botaniche compiute in questi anni non ci sono note. Ma aveva in mente di realizzare una exsiccata, un erbario, una raccolta di tutte le piante spontanee che crescevano nel territorio di Corigliano. I dintorni di questa località si presentavano come un luogo ideale, dove ad una gran varietà di piante si univa un clima mite per lunga parte dell’anno. Con l’aiuto ed i suggerimenti dell’amico, «co’ consigli e la scorta de’ più valenti nostri botanici», andava raccogliendo una copiosa varietà di piante leguminose[29]. Giuseppe Amato che ebbe modo di conoscerlo, riferisce che dopo il congresso tenutosi a Napoli, «il Solazzi in unione del dottissimo Professore Guglielmo Gasparino si pose a nuove ricerche di altre piante ed erbe, e ne raccolse immensa quantità, in modo tale, che, tuttavia si conserva, nella Libreria del suo Palazzo, un’Erbario completo, classificato e descritto»[30].
In questo periodo si applica a raccogliere molti esemplari del suo erbario.
Per portare a compimento le sue osservazioni il Solazzi aveva creato sul giardino di proprietà privata confinante direttamente con il suo palazzo di Corigliano un erborario con qualche finalità scientifica, più che un vero e proprio orto botanico, del quale resta ancora traccia nel frutteto sottostante alla strada che scorre a fianco all’edificio. E’ un periodo di intensa attività botanica. «Nel tempo che ogni anno colà [a Corigliano] mi conviene di dimorare», scrive, non perde occasione per raccogliere e descrivere «le diverse e più rare piante di quelle regioni»[31]. Raccolte e descritte minuziosamente tutto ciò che c’era da descrivere, i campioni e le foglie raccolte venivano essiccate nella carta emporetica.
Nel 1845 il Solazzi viene invitato a prendere parte al Settimo Congresso degli Scienziati Italiani che si svolge a Napoli. Insieme a Giuseppe Campagna (1799-1868) [32], poeta e letterato di Serra Pedace, che espose un componimento letterario in ottave dal titolo La Scienza e l’Arte, rappresentavano nella sezione di Botanica la Società Economica Cosentina[33]. L’apertura del Congresso si tenne nel gran salone del Museo mineralogico della Regia Università, lo stesso luogo dove, di lì a poco, sarebbe poi ritornato in veste di Eletto alla dignità di Pari durante l’inaugurazione del Parlamento napoletano.
Nella capitale partenopea, favorita anche dalle attrattive archeologiche e naturalistiche, convengono scienziati e studiosi da ogni parte dell’Europa che compiono in questa occasione veri e propri viaggi scientifici.
Il Congresso degli Scienziati nella capitale del regno accadeva in un momento particolarmente favorevole, in un clima di grande consapevolezza nella ricostruzione della ricerca scientifica italiana. In questo clima di grande euforia non mancarono interventi e pubblicazioni che salutavano l’evento come tra i più importanti del tempo[34]. Il congresso napoletano dimostrava che non mancavano buone capacità intellettuali artefici di «un processo di rinnovamento profondo che avrebbe potuto dare frutti importanti de non fosse stato rallentato, soprattutto da cause politiche»[35].
In occasione di questo raduno Solazzi presentò le osservazioni che aveva raccolto su alcune piante spontanee dei dintorni di Corigliano.
Nel 1848 per sospetto liberalismo furono allontanati dal Regno l’amico Gasparrini, che era stato nel frattempo esonerato dal Ministero di agricoltura, e il Campagna accusati di sentimenti liberali[36]. A Napoli il Campagna era stato tra i più assidui frequentatori delle riunioni che si tenevano presso il Ferrigni dove partecipavano il fiore dell’intellettualità presente nella capitale, Silvio Pellico, Guglielmo Pepe, il Leopardi. Così come a casa dello storico Di Cesare dove s’incontravano Basilio Puoti, Alessandro e Carlo Poerio, Giuseppe Giusti e Michele Tenore. Queste riunioni, sebbene centrate su riflessioni scientifico-letterarie, non erano del tutto prive di una caratterizzazione politica. Ciononostante non si può dire che l’ordinamento politico che allora governava fosse del tutto ostile alla ricerca e alle nuove idee scientifiche. Altrimenti non si spiegherebbe «perché per tutto il periodo della monarchia borbonica (dal 1734 al 1860) la ricerca scientifica sia stata a Napoli più avanzata di quanto non fossero le sue pratiche realizzazioni» [37].
Anche il Solazzi, che trascorreva frequenti periodi dell’anno a Napoli conosceva molti di questi nomi e, forse, aveva frequentato anche di queste riunioni. Benché i suoi sentimenti fossero anche di una indiscussa fedeltà alla corona borbonica, “chiave d’oro” di re Ferdinando II e cavaliere di Malta, non dovevano essere del tutto alieni da emozioni liberali. Certamente il Solazzi apparteneva a quel ceto intellettuale con connotati politici cautamente innovatori propri della cultura alto-borghese meridionale. Così quando nel 1848 dopo aver giurato sulla Costituzione re Ferdinando indisse le elezioni per il Parlamento, Domenico Solazzi viene eletto alla Camera dei Pari,, l’assemblea corrispondente al Senato[38].
Le elezioni per l’elezione de’ Pari e dei Deputati si tennero il 18 aprile. Il Collegio Elettorale Circondariale riunitosi nella chiesa di San Francesco di Paola e, successivamente, nella Casa Comunale per consentire «a’ Padri Paolotti di poter celebrare gli uffizj sacri e sollenni del Mercoledì santo» proclamò eletto don Domenico Solazzi Castriota con 307 suffragi [39].
Gli anni successivi trascorrono tra attività di rappresentanza ed impegni di famiglia, ma è certo che non abbandonò del tutto i suoi studi e i rapporti con l’amico Gasparrini che intanto, nel 1857, era stato chiamato a Pavia dal governo austriaco ad occupare la cattedra di botanica. Ma si dedica anche con rinnovato vigore al rilancio del suo “concio” del Pendino, l’antica e prestigiosa fabbrica di famiglia, ed egli stesso ne segue la coltivazione e l’approvvigionamento. Qui viene prodotta la migliore liquirizia di Calabria venduta a Napoli ed esportata oltre i confini del regno e che nella sola provincia cosentina annoverava ben otto fabbriche.
Nel triennio 1857-1859, viene chiamato nuovamente a ricoprire la carica di primo cittadino.
Forse sta per giungere un periodo di nuovi stimoli e di interessi. Sono invece anni funesti, l’epilogo di una dinastia. Quando nel 1860 il Gasparrini poté fare ritorno a Napoli, chiamato a sostituire nella direzione dell’orto botanico il Tenore, l’amico e collega calabrese è già morto.
Nel 1859 l’amata figlia Mariantonia, andata in sposa ad Onorato Gaetani conte d’Alife, si spegne ancora giovanissima. E la morte deve aver colto impreparato anche lui perché egli muore all’età di cinquant’anni il 13 aprile dell’anno 1860. Gli unici eredi dell’immenso patrimonio dei Solazzi Castriota sono Carolina Solazzi, Giovanna e Nicola Gaetani.
Il corpo del Solazzi venne tumulato nel sepolcro di famiglia nella chiesa dei Padri Cappuccini. La comunione dell’ultimo sacramento gli viene impartita dal padre cappuccino Bonaventura da Mormanno, ospite di Casa Solazzi e che lo aveva assistito spiritualmente anche negli ultimi momenti di vita. Nel liber defunctorum di quell’anno, con poche ma intense parole che ci piace riportare, viene riassunta tutta la vita e la bontà di un uomo amato e rimpianto:
«Dominus Solazzi Castriota.
Anno D.ni millesimo octingentesimo sexagesimo, die decima tertia Aprilis Dominus Solazzi Castriota Eques Melitensis, Ferdinandi Secundi Utriusque Regni Siciliae Regis intimae admissionis Cubicularius, huius Universitatis Syndacus elator nostrae Ecclesiae beneficus, mihi infrascripta fides amius, filius defunctorum Equitis Balthassaris, et Mariantonia Messia de Prado, et legitimus vir Carolina Gaetani, aetatis suae annorum quinquaginta circiter, in Com. S.M.E. assimam Deo reddidit R.P. Bonaventurae a Murmanno Cappuccino congesius SS.mo Viatico refectus, sanctique Olei unctione linico a me subscripto; ejusque corpus sepultum est in Ecclesia PP. Cappuccinorum in sepulcro suae familiae»[40].
Con lui si estinse la nobile e antica famiglia Solazzi che aveva visto allignare tra i sui ascendenti, tra uomini d’arme, di lettere e cavalieri, anche gli ultimi eredi dei Castriota.
L’Amato che ebbe modo di conoscerlo, scrive di lui «uomo dottissimo nelle lettere, scienze, e più di tutto versato in Bottanica e Mineralogia». Il Solazzi ci appare non solo un uomo di grande cultura ma, forse più di tutto, dotato di una forte carica di umanità, al servizio degli altri, generoso verso i meno abbienti e i diseredati che il popolo, per la sua bontà d'animo e di carità verso i deboli, chiamava “padre dei poveri” [41].
La sua collezione di piante secche ordinate sistematicamente conservata in archivio privato, l’erbario, insieme ai volumi della sua biblioteca sopravvissuta agli aviti palazzi di Corigliano e di Napoli, è quanto ci resta di questo studioso.
Risaltano in questa raccolta (nell’erbario) i bellissimi fiori del Laurntius rubrum (‘).
Il Congresso degli Scienziati Italiani a Napoli
Il Settimo Congresso degli Scienziati Italiani si tenne a Napoli dal 20 settembre al 5 ottobre dell’anno 1845[42]. L’assemblea generale si svolge nel salone maggiore dell’ex Collegio del Salvatore, dei gesuiti, poi sede del Museo mineralogico della Regia Università. A presiedere è Nicola Santangelo segretario di Stato e ministro degli Affari Interni.
A Napoli, forse l’unica grande città italiana, convengono scienziati e studiosi da ogni parte d’Europa. In ciò è favorita oltre che dalle bellezze paesaggistiche ed archeologiche da un’intensa circolazione di idee grazie anche al contatto, come scrive il De Sanctis, con l’ambiente scientifico della capitale francese in quel tempo uno dei centri europei più importanti. Il sentimento che anima gli scienziati è la consapevolezza che la riprova e il confronto fossero condizioni indispensabili per apprendere ed acquisire ciò che la ricerca scientifica e l’applicazione pratica andavano producendo. Nell’adunanza napoletana, sebbene non tutti gli studiosi iscritti presero parte alle riunioni delle sezioni, si registra un numero di iscritti ragguardevole mai raggiunto prima ad un congresso scientifico. Re Ferdinando, inizialmente preoccupato dalla portata dell’evento, concesse il suo favore.
Tra le nove sezioni in cui si articola il Congresso [43], Domenico Solazzi prende parte ai lavori della VII sezione, quella di Botanica e Fisiologia vegetale. La sezione di Botanica è presieduta con grande competenza da un’autorevole personalità scientifica, il cavaliere Michele Tenore. E’ coadiuvato nei lavori dal prof. Meneghini, vice presidente, da Luigi Masi e Guglielmo Gasparrini nelle vesti di segretari[44].
Dalla lettura degli atti del Congresso la sezione di Botanica si segnala “imponendosi all’attenzione e all’ammirazione dei presenti, sia per il valore scientifico dei lavori presentati, sia per la levatura dei partecipanti”[45]. Particolarmente apprezzata è la memoria del Tornabene il cui saggio sulla Geografia Botanica per la Sicilia fu ampiamente discusso ed apprezzato[46]. Dopo i lavori e le visite guidate al Reale Orto Botanico del quale proprio il Tenore ne è prefetto, il 29 settembre «gli ufficiali della Sezione, tre altri che vadano come deputati di essa, …il Barone d’Hombres-Firmas, il prof. Tornabene, e il cav. Sollazzi»[47] sono invitati dall’Accademia degli Aspiranti naturalisti alla riunione organizzata in onore dei convegnisti.
Nel chiudere i lavori della sezione affermando che «ciascun ramo della botanica fruttificò», il Tenore non riuscì a risparmiare parole di elogio per il Tornabene, Gussone, Delle Chiaie, Gasparrini, Solazzi e gli altri collaboratori che con memorie non certamente meno apprezzabili e significative contribuirono alla buona riuscita dei lavori.
Se il Congresso svoltosi a Napoli rappresentò certamente un importante simposio scientifico, per gli scienziati italiani significò un grande appuntamento politico che contribuì a rafforzare il desiderio e lo spirito di un’Italia libera e unita. La presenza di studiosi provenienti da ogni regione della Penisola concorse a rinsaldare la coscienza di italianità, di appartenenza ad un unico paese. Ma qui occorre ricordare che, sebbene poi preoccupato di perdere il regno dovette duramente reprimere, con le idee unitarie, anche il cammino delle scienze senza la politica tollerante di Ferdinando II di Borbone e di sua moglie Maria Carolina (sull’onda del buon governo di Giuseppe II e di Maria Teresa d’Austria), non solo il raduno degli Scienziati non si sarebbe tenuto a Napoli ma neanche la ricerca scientifica avrebbe raggiunto quei risultati che ora conosciamo.
L’opuscolo di botanica
Molte furono le tipografie impegnate nella pubblicazione dei documenti ufficiali. Lo stabilimento del Nobile curò la stampa a fascicoli del Diario del convegno[48], mentre la Stamperia del Fibreno pubblicò Agli scienziati d’Italia del 7 Congresso dono degli Accademici della Pontaniana. I “pochi articoli letti nella sezione di botanica, e fisiologia vegetale del settimo Congresso” furono stampati dalla tipografia del Tasso.
Per rendere grazie in qualche modo ai colleghi della Società Economica cosentina che lo avevano scelto quale loro rappresentante, il Solazzi decise di mettere a stampa quel suo “tenue lavoro”.
La memoria letta nell’adunanza degli Scienziati riuniti in Napoli, soltanto dopo il congresso viene raccolta e data alle stampe. Di ritorno da Napoli non gli «parve bene di dover[s]ene stare in silenzio». Ma «quel che esso sia – scrive il Solazzi – non istà a me il giudicarlo: solo dirò che non altro mi vi ha spinto, se non il grande amore ch’io porto alla botanica, e la speranza di poter col mio esempio far rivolgere a quelle parti del nostro regno le cure e la diligenza di alcun naturalista»[49].
La memoria, un fascicoletto di sedici pagine in sedicesimo stampate l’anno stesso del Congresso presso la stamperia napoletana all’insegna del Diogene di via Montesanto, porta il titolo “Di alcune piante de’ contorni di Corigliano”[50].
Dopo aver rivolto le prime pagine ai lettori o, meglio ai suoi sozii, gli eruditi compagni del sodalizio cosentino, quelle successive sono completamente dedicate alle osservazioni botaniche.
Con una sintetica ma efficace prosa, prima di accingersi a descrivere le piante Solazzi descrive il luogo oggetto delle sue osservazioni, un «paese, che, tra per la benignità dell’aere, e per la fertilezza e varietà del suolo, da per tutto lo bagnano, produce spontaneamente di molte e svariate piante». Corigliano.
Lo stile è quello proprio di chi è volto a compiere una ricognizione scientifica, essenziale, sebbene le prime pagine sembrino pervase da quel raccontare romantico che caratterizzava i resoconti di viaggio che nel primo Ottocento si avventuravano alla scoperta del meridione.
Le indagini risentono dell’indirizzo di studi floristico, una compilazione e una descrizione delle flore effettuata ancora secondo la codificazione linneana. Ma pur nella brevità del suo scritto è possibile cogliere quell’indagare moderno che aveva caratterizzato e qualificava la scuola botanica napoletana, nelle osservazioni sulla natura dei terreni e sulle tecniche colturali. Del resto aveva avuto a fianco una personalità di grande valore ed esperienza, «il chiarissimo professor Guglielmo Gasparini», come egli stesso ci ricorda, «...già mio maestro in questa scienza, ora maestro mi è pure e dolcissimo amico» [51]. Nel riferire di nuove specie di piante si coglie la propensione alla collocazione basata non solo su caratteristiche morfologiche, ma anche in base dell’ambiente di riproduzione. Nelle riflessioni compiute sull’Alyssum orientale, ad esempio, ciò che ad un primo esame può lasciar pensare ad una nuova varietà - per avere la siliquetta più piccola e smarginata e l’ala membranosa incompleta annota il nostro - viene verificato mettendo a dimora i semi di questa specie. «Ma qual fu la nostra maraviglia – scrive il Solazzi – quando, avendone piantati i semi, ed essendo da quelli nate le piante, le lor siliquette vennero piane, grandi, arrotondate, senza smarginature, ed i semi con l’ala membranosa compiuta?». Si trattava dunque di una variabilità morfologica transitoria all’interno della stessa specie e non di una nuova varietà.
Queste osservazioni consentono al nostro studioso di porre in evidenza un problema frequente nelle indagini botaniche, quello del rapporto tra l’osservato e l’atteso, un riscontro che mostrava «una delle tante pruove, che talvolta nella famiglie naturalissime, come è appunto quella delle crocifere, i generi sono stati troppo minutamente distinti, e sol per leggerissime differenze, e spesso di niun conto»[52].
Dalle poche parole premesse al suo lavoro è possibile subito cogliere le motivazioni che, se non certamente uniche, indussero il Solazzi ad occuparsi delle piante spontanee del territorio coriglianese. Questa parte della provincia calabrese, infatti, era rimasta fuori dalle osservazioni che sia il Tenore che il Gussone, avevano svolto sulla flora mediterranea[53].
Nella sua Flora napolitana, un’opera grandiosa pubblicata tra il 1811 ed il 1838 (cinque volumi in folio che richiesero per la sua compilazione ventotto anni di lavoro e un sforzo di preparazione e organizzazione notevole), che si proponeva di descrivere «tutte le piante del suolo napolitano così di quelle già note ai botanici, che delle altre non ancora descritte», Tenore[54] o, meglio, quanti collaborarono alla sua opera, avevano tralasciato di esplorare alcune regioni del regno. Così pure era accaduto con il Gussone nella sua Flora sicula.
Benché la Flora del Tenore venga giudicata dai contemporanei come un’opera modesta, ebbe tuttavia «il merito di promuovere una vasta esplorazione, come forse se ne hanno pochi esempi nella grande letteratura floristica europea»[55]. Le indagini del Solazzi si collocano in questo solco e, seppure in maniera circoscritta, andavano a completare il catalogo della flora meridionale[56].
Quando il Solazzi decise di dedicare le sue attenzioni alla flora dei campi che lo avevano visto fanciullo, non era la prima volta che si dedicava ad osservazioni di botanica. A Napoli, dove risiedeva per lunghi periodi dell’anno, aveva compiuto nei dintorni del capoluogo partenopeo indagini sulla morfologia vegetale di alcune specie confrontando i suoi riscontri con quelli del Tenore, del Gussone, del Gasparrini e di altri.
Le osservazioni nei dintorni di Corigliano furono compiute l’anno precedente al congresso napoletano, nel 1844. «Nella dimora che il passato inverno feci in Corigliano », scrive Solazzi, prese a descrivere alcune piante «in gran parte o sconosciute, o di non poco pregio per la loro rarità». Ma l’indagine programmata nella primavera dell’anno precedente, “per diverse cagioni”, non fu possibile portarla a termine. Lo studioso, ad ogni modo, raccolse una gran copia di specie (alcune comuni per verificarne caratteristiche e particolarità già descritte da altri, altre ancora autentiche varietà), benché «quelle, che allora raccogliemmo, ancora non abbiamo potuto bene e diligentemente esaminarle»[57].
Lo accompagnava ad erborizzare un botanico di grande esperienza, il professor Guglielmo Gasparrini, eccellente sistematico, già suo maestro ed ora intimo amico, che insegnava in quel periodo botanica presso l’Istituto di veterinaria dell’ateneo. Il soggiorno in Calabria si rivelò oltremodo utile per verificare e mettere punto le osservazioni sulla poliembrionia degli agrumi e sul fico. Queste conoscenze, unite ad altre, saranno poi raccolte nel Breve ragguaglio dell’agricoltura e pastorizia del Regno di Napoli al di qua’ del faro che Gasparrini pubblicò nel 1845[58].
Il Solazzi classifica nove specie di piante, di cui due non ancora note. Alla descrizione usuale per classe, ordine, genere e specie, esposta in latino, egli unisce note di comparazione che consentono di collazionare, sulla base di caratteristiche botaniche di specie note, alcune varietà mai proposte prima[59].
La natura del suolo, generalmente argillosa, ….
La prima pianta proposta è una varietà dell’Hedysarum coronarium. «Di questa pianta – scrive il Solazzi – ne’ contorni di Corigliano se ne trova una varietà notabile, la quale è di fusto molto basso, ed ha i rami incurvati, le foglie piccole e rotonde, la spiga non fitta e conica, ma guernita di pochi fiori, in qualche distanza l’uno dall’altro». Appartiene ad una famiglia di fiori di bel colore che cresce sulle colline argillose della Calabria Orientale, e quantunque non avesse avuto ancora modo di osservarne il frutto e i semi di questa pianta «molto ramificata, con rami incurvati sino a terra, con foglioline piccole e rotonde, aperte, piatte, completamente intatte, sopra lisce e senza peli, sotto con una peluria setosa e con peduncoli più lunghi della foglia», Solazzi ritiene di proporla come nuova e di ordinarla con il nome di Hedysarum Tenorii-Solazzi[60].
Si tratta di colline di vere argille che……..sono colline, terreni, composti da schisti argillosi dove cresce in abbondanza la Sulla (Hedysarum coronarium) che cresce in abbondanza negli argillosi campi della Calabria.
La pianta successiva appartiene al genere Alyssum. Il Solazzi descrive una pseudo varietà dell’Alyssum orientale, pianta molto comune ma «degna di essere notata per una sua particolar qualità. Perocchè ha la siliquetta per metà più piccola e smarginata, e i semi turgidi e circondati per due terzi da un’ala membranosa».
La terza pianta esaminata è una forma particolare dell’Antirrhinum Orontium che egli presenta «per esser molto più alta, ramosa, senza peluria, con le foglie lucide, ed il calice che agguaglia la corolla».
Segue poi la descrizione di un tipo di Vicia cassubica, la varietà laxiflora. « Questa pianta – scrive ancora – differisce dalla vera vicia cassubica per il fusto assai alto, le foglie grandi, e principalmente per piccoli racemi di fiori, i quali non sono di colore rosso, ma cerulei, ed hanno inoltre le lacinie del calice alquanto più brevi, che quelle della specie comune». Una pianta che è forse specie distinta differente dalla vicia cassubica pur somigliandogli molto. Ha il fusto alto, ascendente, squadrato, solcato, leggermente peloso con steli appuntiti e di forma ovale-elittica, con bacche oblunghe piccole da entrambi le parti e pochi fiori sparsi sulla sommità del peduncolo con un colore nec non florium ma ceruleo. Si mostra copiosa in siepi e frutteti sempreverdi, ma perché possa definirsi una varietà del tutto nuova occorrerebbe studiarne i baccelli e i semi maturi; ma se le differenze osservate si riveleranno costanti, registra il Solazzi, “questo sarà un bell’acquisto per la Flora di Calabria”[61].
Negli appunti che seguono si nota un particolare interesse all’indagine comparativa, un metodo di studio che andava sempre più affermandosi.
Nell’esposizione successiva, dedicata ad una varietà della Specularia speculum, la specularia hirta descritta da Michele Tenore sino ad allora creduta una leggera variante della specularia speculum se non addirittura la medesima pianta, il Solazzi ricorda che “ricercando piante per i contorni di Napoli” era giunto alla medesima conclusione. «Ma nelle circostanze di Corigliano – annota poi – si osservano due maniere distinte di questa specularia speculum, le quali tra loro non mai si confondono, né mostrano passaggi dall’una all’altra. La prima, che ha il fusto alto e senza peluria, le foglie grandi, membranose, piane, senza peli ed intiere, ed i fiori grandi, sarebbe la vera specularia speculum. L’altra è molto più bassa, più ramosa, con i rami ricurvi e molto pelosi, le foglie assai più piccole, anco pelose, non piane, ma dentate, ed ondulate; ed ha da ultimo i fiori piccoli, ed una tal qual cera o portamento suo particolare, che c’indurrebbero a crederla la vera specularia hirta del Tenore»[62].
Nell’esposizione susseguente esamina due varianti della Phlomis herba venti, una studiata da Giovanni Gussone, l’altra invece una nuova varietà. La prima, già descritta da Linneo, ha foglie lanceolate di colore verde scuro, appena dentate, prive di peluria, «e nella parte inferiore bianchicce, con un tomento leggiero e fitto». La varietà osservata da Solazzi invece, e che egli cataloga come Phlomis hirsutissima Solazzi, è una pianta con fusto molto ramificato dai rami ricoperti da peli fitti, pilosissimo, con foglie oblunghe di colore pallido verde e bordo eroso, a denti ricurvi, e peluria morbida, fitta, irsuta, affine alla phlomis herba venti ma dalla quale si distingue per il fusto più alto e per una fioritura più abbondante e duratura[63].
Non meno interessante si rivela l’indagine effettuata su due varietà di una pianta leguminosa, il trifoglio, «una delle quali a noi pare non si sia ancora osservata nel nostro regno» scrive il Solazzi, e che egli rinviene nei campi tra le preziose reliquie della scomparsa Sybaris. Questa variante, conosciuta come Trifolium Gussoni , era stata rinvenuta da questo botanico sui monti della Sicilia e sull’Aspromonte, ma che molti davano identico al trifolium speciosum già descritto dal Willdenow.
Il trifoglio che lui trova “per le colline erbose de’ contorni di Corigliano poco alte sul pelo delle acque”, provano che quello descritto dal Gussone è specie distinta e diversa dalle altre[64].
Le ultime due considerazioni, piuttosto sintetiche, si riferiscono ad un’altra pianta leguminosa, l’Ononis villosissima, descritta dal Desfontaines nella Flora Atlantica, e una varietà del muscari comosum descritta da Fabio Colonna. Tra le due quella forse più interessante è la prima, una pianta spontanea proveniente dal nuovo mondo che il Solazzi rinviene nei campi e tra le messi delle pianure intorno a Corigliano. «Questa pianta – ci riferisce – è nuova non solo per la Flora napoletana, ma, per quanto noi sappiamo, ancora per quella di Europa»[65].
Le osservazioni del nostro studioso, benché contenute, consentono di considerare i suoi appunti non come l’opera di un “curioso” ma di collocarle, come attestano rapporti e collaborazioni, in quel clima di idee e di personalità che stavano ricostruendo la ricerca scientifica a Napoli e, insieme allo studio della botanica, quello più generale delle scienze.
La scelta di Solazzi come rappresentante dell’Accademia cosentina deve farcelo ritenere uno studioso serio ed attento, un protagonista minore ma in grado di bene rappresentare la cultura scientifica meridionale.
Descrive alcune graminacee che ricoprono di verde pascolo alcuni campi innanzi.
Veder l’esplorazione del Cavallari e dei Timponi: là si parla del cavaliere Solazzi
E un buon botanico doveva avere anche delle buone conoscenze dei terreni con buone noziaoni di geologia lui appassionato raccoglitore di minerali dei quali, lungo il corso di fiumi e torrenti e sui monti intorno si può fare ampia collezione (si veda G.Amato).
Pietro Porta, Viaggio botanico in Calabria (1877), Edizioni Prometeo, Castrovillari 1993.
La relazione del viaggio condotta dal sacerdote lombardo Pietro Porta e da due tirolesi Ruperto Huter e Gregorio Rigo fu pubblicata nel 1879 nel Nuovo Giornale Botanico Italiano, nel volume11 alle pagine 224-290 con il titolo Viaggio botanico intrapreso da Huter, Porta e Rigo in calabria nel 1877. Alcune notizie a mezzo del sac. Pietro Porta[66].
L.: Linneo
Ten.: Tenore
Guss.: Gussone
Versi o piani del Pollino trovarono in abbondanza il Ranunculus brutius Ten (p.53).
Alla ricerca del Lithospermum calabrum
Il 15 giugno del 1877 i tre botanici giunsero nei pressi di Corigliano. A bordo del treno, percorrendo la linea ferroviaria che da Cirò conduce verso Crucoli, Huter da lontano notò una gigantesca graminacea, «della quale non sapea capacitarsi a qual specie potesse appartenere». Poteva trattarsi di una specie rara mai osservata prima e poi a Corigliano era indicata una rarissima specie, il Lithospermum calabrum descritto dal Tenore, che sarebbe stato interessante esaminare da vicino. Si decise di scendere dal treno.
«Per effettuare tale desiderio e sciogliere in un sol tratto ambedue i progetti – scrive il Porta – il giorno 15 discendemmo a Buffaloria[67], e di là io in compagnia di Huter ci trasportammo a Crucoli, e Rigo a Corregliano» (p.53). Ma tra i campi coltivati e gli ampi arenili quella che da lontano sembrava una rara graminacea altro non era che la ben nota Ammophila australis Mab. (p.53).
Più fortunato fu Rigo che se non riuscì a trovare il raro Lithospermum del Tenore non se ne tornò a mani vuote riempiendo la sua capsula di molte e ricercate specie. L’insistente ricerca del Lithospermum lo portò a esplorare ampi tratti del territorio coriglianese in una ricerca attenta e minuziosa che forse soltanto il Solazzi aveva condotto prima. Così tra i ruderi presso Corigliano isolò lo Hyosciamus aureus Ten., tra le arene del torrente che gli scorre vicino, il Coriglianeto, raccolse la Corrigiola littoralis L., tra i declivi arenosi prese l’Erysimum australe Guss., la Berteroa obliqua DC., l’Allium pallens L., la Medicago denticulata W., mentre nei boschi sopra il paese colse la Vicia cassubica L. e la Bonjeania recta Rchb (p.54).
Nei dintorni di Corigliano, lugo le siepi, si rinvennero anche alcuni esemplari di Chamaepeuce stellata DC (Porta, p.55).
Il 25 giugno si erano portati nei pressi di Cassano ma «…siccome a detta del sig. Rigo la cerchia di Corregliano meritava d’esser meglio investigata, si portò in compagnia del sig. Huter a rivedere quella posizione, per ripigliare il dì seguente la ferrovia sotto Rossano» (p.57). I due si spinsero in uno dei luoghi più selvaggi sopra la città, “nella selva …detta dell’Aqua”, il cosiddetto bosco dell’acqua tra i monti di Corigliano, dove raccolsero copiosa quantità di Aspidium pallidum Lk., Festuca heterophylla Lamk,. Tolpis umbellata Bert., Galium corudaefolium Vill. ß glaucescens, Teucrium siculum Guss. e della Malva sylvestris L.
Discendendo verso la valle del torrente Coriglianeto, che cadendo dai monti tra rumorose cascate animava più di un mulino, nei terreni erbosi dove l’acqua è obbligata a ristagnare raccolsero Juncus (lamprocarpus Ehrh. ß) macrocephalus Parl., Trachelium coeruleum L., Rumex conglomeratus L. nonché alcuni esemplari forse appartenenti alla rarissima Linaria genistaefolia (pp.57,58).
Il viaggio, iniziato il 29 marzo, si concluse il 16 agosto di quello stesso anno.
I tre ricercatori giunsero in una regione appena raggiunta dalla costruzione della ferrovia ionica.
Linneo aveva descritto il Lithospermum apulum
Petagna, Terrone, Tenore, Viaggio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria Citeriore effettuato nel 1826
Per accrescere l’erbario napoletano che si andava allestendo presso l’Orto botanico della capitale, e per proseguire la faticosa impresa della sua Flora napolitana che aveva iniziato a pubblicare nel 1811, Michele Tenore, accompagnato da altri due botanici, Petagna e Terrone, intraprese nel mese di luglio del 1826 un viaggio di studio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria Citeriore[68].
Giunti nei dintorni di Corigliano, dove tuttavia non sostarono, ammirando da un altura la marina di Schiavonea, «dove due volte l’anno gran fiera per le Calabrie si celebra», si soffermarono a raccogliere esemplari di Pastinaca opopanax, il Peucedanum officinale, la Cynara humilis, l’Ammi crinitum e la Phomis herba venti che abbonda nei campi argillosi[69]. I campi cretosi e sparsi di sassi, si lavorano con piccole zappe che terminano sul lato opposto della lama con una forca a due denti.
Lasciata Castrovillari e portandosi verso il piano verso Cosenza, «per la prima volta ne’ campi tra i seminati osserviamo rigogliosamente crescere la liquirizia… di cui gran commercio si fa colla Francia e coll’Inghilterra, ed intendiamo con piacere che non meno di 8000 cantaia se ne raccolgono in ogni anno dalle otto fabbriche che ne sono in attività in questa provincia. Le più considerevoli, e che ne danno, di miglior qualità sono quelle di Corigliano e di Cassano… Di queste fabbriche il Barone Compagna ne possiede le quattro più considerevoli» (PTT, pp.57, 65).
Dopo aver decantato i benefici economici derivanti dalla lavorazione di questa pianta che abbonda da per tutto nei campi argillosi, «…dono, che la Provvidenza ha voluto fare a queste predilette contrade» (PTT, p.65), i tre botanici restano sorprese dalle enormi distese di un’era da pascolo. «Anche per la pastorizia – scrivono – le Calabrie posseggono un’erba da prato spontaneo, che non trovasi altrove, e che sommistra copioso pascolo ai suoi armenti. Questa è la tanto famosa Sulla, (Hedysarum coronarium Lin.), che, come si è detto, comincia a vedersi sulle colline presso Lauria, ma non nasce in copia, che ne’ campi di Calabria» (PTT, p.65).
Il Tenore, insieme ai suoi due colleghi, proseguì per Cosenza, dove giunse il 9 luglio, escludendo dal suo viaggio le esplorazioni sia a Corigliano che a Rossano, ma passando nei pressi di Longobuzzo.
Lungo la strada che conduce a Taverna raccolsero alcuni esemplari di Helleborus Bocconi che i locali con il nome di “rizzidda” ‘sperimentano giovevole ne’ dolori de’ denti’ (PTT, p.62).
Le piante presentate da Solazzi al Congresso di Napoli
Alyssum orientale
Varietà già descritta prima: Alyssum orientale Bert. (Porta, p.33).
Altre varietà: a. diffusum (montanum) Ten., (A.montanum, descritto da Tenore, Terrone, Petagna nel 1826 sul Dolcedorme, p.52). pianta solita atrovarsi a ……. E che abbonda
Antirrhinum orontium
Hedysarum coronarium, var.
Il Solazzi descrive quindi l’Hedysarum coronarium ed una varietà che cresce anch’essa spontanea che riconosciuta diversa venne denominata Hedysarum var.Tenore–Solazzi, che predilige terreni di natura argillosa e che osservò in gran copia nei campi di Pollinara. Della sulla (Hedysarum coronarium Lin.), ne parlano anche PTT dove riferiscono che nasce in copia, che ne’ campi di Calabria» (PTT, p.65). La sulla ha la proprietà di emettere radici che penetrano profondamente nel terreno e che, a differenza dell’erba medica, la sulla cresce rigogliosa anche nei terreni più sterili ed inariditi il che renderebbe erbaggio in abbondanza per della pastorizia; si meraviglia pertanto nel sentire che «…la quantità del bestiame in queste contrade, lungi dall’accrescersi, vada giornalmente diminuendo» perché poco utile da questa industria si trae (PTT, p.66).
Nel 1826 un bue costava 40 ducati.
Muscari comosum
flor. Albis, rotundifolia
Ononis villosissima che cresce nei terreni argillosi
Varietà descritte prima: Ononis diffusa Ten., o. ornithopodioides L., o. viscosa L. che cresce sui colli argillosi, o. oligophylla Ten. che nasce nei terreni argillosi, o. Columnae L.,
Phlomis herba venti
Varietà già descritte prima: P. fruticosa L. che cresce presso alcune rupi,
Phlomis hirsutissima var. Sol., specie che giudica non descritta e che riconosciuta per specie nuova chiamò Phlomis hirsutissima Sol. Cresce presso alcune rupi e sui margini delle strade.
Specularia speculum DC. Descritta dal De Cantolle, questa specie si rinviene nei campi coltivati.
Trifolium Guss.,
Trifolium speciosum W. Questa varietà di trifoglio descritta da Willdenow, cresce in siti rupestri ubicati a settentrione.
Altre varietà di trifolium: Trifolium intermedium Guss., t. brutium Ten. (descritto per la prima volta nel 1826), t. subterraneum L., trifolium maritimum Huds., trifolium cupani Tineo, t. scabrum L., t. arvense L., , t.agrarium L., t. panormitanum Presl, t. incarnatum L. ß Molineri Balb., t. micranthum Viv., t. glomeratum L., t. bocconei Sav., t. ochroleucum L.,
Vicia cassubica, var.
Varietà già descritte prima: Vicia dasycarpa Ten., vicia bithinica L.f., vicia pseudo-cracca Bert., vicia hirta Pers. ß Purpureo-cerulea, vicia atropurpurea Desf., v. tricolor S.M., v. gerardi DC, v. ochroleuca Ten., v. grandiflora Scop.,
Vicia cassubica, var laxiflora
Come si descrive una pianta nuova:
¨ Prima si fa la descrizione rigorosamente in LATINO
¨ Poi in fine si appongono le prime lettere del botanico descrittore : es. «Folii decurrentibus, filamentis…». Sol.)
Le altre piante osservate dal Solazzi nei dintorni di Corigliano:
Arabis verna
Arabis collina
Allium chamaemoly (a. nigrum Parl., a. pendulinum Ten.,
Allium magicum
Alyssum obliquum (A.montanum, descritto da Tenore, Terrone, Petagna nel 1826 sul Dolce Dorme, p.52).
Anthemis peregrina (a. triumfetti All.,
Arundo speciosa (Arundo ampelodesmos,
Chaerophlillum cicutaria
Cistus garganicus (C. salviaefolius, c. hypocistus L.,
Crocus pusillus (C. vernus var. neapolitanus «ed insieme con esso, confuso e fruttificato, l’altro Crocus Imperati» descritti da Tenore, Terrone, Petagna nel 1826 sui piani del Pollino, p.51).
Euphorbia apios (Euphorbia terracina, e. falcata, e. akenocarpa Guss., e. coralloides L.,
Euphorbia biglandulosa, descritta da Desfontaine, che cresce sulle colline e in luoghi coltivati.
Fritillaria messanensis
Hedysarum capitatum
Mandragora microcarpa
Orchis longe bracteata (Orchis romana, orchis undulatifolia Biv., o. hostii Tratt., o. maculata L., o. sambucina).
Ornithogalum refractum
Ornithogalum collinum
Ranunculus garganicus (Ranunculus muricatus L., r. millefoliatus, r. chaerophyllus L. var., r. neapolitanus Ten. che cresce lungo le stradi, r. chaerophillus L.,
Salix cinerea
Salvia triloba
Satureja consentina
Seriola cretica
Sideritis brutia
Thapsia aplenium (Thapsia garganica L.,
Trifolium brutium
Teesdalia Lepidium
Bibliografia
Fonti archivistiche
Opere a stampa
Periodici
Indice analitico
Nomi di luogo e di città sono indicati in tondo, quelli di persona in corsivo.
Indice degli autori
L’indicazione di pagina si riferisce a riferimenti in nota
Indice Generale
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
PARTE TERZA
Offro questi appunti a mia madre, delle virtù di Flora cultrice appassionata.
Questo volume è stato stampato in tiratura limitata di quattrocento copie
nel mese di maggio dell’anno 2002
a Corigliano nella stamperia “La Tecnostampa”
[inviatomi da Gino Petrone]
[1] L’Amato ebbe tuttavia modo di consultare la memoria del Solazzi come si deve dedurre dalla conoscenza dei dati tipografici dell’opuscolo (G.Amato, Crono-Istoria di Corigliano, op. cit., p.269).
[2] G.Sacchi, Napoli e le Calabrie, coi tipi di Giovanni Pirotta, Milano 1835, pp.227, 228.
[3] V.Cappelli, Lo sguardo di un Botanico nella provincia borbonica in: Petagna, Terrone, Tenore, Viaggio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria Citeriore effettuato nel 1826, Edizioni Prometeo, Castrovillari 1992, p.9.
[4] Cfr. U.Caldora, Scritti storici. Castrovillari tra Settecento e Ottocento. Francesi in Calabria. Da Sibari al Pollino, a cura di V.Cappelli, Amministrazione Comunale di Castrovillari, ivi, 1983.
[5] Ibidem, pp.9,10.
[6] C.von Linné, Systema Naturae, Halmiae 1758.
[7] Medico e letterato, il Durante pubblicò nel 1585, per la prima volta, un elenco alfabetico di oltre 900 specie del nuovo e vecchio mondo, come in un moderno dizionario enciclopedico, attento soprattutto nel fornire le applicazioni farmaceutiche delle piante da lui descritte e «rari secreti e singolari rimedi da sanar le piu’ difficili infirmità del corpo Humano» come lui stesso ci ricorda nel lungo sottotitolo all’opera (C.Durante, Herbario Nuovo di Castore Durante medico e cittadino romano. Presso Michele Hertz, Venetia 1717).
[8] Il Tournefort propose una sistema di classificazione delle piante che Linneo in parte conservò nella sua catalogazione (si veda Pietro Antonio Micheli, Nova plantarum genera iuxta Tournefortii Methodum disposta, Bernardi Paperinii, Firenze 1729).
[9] Michele Tenore (1780-1861), di origine abruzzese, era stato avviato dal padre agli studi di medicina disciplina in cui si laureò nel 1800. Ma durante gli studi universitari si era avvicinato ad insegnanti che avevano una particolare accentuazione verso lo studio della botanica quali il naturalista Filippo Guidi, Domenico Cirillo celebre medico e botanico e Vincenzo Petagna anch’egli medico e naturalista.
Dedicandosi sempre meno alla pratica di medico, si occupò di raccogliere piante dedicandosi a svolgere corsi di botanica privatamente agli studenti. Con l’aiuto di Giuseppe Zurlo e del Poli, che godeva di grande attenzione presso la corte borbonica, ideò e promosse la realizzazione di un grande orto botanico sulla flora napoletana (il Reale Orto Botanico), che venne inaugurato nel 1809 e del quale venne nominato direttore.
Assunta nel 1807 la direzione del Giornale Enciclopedico, fondato da Emanule Taddei l’anno prima, attraverso i contributi e le collaborazioni di molti corrispondenti maturò l’idea di compilare una flora di tutte le piante del regno (Flora napolitana) una grandiosa opera in 5 volumi che fu pubblicato tra il 1811 e il 1838).
Nominato professore del regio ateneo napoletano occupò nel 1811 la cattedra di Botanica vacante per la morte del suo maestro Vincenzo Petagna.
laureato in medicina, primo direttore del Reale orto botanico di Napoli aperto al pubblico il 18 maggio 1809, era insegnate di Botanica sulla cattedra che Vincenzo Petagna suo maestro aveva ricoperto fino al 1811 (del Petagna ricordiamo le Institutiones Botanicae un opera in cinque volumi editi dal Porcelli a Napoli tra il 1785 e il 1787). Nel 1808 il Tenore pubblicò i risultati di una minuziosa ricerca compiuta in Abruzzo, Saggio sulle qualità medicinali della flora napoletana; e sulla maniera di servirsene per surrogarle alle droghe Esotiche, dove aveva raccolto ed esaminato ogni sorta di piante. Tra i suoi lavori certamente il più importante fu Flora napolitana (1811-1838), cinque volumi di grande formato ricercatissimi dai collettori di storia naturale corredati da 250 tavole a colori.
Presidente dell’Accademia Pontaniana e dell’Accademia delle Scienze, della quale curò la pubblicazione di due volumi degli Atti (sono gli Atti del Congresso degli Scienziati?), nel biennio 1844-1845 fu Rettore dell’Università di Napoli. Membro di altre prestigiose Società scientifiche, per onorane la sua figura di uomo di scienza, Vittorio Emanuele II lo elesse Senatore del Regno d’Italia. Dopo un vita dedicata ad un’intensa attività scientifica, organizzativa e didattica instancabile, si spense il 19 luglio 1861 all’età di ottantun anni (Delpinoa, rivista dell’Orto Botanico di Napoli, vol.3, anno 1961).
[10] Uno dei più validi corrispondenti del Tenore era Giovanni Gussone (1787-1866), profondo conoscitore della flora italiana mediterranea autore anch’egli di una non meno importante Flora sicula.
[11] V.Stellati, Istituzione Botanica con alcune nozioni di Fisiologia Vegetabile, Napoli 1818.
[12] R.De Sanctis, La nuova scienza a Napoli tra ‘700 e ‘800, Editori Laterza, Bari 1986, p.55.
[13] A.Decandolle, Introduction à l’étude de la Botanique, Bruxelles 1837; A. De Saint-Hilaire, Leçons de Morphologie vègètale, Paris 1840.
Autentico precursore degli studi sull’anatomia delle piante fu il bolognese Marcello Malpighi autore di una Anatome Plantarum (1685).
[14] Quaderni Coriglianesi I, Inventario Archivio Solazzi, Corigliano C. 1988, p.17.
[15] ASM, Stato delle anime, anno 1812, fasc.157, fol.1 (ma privo di numerazione).
[16] Ibidem, anno 1814, fol.56. Tra i nuovi ospiti, ad esempio, troviamo nel 1826 un frate laico conventuale, tale Francesco Barone (fol.96).
[17] Ibidem, anno 1814, fol.58.
[18] ACC, Archivio Solazzi, Negozi e stipule, busta 3, fascicolo 14, anno 1817.
[19] Archivio Storico Comunale di Corigliano (ACC), Archivio Solazzi, Carte Giudiziarie, busta 31, fascicolo 24 (anni 1817-1820).
[20] ACC, Archivio Solazzi, Carte Giudiziarie, busta 31, fascicolo 33 (anno 1822).
[21] ASM, Stati delle anime, anno 1824, fasc.163, fol.109, ed anno 1826, fasc. 164, fol.96.
[22] Se vi è una carenza in questo prospetto è nel disegno del portone d’ingresso, non della stessa architettura della facciata, che per essere forse più antico venne lasciato nelle sue forme originarie.
[23] ASM, Stati delle anime, anni 1830-1833, fasc.166.
[24] «Anno Domini millesimo octingentesimo tricesimo secundo, die tricesimo primo Decembris. Ego Sub.s Archip.r baptizavi infantem die tricesimo praedicti mensis natam ex Equite Ordinis Christi Dominico Solazzi Castriota, et Domina Carolina De Gaetani conjugibus; cui nomen imposui Mariam Antoniam, Franciscam De Paula. Patrini fuerunt Eques Jerosolimitanus Baltassar Solazzi Castriota, ejusque filia domina Irenes, huius patriae, et parochiae. F. M.a Archip.r Alice ». (ASM, Libro dei Battezzati, anni 1832-1865, fol.23).
[25] G.Valente, Il Sovrano Militare Ordine di Malta e la Calabria, Laruffa Editore, Reggio Calabria 1996, p.337.
[26] ACC, Archivio Solazzi, Carte diverse, busta 43, fascicolo 25, anno 1855.
[27] Decreto di nomina a procuratore ed economo del Convento dei Riformati di Corigliano rilasciato da frate Giuseppe Maria da Alessandria, Ministro Provinciale delle famiglie dei Riformati. Dato in Roma, Araceli, 23 novembre 1841 (ACC, Archivio Solazzi, Carte diverse, busta 43, fascicoli 21,32, anni 1839-1908).
[28] E.Cumino, Storia di Corigliano Calabro, edizioni MIT, Cosenza 1992, pp.109, 110.
[29] D.Solazzi Castriota, Di alcune piante de’ contorni di Corigliano. Memoria del Cav. Domenico Solazzi Castriota, Tipografia all’insegna del Diogene, Napoli 1845, pp.14, 15.
[30] G.Amato, Crono-Istoria di Corigliano, op. cit., p.269.
[31] D.Solazzi Castriota, Di alcune piante … op. cit., p.4.
[32] Letterato calabrese, Giuseppe Campagna nacque a Serra Pedace (Cosenza) il 29 marzo 1799. Dopo gli studi compiuti a Napoli, si dedicò esclusivamente agli studi letterari. Negli anni a ridosso del 1830 aderì ai vari gruppi di poeti, letterari, studiosi ed artisti che andavano animando la cultura della capitale di quel periodo e che si davano convegno, oltre che nelle varie Accademie, principalmente nella Pontaniana e nelle case di alcuni privati, come il Ferrigni e il Di Cesare. Direttore de L’Iride nel periodo 1834-1843, strenna notissima espressione della cultura napoletana del tempo, suoi scritti comparvero sugli atti dell’Accademia Cosentina e della Pontaniana. Autore di moltissime liriche e di alcune tragedie (Ferrante, Sergio, Ludovico il Moro, Il Bosco di Dafne), il componimento suo più apprezzato resta il poemetto L’abate Gioacchino che si colloca in primo piano in quel romanticismo calabrese caratterizzato forse da atteggiamenti eccessivamente byroniani ma non privo di una propria particolarità rappresentativa (F.De Sanctis, La letteratura italiana nel sec. XIX, Napoli 1906). Il Campagna morì in Assia, a Langenschwalbach (Germania), il 29 luglio 1868.
[33] Socio ‘residente’ dell’Accademia Pontaniana, il Campagna compose un componimento poetico in ottave. Il dono dell’Accademia Pontaniana, un volumetto in 40 grande offerto in omaggio ai congressisti, si conclude proprio con il componimento del Campagna (Agli Scienziati d’Italia del VII Congresso. Dono Dell’Accademia Pontaniana, Stamperia e cartiere del Fibreno, Napoli 1845, pp.111-116).
Le Società Economiche radunavano studiosi ed esperti che avevano tra i loro compiti la sperimentazione e l’osservazione di nuove tecniche di coltura (erano accademie agrarie?).
[34] Si vedano P.Borrelli, Su’ principali restauratori della civiltà italiana. Discorsi dedicati al 7° Congresso degli Scienziati Italiani da Pasquale Borrelli, Lampati, Mendrisio 1845; P.Perrone, Ai celebri scienziati delle sezioni mediche e di scienze naturali convenuti in Napoli nel settembre del 1845, Napoli 1845; M.Torrini, Scienziati a Napoli. 1830-1845. Quindici anni di vita scientifica sotto Ferdinando II, CUEN, Napoli 1989.
[35] R.De Sanctis, La nuova scienza…. op. cit., p.54.
[36] ASN, Ministero della Pubblica Istruzione, Professori, Notamento sulla condotta politica-Destituzioni, b.291/7B.
[37]A questo proposito Lucio Villari fa osservare come ad un successo della ricerca scientifica e tecnologica seguì un insuccesso della imprenditorialità capitalistica napoletana e meridionale in genere (cfr. R.De Sanctis, La nuova scienza … op. cit., p.XV).
[38] G.Amato, Crono-Istoria di Corigliano Calabro, Tip. del Popolano, Corigliano C. 1884, p.268.
[39] Provincia di Calabria Citra, Distretto di Rossano, Circondario di Corigliano, foll.76-78. Tra i Deputati risultò eletto un altro cittadino coriglianese, il nobiluomo don Carlo Morgia.
Devo alla cortesia di Crescenzo Di Martino la lettura degli atti della nomina dei Pari e Deputati del Circondario di Corigliano al regno.
[40] ASM, Libro dei Morti, anni 1835-1866, fol.583.
[41] G.Amato, Crono-Istoria di Corigliano, op. cit., p.268.
[42]Tra gli ospiti calabresi che presero parte all’adunanza napoletana ricordiamo il prof. Vito Capialbi di Monteleone, che giunse a Napoli il 10 settembre (Archivio di Stato di Napoli, Ministero di Polizia, Stato nominativo degli Scienziati venuti nella Capitale, fol.32).
[43] Le sezioni scientifiche furono, nell’ordine, Medicina; Chirurgia e Anatomia; Chimica; Agronomia e Tecnologia; Archeologia e Geografia; Anatomia, Fisiologia comparata e Zoologia; Botanica e Fisiologia vegetale; Fisica e Matematica; Geologia e Mineralogia.
[44] Atti della Settima Adunanza degli Scienziati Italiani tenuta in Napoli dal 20 di settembre a’ 5 di ottobre del MDCCCXLV, Napoli. Nella stamperia del Fibreno, 1846, parte I, p.68; G.Giucci, degli Scienziati italiani formanti parte del VII Congresso in Napoli nell’autunno del MDCCCXLV Notizie Biografiche, Napoli 1845. Cfr. anche M.Torrini, Scienziati a Napoli. 1830-1845. Quindici anni di vita scientifica sotto Ferdinando II, Napoli, CUEN, 1989.
[45] P.Pizzolongo in Il Settimo Congresso degli Scienziati a Napoli nel 1845. Solenne festa delle scienze severe, a cura di Marina Azzinnari, Archivio di Stato, Napoli 1995, p.80.
[46] Straordinario promotore degli studi botanici in Sicilia, ricordiamo di questo studioso il discorso durante la cerimonia di fondazione dell’orto botanico di Catania (Per la solenne cerimonia nel porsi la prima pietra alla fondazione del R.Orto Botanico in Catania, Galatola, Catania 1858) e i resoconti dell’accademia catanese di scienze naturali Gioenia (Relazioni dei travagli scientifici dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania, Galatola, Catania 1858).
[47] “Giornale del Regno delle Due Sicilie”, n.215, 1 ottobre 1845.
[48] Diario del settimo Congresso degli scienziati italiani dal 20 di settembre a’ 5 di ottobre dell’anno 1845, Stamperia del Fibreno, Napoli 1845.
[49] D.Solazzi Castriota, Di alcune piante … op. cit., p.4.
[50] Le osservazioni del Solazzi, nell’edizione da noi studiata, sono legate insieme ad altri scritti di botanica raccolti in un volume dal titolo Opuscoli di Botanica (una scelta di opuscoli pubblicati tra il 1842 ed il 1853, riportanti ciascuno una propria numerazione), del quale, come suggerisce il numero sul dorso, era completata da un secondo libro.
[51] Ibidem.
[52] Ivi, pp. 8,9.
[53] Si confronti anche la flora universale pubblicata dal Tenore nel 1823 (M.Tenore, Flora medica e universale della provincia di Napoli, Tipografia del Giornale Enciclopedico, Napoli 1823).
[54] M.Tenore, Sylloge plantarum vascul. Florae Neapolitanae, Napoli 1835-42. Prima di queste pubblicazioni, il Tenore, che legò il suo erbario all’Orto botanico, aveva precedentemente compilato un Catalogus plantarum horti regni neapolitani ad annum 1813, Napoli 1813.
[55] V.Giacomini, Ricognizione dell’opera scientifica di Michele Tenore nel primo centenario della morte (1861-1911), “Delpinoa”, 3 (1961), p.XXIX.
[56] Analoghe osservazioni furono compiute in quegli anni in molte altre province del regno (si confrontino le osservazioni raccolte dal botanico Achille Bruni, Descrizione botanica delle campagne di Barletta, Napoli, Fibreno 1857).
[57] Oltre a quelle esposte, Solazzi riferisce di aver raccolto e studiato altre ventisette piante diverse tra le quali il Ranunculus garganicus, il Trifolium brutium, l’Allium magicum, la Mandragora microcarpa, il Chaerophyllum cicutaria.
[58] G.Gasparrini, Cenno dello stato presente dell’agricoltura nella provincia di Napoli unito a Breve ragguaglio dell’agricoltura e pastorizia del Regno di Napoli al di qua’ del faro, Dalla Tipografia del Filiatre-Sebezio, Napoli 1845.
[59] Ringrazio per la cortese collaborazione Oriana Abbiati che mi è stata di ausilio nella lettura e comprensione delle descrizioni botaniche.
[60] D.Solazzi Castriota, Di alcune piante … op. cit., pp.7,8.
[61] Ibid, p.10.
[62] Ibidem, p.12.
[63] Ivi, pp.13,14.
[64] Ibidem, p.15.
[65] Ibidem, p.16.
[66] Pietro Porta (1832-1923), parroco a Cologna (Veneto) e a Trento. Esplorò il sud del Tirolo, la Spagna e le Isole Baleari, Gregorio Rigo (1841-?), nato a Torre del Benaco, era farmacista e botanico-erborista; Rupert Huter (1834-1909) era parroco di Ried, presso Sterzing in Tirolo.
[67] Cassano ?.
[68] Petagna, Terrone, Tenore, Viaggio in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria Citeriore effettuato nel 1826, Edizioni Prometeo, Castrovillari 1992 copia della prima edizione di Napoli pubblicata nel 1827. Luigi Petagna, medico ed entomologo napoletano, professore di Zoologia e direttore del Museo zoologico dell’Università di Napoli, era il figlio di Vincenzo Petagna. Il Terrone era un corrispondente del Tenore.
[69] Idem, p. 58.