Beni Ambientali, Architettonici e Cultrali di un centro minore del Sud Corigliano Calabro
di Mario Candido
Capitolo IV
Morfologia urbana
Crescita della Città
Il centro storico si trova a 4°03’51” di longitudine Est (meridiano di Roma –Monte Mario) e a 39°35’45” di latitudine Nord a circa 220 metri sul livello del mare.
Antico insediamento, emergente su un modesto rilievo orografico delimitato ad Ovest dal torrente Coriglianeto, l'abitato storico di Corigliano traeva evidentemente dai tempi più lontani la sua ragione d'essere dalla sua vocazione di caposaldo fortificato; baluardo interno sul nodo viario di un antico sistema stradale. Anche la strutturazione del primo nucleo storico che segue le curve di livello attorno al nocciolo formato ora dal castello o dalle chiese più antiche, conferma tale primitiva vocazione come pure i successivi ampliamenti avvenuti sulla collina di S. Francesco che portano alla duplicazione per gemmazione a Sud del primitivo "centro" abitato.
La posizione predominante tra l'economia montana e quella della pianura ha consentito al centro, in passato, una funzione ben più importante di quel che le sarebbe derivato dalle risorse e dalla gestione del suo territorio.
La funzione avuta in passato di centro commerciale detta pianura, con la presenza di mercati e fiere di antica tradizione rimane per il suo distretto la principale risorsa possibile per l'attività economica di Corigliano anche nel futuro. Gli ammodernamenti degli antichi tracciati viari, il potenziamento del tracciato ferroviario costruito attorno alla metà dell'ottocento, la realtà del porto hanno confermato questa situazione concorrendo a moltiplicare le ragioni di scambio del territorio di Corigliano. L'assetto futuro della rete infrastrutturale dovrà proporsi di confermare e rafforzare questa vocazione.
L'incremento eccezionale dei poli di attrazione detto Scalo, Cantinella e Schiavonea, se da un lato è sicuro indizio di uno stato di squilibrio economico del territorio circostante, al quale squilibrio la migrazione interna spontanea offre una somma di individuali risposte, per contro conferma situazioni di reale e potenziale vantaggio, che possono essere variamente utilizzate, con processi di miglioramento, che valgano ad incanalare ed utilizzare al massimo tale iniziale fenomeno spontaneo. Si tratterà, quindi, ricercare e di fissare i punti "chiave"per l'operazione di razionalizzazione e di rivigorìmento dello sviluppo economico, sociale ed urbanistico del territorio di Corigliano.
Le origini
Insieme alla vicina città di Rossano, Corigliano è ubicata sul confine meridionale della Piana di Sibari definito da una serie di alture poste a corona. La celebre zona si formò dai depositi alluvionali dei fiumi Crati e Coscile e da qualche altra piccola fiumara che affluisce nei due corsi d'acqua principali.
Il promontorio su cui sorge Corigliano è una delle ultime propaggini del massiccio della Sila Greca il quale, lungo il versante nord-orientale, degrada verso il mar Jonio. Esso è definito da due pianori di testata tra di loro connessi: quello su cui sorge la città di formazione medievale con il Castello e quello dove sorge il convento di S. Francesco con i circostanti rioni otto-novecenteschi.
I ritrovamenti archeologici attestano che l'area in esame era abitata fin dall'epoca protostorica. Alle età del bronzo (XI sec.) e del ferro (XI-VIII sec.) risalgono alcuni oggetti ritrovati nelle vicine località di Serra Castello, Rosa Russa e Favella di Rizzo.
È presumibile quindi che i siti sui quali sorsero gli insediamenti bizantini di Rossano, Corigliano, Terranova da Sibari, Classano Jonio, ecc., fossero un tempo stazioni di popolazioni preistoriche e più lardi villaggi indigeni protostorici, ivi insediati perché riparati dalle alluvioni Nei pressi del vallone Coriglianeto, che si sviluppa fortemente incassato lungo il fianco ovest di Corigliano, furono trovate due sepolture, riferibili al IV secolo a.C, le quali, considerata la vicinanza, si ritiene appartenessero alla vicina città greca di Thurii.Il territorio da Corigliano insiste infatti sull'area dove fiorirono le celebri città di Sibari (VIII-VI sec a.C.), Thurii (V-II sec. a.C.) e Copia (II sec. a.C. e VI sec. d.C.). Ed è proprio con la fondazione della colonia achea di Sibari che il territorio subisce la sua prima radicale organizzazione.
Sibari e la Sibaritide
La colonizzazione ellenica dell'Italia meridionale si realizza durante il grande movimento migratorio che interessa le numerose polis greche all'inizio del VIII secolo, fino alla metà del V secolo a.C. Nel territorio dell'odierna Calabria, unica regione italiana ad essere colonizzata quasi completamente, gli Achei fondano, in ordine cronologico, le colonie di Sibari, Crotone e Metaponto, che vengono localizzate in siti estremamente favorevoli, a controllo del golfo di Taranto Le motivazioni che indussero l'ecista acheo a preferire la piana che divenne di Sibari vanno individuate nella sua posizione centrale rispetto al mar Jonio, nella presenza di una fertile pianura che garantiva una prospera attività agricola, nella possibilità di fondare sul lato opposto della penisola altre colonie raggiungibili, attraverso opportune vie istmiche, con due giornate di cammino. Il luogo quindi aveva le potenzialità di assicurare un florido sviluppo agricolo e commerciale. Al tempo della fondazione di Sibari, probabilmente i fiumi Coscile (Sybaris) e Crati (Kratis) erano separati e sfociavano in un invaso lagunare che consentiva l'approdo delle imbarcazioni.Sul piano dell'infrastrutturazione del territorio, i coloni greci abbandonano l'arcaico sistema di comunicazioni (direttrici naturali orientate secondo un asse di attraversamento longitudinale della Calabria), realizzato e utilizzato dalle popola- zioni preelleniche della Brettia. L'attraversamento longitudinale della regione viene lasciato alle popolazioni indigene, che seguitano a spostarsi generalmente all'interno, mentre i Greci preferiscono creare un sistema di comunicazioni funzionali alle loro esigenze commerciali. Le principali vie di comunicazione, le vie istmiche, vengono realizzate lungo le valli fluviali, allo scopo di tenere attivi i collegamenti tra la costa jonica e la costa tirrenica della regione, sulla quale sorgono le colonie greche di seconda fondazione. Queste vie di comunicazione, costruite dai Greci, generalmente erano costituite da piste e sentieri, i quali venivano ampliati e regolarizzati rispetto al passato e sottoposti a una manutenzione direttamente proporzionale all'importanza e al ruolo assegnato a ciascuno di essi. Le direttrici viarie più importanti sfruttavano le valli dei fiumi Crati, Coscile e Trionto. Quella del Crati immetteva nella valle del Savuto e conduceva alla costa meridionale del Tirreno. Quella del Coscile passava per gli attuali centri di Castrovillari, Morano e Papasidero, s'immetteva nella valle del fiume Lao e proseguiva per Paestum, il punto più avanzato dell'orbita sibarita, il quale fungeva da testa di ponte per i collegamenti con l'Etruria. Quella del Trionto passava per Longobucco, dove vi erano delle cave argentifere, per poi scendere' nella valle del fiume Mucone, affluente del Crati. Alcune fonti storiche attribuiscono alla colonia greca di Sibari una popolazione di 300.000 abitanti. La cifra, sicuramente esagerala se si considera solo la città-stato (polis), può ritenersi vicina al vero se invece include i 25 centri confederati sotto l'egemonia di Sibari.
Se Corigliano appartenesse a questa confederazione non è possibile dirlo, tuttavia numerosi reperti archeologici documentano come in quest'epoca si verificasse una marcata grecizzazione del territorio, con probabile formazione di insediamenti.
Al rapido sviluppo della polis jonica, posta al centro di un vasto territorio, si contrappose alla fine del VI secolo, un rapido declino. L'alluvione provocata dalla deviazione del fiume Crati, ad opera della rivale Crotone, rese la città inabitabile; e l'abbandono del centro urbano segnò la fine della florida città sibarita.
Sulle rovine di Sibari, i crotoniati fondarono una nuova colonia: Thurii. Questa riuscì a mantenere la sua indipendenza fino a quando, nel 282, dovette chiedere aiuto a Roma per difendersi dai continui attacchi dei Brettii. Ma le guerre puniche ne determinarono la distruzione ad opera di Annibale e degli stessi Romani, i quali fondarono una nuova colonia di diritto latino sotto il nome di Copia Thurii che sopravvisse fino al VI sec. d.C..
Il periodo romano e il toponimo Corigliano
Con l'età romana, il territorio dell'antica Sibari, viene investito da un marcato processo di marginalizzazione.
Nel corso di questi secoli, la localizzazione degli insediamenti sparsi, coincidenti con fattorie, ville rustiche, casali, o piccoli centri agricoli, risente delle asperità orografiche del territorio. Questi raggruppamenti di case erano probabilmente collegati alle grandi arterie stradali che si dipartivano dalla direttrice viaria principale, parallela alla linea litoranea, e si dirigevano, seguendo i percorsi di fondovalle, verso le aree interne della regione.
Proprio nell'ambito dell'organizzazione agraria del territorio operata dai Romani, dovette essere costruito, sul promontorio dove in seguito sorgerà Corigliano, un podere rustico. L'origine del nome Corigliano, infatti, deriva probabilmente dal latino praedium corellianum, ad indicare un podere corelliano, una villa rustica, situata sul luogo dove oggi sorge la città.
La citazione più antica del nome Corigliano a noi pervenuta si trova in un privilegio papale del 2 gennaio 1113, in cui si fa riferimento al diritto riconosciuto alla chiesa di S. Maria di Valle Giosafat di tenere "gripo uno in mari Sancti Mauri et Coriliani".
Nel nostro caso quindi il praedium corellianum sarebbe stato parte del sistema di insediamenti frazionati ricadenti nell'area della colonizzazione romana. Ma, a parte il nome di indubitabile origine latina, del praedium corellianum non resta alcuna testimonianza archeologica.
La presenza bizantina
Con la caduta dell'impero romano, attraverso un processo di degradazione ambientale determinato dalle invasioni barbariche, l'armatura urbana e l'orditura infrastrutturale tendono progres- sivamente a scomparire.
Al ritorno delle popolazioni verso l'interno corrisponde un progressivo abbandono delle terre, (un tempo prosciugate e risanate dalla malaria con il drenaggio dei fiumi), e un progressivo arretra- mento delle tecniche di coltivazione che conduce al degrado del paesaggio agricolo.
Ma lentamente dalle rovine di una organizzazione territoriale, che aveva trovato le sue ragioni di vitalità proprio nelle città e nel loro equilibrato rapporto con la campagna razionalmente sfruttata, affiorano i primi accenni di ripresa economica, i quali vanno rintracciati ove erano più facili le occasioni di un sia pur relativo rilancio, cioè nelle campagne.
Nelle campagne, al centro di vasti latifondi, le nuove comunità troveranno il luogo propizio per un loro sicuro e stabile insediamento, talvolta riproponendo la localizzazione sul sito di un'antica villa rurale romana. La creazione di questi nuovi centri si afferma insieme alla tendenza al recupero e al rilancio di antichi siti di insediamento preellenico, localizzati in posizioni strategiche, difficilmente accessibili e naturalmente difendibili.
Non essendovi indizi che accertino la trasformazione di Corigliano in burnus, possiamo solo immaginare, per i secoli bui dell'alto Medioevo, una lenta evoluzione dell'antico praedium e del suo modesto abitato.
Tra la fine del V sec. e gli inizi del VI, nel periodo di dissolvimento dell'ordinamento politico romano, gli abitanti della vicina città di Thurìi, posta nel fondovalle, cominciano ad abbandonarla, probabilmente a causa della diffusione della malaria, dirigendosi verso le vicine alture (dove ancora oggi sorgono i paesi di Corigliano, Cassano e Rossano), più salubri e sicure. È ipotizzabile quindi che in quest'epoca si costruisca, sul sito del primitivo praedium, un primo nucleo rurale, che più tardi, con l'apporto di nuovi gruppi, verrà ampliato fino alla dimensione di borgo.
Un apporto significativo allo stabilizzarsi della presenza umana nella zona può essere attribuito ai bizantini. Sappiamo infatti che fin dalla metà del VIII sec. il territorio calabrese fu frequentato dai monaci basiliani provenienti dalla Sicilia islamizzata, o dalla Macedonia.
Queste comunità monastiche, che preferivano vivere in modo appartato, lasciarono in Calabria numerose testimonianze della loro presenza, soprattutto edifici religiosi (oratori, eremi, cenobi), intorno ai quali in seguito sorsero altri insediamenti urbani. Tra i principali ci limitiamo a ricordare il monastero di S. Biagio, il casale di S. Giorgio che dette origine alla cittadina di S. Giorgio Albanese, il monastero dei SS. Cosmo e Damiano presso il quale sorse il centro di S. Cosimo Albanese, l'oratorio di SS. Adriano e Natalia , (poi monastero di S. Adriano), sul cui luogo un'altra colonia di albanesi creò il centro di S.Demetrio Corone.
Il processo di "bizantinizzazione" del territorio coriglianese dovette ricevere un decisivo impulso con la creazione della diocesi di Rossano, sorta in seguito alla riconquista bizantina della Calabria. In questo periodo (X sec. circa), la regione è organizzata in provincia ecclesiastica soggetta al patriarcato di Costantinopoli, escluso il territorio dell'altra Calabria, compreso nel ducalo longobardo di Benevento.
La nascita del borgo medievale
Considerazioni di ordine storico-politico, religioso, archeologico, relativo al territorio della Calabria jonica centro-settentrionale, mettono in evidenza come l'antico praedium corellianum assuma consistenza urbana sul finire del X secolo.
Le cronache locali sono concordi nel ritenere che Corigliano fu fondata dai profughi di S. Mauro, un piccolo oppidum fortificato, localizzato in pianura, distrutto dalla furia dei Saraceni. Lo storico siciliano Albufeda fa risalire l'incursione saracena al 977. L'esistenza di questo centro è attestata da numerosi documenti. È probabile che l'insediamento sorgesse al principio del X secolo, intorno ad un edificio religioso (cappella oratorio) di origine bizantina, dedicata appunto a S. Mauro. L'ubicazione del centro, lungo una delle principali direttrici viarie che penetrano nella regione, in posizione quindi indifesa, lascia ritenere che in questo periodo S. Mauro venga ripetutamente presa di mira dai Saraceni.
I Mauresi profughi avrebbero cercato riparo sulle alture di Corigliano, occupando l'area occidentale del promontorio, ben nascosta alla vista di chi sopraggiungeva dal mare. Su questo colle, coincidente con l'attuale rione di Ognissanti, dovette sorgere quindi il primo nucleo del centro urbano di Corigliano Calabro.
II lungo processo che vede l'antico praedium corellianum trasformarsi in borgo può dirsi quindi concluso. È il caso ricorrente in cui un primitivo insediamento rurale assume i connotati di centro urbano, in seguito all'abbandono di un centro di pianura troppo esposto alle incursioni barbariche.
I Mauresi, praticanti il culto cristiano bizantino, stabilitisi a Corigliano dovettero costruire le prime piccole chiese, dedicandole ai santi della loro tradizione religiosa: S. Venera, S. Basilio, S. Niccolo. Di queste, al principio del secolo XVIII, se ne scorgevano ancora alcune testimonianze materiali.
II rione di Ognissanti, che sfruttava le sottostanti acque del torrente Corigiianeto, fu impostato su uno schema radiocentrico che si ritrova impiegato in altri insediamenti altomedievali. L'impianto geometrico suggerisce l'ipotesi di una precisa idea progettuale, oltre che di una creazione spontanea determinata dall'adeguamento alle caratteristiche del terreno.
Il borgo altomedievale presenta una polarità centrale definita dalla chiesa di Ognissanti, dalla quale si dipartono tre strade concettualmente radiali. La principale che conduce all'area dell'attuale Castello, all'epoca presumibilmente destinata a rudimentale piazzaforte, presenta una sezione notevolmente più ampia. Le strade anulari seguono l'andamento del terreno.
In questo periodo il centro di Corigliano apparteneva alla diocesi di Rossano, il cui territorio era diviso in un'area propriamente urbana intra muros e dal contado extra muros, costituito dalla campagna e dai borghi rurali chorìa, uno dei quali era appunto Corigliano.
La struttura sociale aveva nei proprietari terrieri (funzionari ecclesiastici e dello stato), reclutati tra i notabili indigeni, la classe dominante. Il vescovo esercitava sia il potere religioso che laico.
Il periodo normanno-svevo e le successive espansioni
Del periodo relativo alla conquista normanna della Calabria si hanno pochissime informazioni.Sappiamo però che in quest'epoca si determina il definitivo abbandono delle antiche forme di insediamento vallive e si afferma, attraverso gli assetti amministrativi feudali, un nuovo regime politico e fondiario che nell'architettura del "castello" troverà il suo simbolo, il suo elemento di rappresentazione del potere istituzionale e il polo di concentrazione politica e di accumulazione economica.
Ai nostri fini è interessante notare come le campagne di conquista della Calabria e della Sicilia, ad opera dei re normanni Guiscardo e Ruggero, determinarono l'esigenza di costruire un sistema di fortificazioni e di avamposti, collocati lungo il corso del fiume Crati, la cui valle costituiva l'itinerario privilegiato per collegare la Calabria e la Sicilia alla Puglia.
Queste vicende storiche lasciano ritenere che in questo periodo (1073 ca.) si costruisca a Corigliano un primo edificio fortificato, quello stesso che in epoca aragonese si trasformerà in Castello vero e proprio. Il sito prescelto, già utilizzato nei decenni precedenti come primitiva piazzaforte a difesa del nucleo, era particolarmente indicato per accogliere una struttura fortificata e accresceva le caratteristiche difensive dell'insediamento.
Con la costruzione del fortilizio si può quindi supporre che il chorìon si trasformasse in castrum, cioè in borgo recintato e fortificato anche se mediante tecniche rudimentali.
All'epoca normanna si può far risalire la prima crescita del primitivo nucleo abitato. L'espansione si orienta in direzione est e l'edificato viene costruito accanto alle abitazioni preesistenti del borgo di Ognissanti.
Questo nuovo rione di Castelluccio, il cui toponimo lascia intendere una sua qualche funzione difensiva, presenta un tessuto edilizio più irregolare del precedente insediamento. La trama delle abitazioni non segue uno schema preciso ma si sviluppa secondo un disegno di aggregazione spontanea.
Le strade presentano un andamento molto frastagliato e una sezione assai ridotta. Due percorsi principali assicuravano il collegamento del rione Castelluccio con la fortificazione normanna localizzata a nord e con il rione di Ognissanti a sud-ovest.
Il Castelluccio provvedeva anche alla difesa del fianco sud-est dell'insediamento. Le abitazioni infatti costruite lungo il lato est sono tuttora densamente accostate in modo da definire una cortina difensiva.
Un'ulteriore crescita dell'insediamento si ha con la costruzione della Cittadella, un nuovo rione che viene accostato al precedente Castelluccio.
Localizzata su un leggero pendio a sud-ovest del promontorio, la Cittadella era costituita, all'epoca in cui scrive il Pugliesi, da un sistema di terrapieni, baluardi, cannoniere e feritoie, a ribadire le fondamentali caratteristiche difensive. Con la successiva sistema- zione dell'area della Portella, collegata al Castelluccio, veniva a definirsi la configurazione del sistema difensivo lungo il fronte sud-orientale dell'insediamento. La zona della Portella comprendeva due torri per la difesa della Posterla di Soccorso, che permetteva l'accesso al Castelluccio.
In tal modo l'insediamento urbano di epoca normanna raggiungeva una sua stabile configurazione:era delimitato a sud-est dal ripido scoscendimento del terreno, a est dal sistema fortificato della Cittàdella, a ovest da un secondo presidio militare che garantiva la difesa lungo quel versante, a nord dalla piazzaforte con la struttura fortificata che completava il circuito difensivo e costituiva l'avamposto più estremo,
Si assiste quindi alla formazione di un centro arroccato, la formula insediativa più diffusa in Calabria.
Come abbiamo visto, la decisione che spinge a costruire i centri urbani, in posizioni che oggi sembrano irrazionali, dipende essenzialmente da esigenze difensive. E in effetti la scelta di un luogo alto è tipica delle comunità che si ritirano in un luogo isolato e ben difendibile. Ma non sono estranee motivazioni che risiedono nel modo di concepire l'insediamento: un modo che, come abbiamo visto, risale alla preistoria, tant'è che molti centri, tra cui Corigliano, hanno evidenziato archeologicamente l'esistenza di un substrato che risale all'età del ferro e del bronzo.
All'interno di questa logica insediativa è insito il rapporto archetipico tra luogo naturale e luogo artificiale, che si esprime attraverso il processo di appropriazione di un sito preciso, delimitato e ben individuabile. La principale motivazione pratica risiede nella convenienza ad abitare in siti salubri, ventilati, lontani dalle bassure grevi, malsane e soffocanti.
In relazione all'ordinamento istituzionale e amministrativo di quest'epoca non si hanno notizie. È ipotizzabile che, in un primo tempo, il territorio di Rossano in cui ricadeva Corigliano venisse confiscato da Roberto il Guiscardo e dichiarato demaniale.
Dopo un breve periodo di soggezione diretta a Roberto e poi a suo figlio Ruggero Borsa (durante il quale Corigliano fu amministrata da Framundo e da suo figlio Rinaldo), fra il 1094 e il 1098 dovette essere infeudata a favore di Guglielmo, figlio di Framundo. Intorno al 1114 Guglielmo cedette il feudo di Corigliano e di S. Mauro a Ruggero II.
Da quest'anno in poi Corigliano restò in possesso degli Altavilla di Sicilia fino al 1192, anno in cui re Tancredi ne decretò la cessione a favore di Ruggero Sanseverino, primo conte di Corigliano. Con l'infeudamento a favore dei Sanseverino si apre un secolare periodo durante il quale Corigliano sarà di volta in volta asservita a diversi feudatari.
Due avvenimenti determinano una nuova spinta alla crescita urbana: l'arrivo di una numerosa comunità ebraica (1200 ca.), che si insedia lungo il versante occidentale della città dando origine al rione che venne denominato della Giudecca, e la fondazione della monastero basiliano del Pathirion, ubicato sul punto più a nord del promontorio La costruzione di questo edificio religioso viene a definire un nuovo polo generatore che indirizza la crescita dell'insediamento urbano in direzione dello sprone terminale del promontorio, affacciato sulla sottostante piana e munito di un sistema difensivo naturale, definito dai fianchi scoscesi sul vallone Coriglianeto ad ovest e dallo strapiombo a est.
Il nuovo rione, di forma allungata, fu impostato su due strade pressappoco parallele che presentavano un andamento assai irregolare. Queste, snodandosi all'interno del rione della Giudecca, assicuravano il collegamento della badia del Pathirion con Ognissanti.
Intorno al 1230, lungo l'antico percorso extraurbano che conduceva al mare, in contrada Pendino, l'Ordine mendicante dei Francescani Minori fonda un convento che, grazie ai privilegi concessi dai feudatari e all'uso delle terre assegnate, influisce decisamente sullo sviluppo economico della zona.
È grazie ai Francescani minori che il Pendino diventa una area di particolare pregio agricolo, che sfruttava appieno le particolari qualità pedologiche del terreno. Lungo questa via di accesso alla città, l'insediamento francescano diventa un importante polo religioso che testimonia delle proficue relazioni tra contado e centro urbano.
Gli Angioini e la costruzione della cinta muraria
Con la battaglia di Tagliacozzo, avvenuta nel 1268, gli Angioini s'impossessano della Calabria suttraendola alla casa sveva degli Hohenstaufen. La politica degli Angioini era volta a conquistare la fedeltà e la sottomissione della nobiltà locale attraverso la concessione di numerosi privilegi baronali.
Durante gli anni della dominazione angioina, il feudo di Corigliano passa più volte di mano, a beneficio soprattutto della famiglia Sanseverino i cui membri erano titolari di numerosi altri feudi sparsi per la Calabria e per il Mezzogiorno d'Italia.
Dagli antichi registri delle tasse sappiamo che nel 1276 Corigliano contava circa 800 fuochi, ossia nuclei familiari tassabili.
Nel generale clima di mecenatismo religioso in cui si distinsero i feudatari calabresi, che aspiravano ad imitare Roberto d’Angiò, nel 1329 si registra a Corigliano la costruzione della chiesa di S. Maria Nuova, ubicata nel rione della Giudecca. L'etimo "della Platea" (aggiunto successivamente) può suggerire l'ipotesi che la costruzione, affacciata sul livello della piazza, fosse stata realizzata su una preesistente chiesa posta a quota inferiore.
Con Roberto Sanseverino, conte di Corigliano dal 1339 al 1361, si può ritenere che i feudatari comincino a risiedere stabilmente nel centro urbano.
Nel corso del sec. XIV, definiti i confini della città, a Corigliano si rende necessaria la costruzione di una cinta muraria. Questa viene realizzata allo scopo di meglio difendere l'abitato che si era creato nei secoli precedenti.
Il perimetro delle mura, costruite in pietra viva e mattoni, racchiudeva l'intera area urbana. Lungo il fianco sud-est del promontorio, esse inglobavano il primitivo rione di Ognissanti, si sviluppavano lungo il Castelluccio e piegavano (dopo averla inclusa) in corrispondenza della Cittadella. Proseguivano lungo il fianco est dell'insediamento inglobando l'estremo nord del colle e racchiudendo così il rione1 Serratore, la chiesa di S. Luca, e la badia basiliana del Pathirion. Lungo il versante ovest, seguivano il ciglio del vallone Coriglianeto delimitando il rione della Giudecca. Come si può osservare, la cinta muraria aveva un andamento topologico che sottolineava le qualità strutturali del sito.
Nella cinta muraria si aprivano diverse porte. In corrispondenza del Castelluccio vi era la porta di Soccorso protetta da due torri. Un'altra porta di cui non resta traccia, detta porta delle Riforme, si apriva sotto il monastero delle Clarisse. Nel tratto est si apriva la porta di Brandi, a tutt'oggi la sola conservatasi, anche se rimaneggiata nei secolo XVII e XVIII.
Più volte restaurata e rimaneggiata, della cinta muraria rimangono oggi poche tracce: per lo più strutture contraffortate presenti lungo il fianco nord-est dell'insediamento.
In concomitanza con la costruzione del perimetro murario, Roberto Sanseverino, feudatario di Corigliano, dovette decidere, nel 1336 ca., di rimaneggiare il primilivo avamposto fortificato normanno, trasformandolo in dimora signorile.
Durante il XIV secolo, in tutta l'Europa si registra un crollo demografico, che interessa in misura notevole il centro di Corigliano.
Gli Aragonesi e la costruzione del Castello La stabilità politica procurata dagli Aragonesi determina nel Mezzogiorno d'Italia una stagione di incremento dell'agiatezza generale, che si riflette anche nei centri urbani calabresi con la costruzioni' di chiese e conventi in cui vengono impiegati motivi linguistici rinascimentali. Sul finire del XV secolo Corigliano riceve un altro incremento di popolazione dovuto all'immigrazione degli abitanti di Viscano e S. Pietro, due villaggi distrutti dal terremoto. Questi vanno ad insediarsi sullo scosceso fianco nord-orientale dell'insediamento, vale a dire all'esterno del perimetro murario. Negli anni a cavallo tra il XV secolo e il XVI secolo si verifica a Corigliano una notevole attività costruttiva, che coincide con il periodo di massima fortuna dei conti Sanseverino di Bisignano. Risale a questo periodo infatti la fondazione dei maggiori complessi religiosi (rimaneggiati poi nel Settecento), come S. Antonio, S. Francesco e Madonna del Carmine, la costruzione dell'acquedotto sulla via Nuova, la ricostruzione quasi integrale del Castello e la costruzione del nuovo palazzo Sanseverino in contrada S. Mauro. La permanenza a Corigliano di S. Francesco da Paola, fu l'episodio che determinò la fondazione del suo quarto convento, ubicato sull'allora boscosa e incolta collina posta a monte dell'insediamento medievale. La necessità di approvvigionamento idrico per la piccola comunità di frati insediata in quel luogo isolato, indusse gli stessi a cercare una sorgente più a monte, nella località che da allora si chiamò "Bosco dell'Acqua". Fu perciò costruita una conduttura che portava l'acqua fino al convento dei Francescani e che in seguito venne prolungata fino al centro antico di Corigliano. Intorno al 1480, per risolvere radicalmente il problema dell'approvvigionamento idrico, fu costruito il grandioso acquedotto, il cosiddetto Ponte Canale, che sovrappassando l'avvallamento dell'attuale via Roma portava l'acqua alle fontane dei rioni Giudecca, Fondaco e Muro Rotto (nei pressi dell'attuale piazza Vitto- rio Emanuele). Come risulta dall'iconografia settecentesca, in origine il Ponte Canale era costituito da tre ordini sovrapposti di arcate, i quali nella loro possente struttura si ispiravano ai grandiosi acquedotti romani (si pensi a Gard) La singolare configurazione dell'opera ingegneristica ha fatto sì che il Ponte Canale divenisse uno dei principali termini di riferimento e di caratterizzazione del paesaggio della città. Ancora oggi, le grandi arcate in mattoni sospese sulla via Roma costituiscono, sul piano dell'immagine urbana, una presenza forte che conferisce identità al tessuto cittadino. Il convento di S. Francesco e l'acquedotto diverranno i principali elementi generatori del futuro sviluppo urbanistico della città. Nei secoli successivi, essi favoriranno la formazione del rione S. Francesco, posto sulla propaggine sud-orientale del promontorio coriglianese medievale. In questi stessi anni, su un poggio isolalo rispello all'abitatoesistente, si costruisce il complesso conventuale di S. Anlonio. Pochi anni dopo, all'ingresso della città, lungo la strada che proviene dal mare, viene costruito il convento dei Carmelitani. Viene in tal modo a precisarsi, nelle sue linee principali, la topografia cristiana di Corigliano che ha,nella presenza dei complessi conventuali, gli organismi architettonici che fungono da poli emergenziali e quindi da importanti termini di riferimento visivo. Queste grandi strutture, emergenti per singolarità della forma e per dimensione dei volumi costruiti, vengono ubicate lungo il percorso principale che, sviluppandosi ai suoi piedi, connette la città al territorio. Con la trecentesca definizione del circuito murario si rendeva necessario il ripensamento formale e funzionale del caposaldo fortificato costruito dai Normanni. L'efficacia del circuito murario poteva risultare inficiata dall'assenza di una struttura che coordinasse il dispositivo difensivo. In questo contesto venne deciso, con ordinanza di Ferdinando d'Aragona, che l'antica fortificazione normanna fosse ricostruita secondo criteri ispirati a maggiore regolarità e funzionalità. Al Duca di Calabria, in visita a Corigliano nel 1489, si deve la proposta di ricostruzione del Castello. Alcune iscrizioni, datate 1490, testimoniano l'anno di effettuazione dei lavori. Il nuovo polo militare fu costruito secondo un impianto quadrato, che inglobava il primitivo Mastio. Ai quattro angoli della costruzione vennero eretti forti torrioni orientati secondo i punti cardinali. Lo schema planovolumetrico era ispirato all'intervento di ristrutturazione realizzato sul Castello angioino di Napoli e riproponeva lo stesso impianto geometrico impiegato nella costruzione di altri castelli coevi della regione. Al Mastio, posto a nord-est del polo militare e avente un diametro maggiore rispetto alle altre torri, fu affidato il ruolo principale nel nuovo sistema difensivo. Di fronte ad esso venne costruito un possente rivellino, con spesse mura capaci di assorbire i colpi delle bombarde. L'accesso al Castello era assicurato da un esile ponte levatoio, raggiungibile dopo aver attraversato gli ambienti del rivellino. Con il compimento dei lavori, il Castello di Corigliano viene ad assumere l'aspetto pressoché definitivo che ancora oggi conserva. Nei secoli successivi verranno apportate modifiche di carattere decorativo che non altereranno l'impianto originario del monumento. A conclusione del periodo di intensa attività costruttiva tardo-quattrocentesca, a Corigliano appare compiuta la riconfigurazione del suo assetto medievale. Sull'antico tessuto frastagliato e compatto è venuto a sovrapporsi un nuovo sistema di polarità, che ha nel Castello il principale perno strutturale e figurativo della composizione urbana e negli edifici religiosi minori gli episodi costruiti che assolvono alla funzione di poli subordinati, aventi un ambito di incidenza a scala di quartiere. All'esterno del perimetro murario i complessi conventuali,termini di riferimento complementari, articolano il rapporto tra il sistema delle polarità e il sistema dei valori paesaggistici.
Dal governo spagnolo all'Ottocento Allo stato attuale degli studi, non si posseggono informazioni certe relative al centro di Corigliano, che consentano di tracciare un quadro di riferimento articolato circa il periodo che va dalla dominazione spagnola alla fine del Settecento. Sappiamo che l'incremento di popolazione continuò per tutto il corso del Cinquecento. Nel 1544 quando i censimenti fiscali assegnavano a Corigliano poco più di un migliaio di fuochi, un commissario regio stimò che le case costruite durante l'ultimo trentennio erano in numero 4 di 10327.
Saturati tutti gli spazi interni al perimetro murario la popolazione si attestò sulle aree immediatamente circostanti. Nel 1606 più di metà della popolazione abitava fuori le mura. Cosicché la cinta muraria investita dalla nuova espansione finì per essere inglobata nelle nuove costruzioni.
Lo stato del Castello aragonese non doveva essere buono tant'è che, nel 1515, Bernardo Sanseverino decise di farsi costruire, non lontano dalla città, una nuova residenza fortificata, che per il nome del luogo sul quale venne edificata fu chiamata Castello di S. Mauro. È probabile che l'introduzione dell'artiglieria avesse reso inefficaci le strutture militari da poco fatte costruire dagli Aragonesi.
Pietro Antonio Sanseverino, invece, decidendo di ritornare a risiedere nel vecchio Castello interno all'area urbana, ne attuò un nuovo rimaneggiamento (1540) allo scopo di assolvere ai compiti di difesa appunto imposti dall'artiglieria. Fu in questa occasione che dovettero essere aggiunte le scarpe alla base delle torri e operati altri interventi di rinforzo sulle strutture murarie.
Nel 1616, con il passaggio del feudo di Corigliano dalle mani dei Sanseverino a quelle dei Saluzzo di Genova, il Castello fu sottoposto a interventi di adeguamento funzionale che ne modificarono l'aspetto austero.
Gli interventi si concretizzarono nella costruzione della torre ottagona, posta sul basamento del mastio, nella costruzione della cappella di S. Agostino e delle due ampie rampe di accesso che sostituìrono la salita senza gradini, nella costruzione di altri ambienti ai piani superiori.
La pestilenza e la fuga dei massari verificatesi alla metà del Seicento, procurarono all'insediamento un riequilibrio demografico. Agli inizi del XVIII secolo, gli abitanti di Corigliano erano circa 8000, distribuiti fra i rioni interni alla fatiscente cinta muraria e nei rioni extra moenia di Casalicchio, Acquanova e Gradoni di S. Antonio.
Un censimento effettuato nel XVIII secolo accerta la presenza, ormai consistente, di famiglie nobili e benestanti che abitano nella cittadina. Questo dato spiega la presenza in Corigliano di edifici più solidi e meglio costruiti rispetto ad altri centri urbani calabresi. L'aspetto particolarmente nobile conferito all'abitato dalle "case palaziate", costruite in questi anni ,rimane a tutt'oggi una delle peculiarità del centro antico di Corigliano. Agli inizi del Settecento la cinta muraria era già quasi scomparsa a causa della sempre maggiore esigenzaa di nuovi spazi per l'edificazione.
In questo secolo, gli edifici religiosi medievali subiscono pesanti rimaneggiamenti che alterano la loro fisionomia originaria e introducono, nell'ambiente urbano, motivi architettonici desunti dal repertorio barocco.
La medievale chiesa di S. Francesco, posta di fronte al Castello, viene pressoché ricostruita integralmente. Stessa cosa accadde alla chiesa di S. Maria, le cui origini risalivano al XI secolo.
Dalle descrizioni dei viaggiatori e dalle notizie contenute nei vari apprezzi e inventari feudali,possiamo dedurre che in quest'epoca l'abitato di Corigliano, escluse alcune dimore signorili, era costituito da modeste abitazioni contadine, composte da uno o al massimo due vani.
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