Ulteriori spiegazioni di alcuni termini del Glossarietto
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A
Abbampӓrə : avvampare("t'abbampàtə tuttə", ti sei mangiato tutto)
Abitiellə: piccolo abito, da ragazzo, ma anche due quadratini di stoffa, legati con dei nastri, al quale era attaccata un’immagine sacra (di solito la Madon na) e che si portava sotto la camicia, come lo scapolare dei monaci. Infatti si chiamava così perchè cominciarono a portarlo i terziari, come distintivo, al posto dell’abito dell’ordine a cui appartenevano. Rappresentava per il popo lo, invece, una sorta di amuleto di protezione personale contro ogni sorta di guai. (Giuseppe Pellegrino)
[per questo termine, segue sotto un articolo del prof. Rinaldo Longo]
Acciagunӓrə (S’ACCIAGUNERE) Secondo qualcuno significa accasciarsi (Accattatis) nel gergo coriglianese è usato per indicare uno che si è coperto di lividi ed abrasioni. Es.: è caruti e s’è acciaguneti peri peri.
Accittӓrə : calmare, azzittire ("accittӓtə nu pocə", stai zitto un pò, calmati un pò)
Accucchiӓrə: Unire. Formare una coppia. Aggiungere. Es.: ci hei accugghieti u riesti..
Affӓrə : Si usa nelle frasi interroghative col significato di "perchè, per quale motivo". Es. "ma ch'è bbunat'affarə" per quale motivo è venuto? Oppure "un sacciə cch'è bbinut'affarə", non so perchè è venuto.
Agghjiammàti : L' alternanza di freddo,
caldo, freddo di questi giorni : "ha fatti agghjammeri u masalicoi " Il termine si usa anche per definire una persona (quasi sempre maschio ) di piccola statura ed anche
esile. In questo caso si dice : "Ghè 'nu gghjammate /gghjammatielli".Raramente si usa per il sesso femminile.La traduzione del verbo potrebbe essere rattrappire.(Gerardo
Bonifiglio)
Aggranchӓrə:intorpidire, soffrire di crampi.Es: m’he pijeti u granchi a ri pieri.
Aggrizzӓrə : fare la pelle d'oca("mi s'aggrizzan'i carnə", fare la pelle d'oca per il dispiacere)
Ammarmurӓrə : diventare rigido come il marmo("mi sun'ammarmuret'i gammə", mi sono irrigidite le gambe)
Ammarrӓrə : ridurre qualche cosa, chiudere("ammӓrr'a portə", chiudi la porta)
Apə : ape, ma anche idea,"s'è missə n'apə 'nta càpə", si è messa un'idea in testa. Il ronzare dell'ape esprime efficacemente l'idea fissa
Appinnentə : per niente. "'A robbə ghè appinnentə" la roba si vende a poco prezzo, cioè è a buon mercato.
Appizutèri : appuntare, ma
anche in senso figurato, avvicinarsi a ... ("quant'anni tena? E s'appizuta a ri nonvanta")
Apprӓchə : affanno, difficoltà di respiro, "tènir'apprӓch'a ru piettə", "soffrire di disturbi alla respirazione"
Approvarischə : a prova e a rischio(grido del rivenditore di frutta fresca ai propri clienti per fare assaggiare la sua frutta)
Attientə : attento, ma anche, cercare il pelo nell'uovo "si mìnt'attient'a ...", mettersi attento a...
B
Bagnuoli : scialle, fazzoletto, foulard. È una delle centinaia di parole che ci provengono dallo spagnolo (sp. 'pañuelo'. Questo s.m. deriva dal lat. "pannus"+ suffisso diminutivo -uoli, sp. -uelo (Rinaldo Longo)
Bbottə : botta, ma anche far intendere ("jittàr'i bottə") oppure vuoi crepare(vò ferə na bbottə)
Bicchirinə : piccolo bicchiere("vienə ti pigghj'u bicchirinə", vieni a prenderti un bicchierino di liquore per buon augurio)
Bommespiri : buon vespro, buon pomeriggio. Tutti sanno che 'vespro' indica il pomeriggio verso le sei, cioè l'ora della preghiera. Permettetemi di aggiungere a quanto sapete un piccolo dettaglio esplicativo di carattere linguistico, che forse qualcuno non sa, per vedere come si arriva a 'Bommespiri' o 'Bommespri': i passaggi dal latino al dialetto coriglianese per questa espressione, partendo dall'accusativo, sono:bonum vesperum>bonu vesperu>bon mespiri. Nel primo passaggio si è verificata la caduta della consonante finale -m nell'aggettivo e nel sostantivo; nel secondo passaggio si osserva la lenizione-caduta della -u finale dell'aggettivo e la lenizione della -u finale del sostantivo che noi coriglianesi leggiamo e pronunciamo con un suono indistinto, che io trascrivo con una -i moscia (anche se non si vede). La -e- della sillaba intermedia -spe- è passata ad - i - . Da 'bon mespiri' a 'bommespiri' (ma anche 'bommespri') il passaggio è stato breve: assimilazione (nm passa a mm). P.S. Un grazie a quelli che hanno avuto la bontà e la pazienza di leggermi.(prof. Rinaldo Longo)
C
Cacciӓrə : sfogare, ma anche prendersela. "ti cacciə'a raggia ccu ri pittirillə", sfoghi la tua rabbia contro i piccoli o, ancora, "T'a cacciƏ ccu ri pittirillƏ", te la prendi con i piccoli.
Canchjònghjiri : Il Prof. Rinaldo Longo sostiene che questo termine dovrebbe derivare da "candonguero" che in spagnolo vuol dire "burlone"
Canniellə : cannone di filo, rocchetto; ma anche cambiare discorso, comportamento,"cangiàrə canniellə".
Capisuttə : a testa in giù, capovolto, ma anche, essre rovinato, essere travolto dalla sfortuna, "jirə capisuttə"
Carruzzìnə : carrozza trainata da un solo cavallo (mezzo molto diffuso tra " 'i jiardinarə" per ragiungere la campagna, giardini)
Chjancə : macelleria. Per il Rohlfs “chjancə” deriva dal latino volgare “planca”, cioè tavola piana. Il riferimento è al pezzo di tavola piana, posta sul bancone, dove il macellaio tagliava la carne( tagliere del macellaio).
Chjiuritə : prurito("chjiurit'i culə", fare lo spiritoso)
Ciroma : chiasso. Così Gerardo Bonifiglio, citando il Vocabolario Dialettale, edito da Patitucci 1895, Castrovillari, spiega questo termine : "La voce di origine dotta si compone di due elementi cira (latino cera, latino medioevale cerumen) ed il suffisso tendenzialmente dispregiativo, oma. Il collegamento semantico è con orecchio (cerume), da cui chiasso che appunto disturba l'orecchio.
Cisinə : strage, la frase"fӓrə 'na cisinə"significa"fare una rovina, mettere a soqquadro"
Culùrə : colorito(roseo) "mintirə culùrə",cioè, riacquistare il colorito perduto a causa di una malattia , guarire, godere nuovamente di buona salute
Cùngghjuri : "Cunchjuti", che i coriglianesi sanno che vuol dire ""maturo" o "maturato" coè che
ha completato il suo ciclo di maturazione, è l'esito calabrese del latino volgare "complutus" per "completus", participio passato del lat. "complere" (= it. compiere, completare). Il termine è
molto vicino a "gunchjuti" (= it. gonfiato). (Rinaldo Longo)
Curina : Così Gerardo Bonifiglio su Fb spiega questo termine : “dal greco ( koryne : germoglio) designa la parte interna della
lattuga, la più tenera”
F
Filàngulə : tiritera, discorso nioioso e ripetitivo(trae origine nelle azioni ripetitive e noiose dell'operazione della filatura della lana)
Filannàrə : giorno non festivo, lavorativo( trae origine da giorno in cui si filano le lane, appunto che si lavora)
G
Gargiə : Così Gerardo Bonifiglio su Fb spiega questo termine :"è un ternine di origine francese (Gorge : gola) e veniva usato per definire una voce fastidiosa petulante per lo più riferita a donne".
Granciafullunə : granchio ("pijiӓrə 'nu granciafulunə", prendere una svista, cadere in un equivoco)
Grirə : grido, voce ("ghè 'nnu grirə pӓrə", è una voce diffusa,non si parla altro che di questo)
Guajə : guaio ("ghèssirə 'nu guaj'i nottə", essere un guaio che capiti di notte, per cui il guaio è ancora più pesante perchè capita in un momento in cui è difficile avere un aiuto)
Gualӓnə : gualano è il guardiano di mucche che divide i proventi del suo lavoro a metà con il massaro(Rinaldo Longo)
Gurpinellə : dolce a forma di volpe, si fa a ferragosto(ancora c'è in qualche famiglia l'usanza di fare dolci zoomorfi per ringraziamenti proppiziat
Guzzièri : deriva da "guzzi" o "guzzarielli", cucciolo di cane, quindi fare l'amore come due cagnolini(R.Longo)
J
Jinostrə : ginestra ("ràrich'i jinostrə", radice di ginestra, cioè, persona superflua)
Juoncə : cicoria selvatica. ("s'abbuttӓr'i juonc'e mmarellə", saziarsi di cicoria selvatica ed erbe amarognole, cioè, sapersi accontentare, accontentarsi di poco)
Jussə : diritto, facoltà ("tènir'u jussə", avere il diritto di possesso di una cosa e, dopo un certo numero di anni, anche di proprietà)
L
Lamientə : lamento, lagna ("si nni jir'a llamientə", sfogarsi lamentandosi, oppure sbadigliare in continuazione)
Linzə : cencio, brandello ("ti fazzə linzə-linzə", ti faccio a frammenti, a pezzetti)
Lionə
: leggi (sotto) negli approfondimenti
M
Macantə : a
vuoto("agghjiùttirə 'mmacante", inghiottire a vuoto, uno sfogo al non poter mangiare)
Malanoșchitellə : (esclamazione di) stupefazione("Malanoșchitellə mija",
Malanovə : brutta novità, cattiva notizia. Questo termine è anche usato per dire, non so come(diavolo) devo fare ('un zacci cumə malanov'aji fàrə)
Mašchatiellə
: Dal lat. masculus (virile), per
la funzione connessa all'aprire, attribuita alla chiave che entra nelle toppa."
'Mperə : vicino, nei presi di...(" 'mper'a portə", nei pressi della porta, sulla soglia, " 'mper'u liettə", nei pressi del letto, ai piedi del letto)
'Mpruiettə : in prova, ("si mìntirə 'n'abitə 'mpruriettə", mettersi un abito per provino, non manca anche nel senso di mettersi sempre un vestito nuovo, con riferimento critico-ironico)
Mussə : muso, (" si guntàr'u mussə", untarsene il muso, assaggiare o trarre profitto. "si stujàr'u mussə", pulirsi il muso, non aspettarsi più nulla. "cci spùnir'u mussə", mettere il muso, ficcare il naso, intromettersi)
Mustazzuolə : dolce fatto col miele(è tradizione comprarli quando si festeggia il Santo Patrono, S. Francesco di Paola)
N
'Ncugnə : incudine (" mò su 'ncugnə e stattə", ora sei incudine
e stai, cioè, ora tocca a te subire)
'Ndorcia : Torcia, ma anche, cero battesimale con un nastro rosa o azzurro, a seconda se si trattava
rispettivamente di una femminuccia o di un maschietto. Un commento di Giuseppe Pellegrino sulla rete : "Il battesimo di
un bambino, in era pre diffusione di massa delle auto, cominciava con un piccolo corteo che, da casa della famiglia del neonato, raggiungeva la parrocchia, dove veniva svolta la cerimonia.
Componevano il gruppo i genitori, i padrini, i familiari e gli amici. Credo ci fosse un ordine di precedenza. Un ragazzotto più grandicello veniva incaricato di portare "a 'ndorcia", cioè il cero
battesimale. Seguiva un ragazzo piu' piccolo, che portava "a ciucculatera", cioè un pentolino particolare, così chiamato, dove si portava l'acqua calda per l'aspersione della testa del neonato.
Si portava pure una asciugamano, di quelli belli, ricamati a mano, per asciugare il pargolo. Portare 'ndorcia e ciucculatera era molto ambito, poichè la mansione prevedeva un regalo in denaro,
detto " cumprimenti", di valore decrescente dalla prima alla seconda."
Nerramàti : Come si dice e si scrive: "nerrameti" o "narrameti" oppure "n'errameti" o "n'arrameti"?. Quasi tutti forse conoscono il significato della frase "Ti vija n'errameti/a" (= possa tu andare ramingo/a e non trovare mai ricetto). Come potete notare io ho scritto "n'errameti" (femminile n'errameta), quale il motivo? Ebbene all'origine di questa parola c'è il termine calabrese "èrrimu" (ramingo): in vari paesi della Calabria alla nostra frase corrisponde un "ti vija èrrimu".. Da "èrrimu" si è formato il verbo "errimeri" (= andare ramingo) e quindi il suo participio passato con valore sia aggettivale che sostantivale "errineti" (femm. "errimeta") con la possibilità di assumere, ad esempio, l'articolo maschile "nu" o femminile "na" , i quali davanti a vocale si apostrofano: esempio: ghè n'errameti/a. Con l'uso nel tempo però si è pensato che il termine originario fosse "nerrameti" e non "errameti" e si è detto e scritto "ghè nnu nerrameti". Attenzione quindi a ben distinguere "Ti vija n'errameti" da "ghè nnu nerrameti" e da "ghè bbinuti u nerrameti". (Rinaldo Longo)
Nòmirə : per formalità (" 'a nòmirə ca su bbinutə", ma che sei venuto a fare, solo per la presenza, cioè, andare in un posto senza dare alcun contributo)
'Ntabbacchellə : donnaccia, ruffiana (questo termine trae origine nel quattrocento, dall'uso di una bevanda, capace per il suo aroma di far perdere la testa)
'Ntrivulàrə : ascoltare, origliare("jìa
ntrivulannə", andava ascoltando, in senso di spiare) Così Rinaldo Longo su Fb spiega questo termine :
"… come cappello al mio discorso su
"ntrivuleri" o "ntriguleri", come altri giustamente dicono, Vi invito a meditare sul nome della 'volpe'
in coriglianese. Io ho e tanti altri abbiamo sentito continuamente alternarsi "gurpa" e "vurpa". E voi? Qualcuno ha scritto una commedia intitolata se non sbaglio A VURPA MASTRA, ebbene avrebbe
potuto scrivere anche A GURPA MASTRA. Dove sta la questione allora? Analizziamo: la parola da me postata è formata da "ntri+vuleri", letteralmente 'volare tra'. La mia scelta di postare
"ntrivuleri" e non "ntriguleri" è dovuta al fatto che con "ntriguleri non sarebbe stato immediatamente visibile la sua etimologia. E' noto che nel coriglianese, come in altre parti d'Italia e del
suo meridione, la "v" davanti a vocale velare si trasforma facilmente in "g". Si pensi che anche in Montale troviamo "golare" per 'volare', pensate al calabrese "gurpili" (staffile fatto col
nerbo del bue)che convive con vurpili (lat. *verpile). Per il significato io l'ho sempre sentito usare e lo uso con il significato di ascoltare (tout court) oppure di porre attenzione a ciò che
dice qualcuno senza farsi vedere"
'Ngillə : anguilla, buccia essiccata del mellone (" 'ngill'i vrachettə")
'Ntorciə : torcia, fiaccola ( "a'ntorciə", candela grossa e lunga che si usa durante le cerimoni religiose, soprattutto durante i battesimi dei bambini)
'Nzaramientə : "'và
'nzaramientə", che Dio ti accompagni, è una formula di commiato. Così il prof. Giulio Iudicissa, uno dei maggiori esperti,
nonchè grande studioso del dialetto coriglianese si esprime sulla rete :"Mi permetto
quanto segue: " 'nzaramienti " è voce dialettale coriglianese che può trovarsi anche nella forma "'nzarbamienti". E' una esclamazione di saluto con la quale si augura a chi va in un qualsiasi
posto di poter arrivare, letteralmente, "in salvamento", cioè "salvo".
'Nzonə : Cosi il prof. Rinaldo Longo, su Facebook, spiega l'etimologia di questo termine : "Cito da Gehrard Rohlfs: "nzòna", f., Indumento, roba vecchia, arnese da lavoro [gr. Zone 'fascia'].Noi sappiamo però che a Corigliano può indicare per estensione anche lenzuola e corredo, quindi io penso che il forse il termine greco "zone" abbia subito l'influenza del latino "linteola" pl. (=lenzuola), oppure i due termini si siano incrociati. Passaggi supposti: linteola>linzeola>linzona> i nzoni."
P
Parolə : parola ("ràrə parolə", impegnarsi con la parola, scambiare promessa di matrimonio)
Pàrə'pàrə : tutt'intero, ("cc'è ru paìsə pàrə-pàrə", c'è tutto il paese, è accorso l'intero paese, frase detta nelle varie occorrenze)
Petrə : pietra (" 'u sann'i petr'i ra
vijə", lo sanno tutti; " 'u rispèttin'i petr'i ra vijə", lo rispettano tutti; " nni ciàngin'i petr'i ra vijə", dispiace a tutti)
Pichə : gazza ("n'haji suntut'i sti fișch'i pichə",ne ho sentiti di questi fischi di gazza,cioè, ne ho sentite di queste minacce vane)
Pierə : piede
("trucculiàrə ccù ri pierə", portare molti regali, perchè le mani sono occupate,
"'u'llassàr'i pier'a ggh'unə", non dare tregua ad una persona, "si li
scàppin'i pierə", se muore)
Pinnulàrə : Ciglio dell'occhio(" a persə l'uocchjə e'bba truvann'i pinnulàrə")
Pitrangula : Trappola per catturare gli uccellini.
Prantirusi : … il termine, in particolare riferito al corpo equivale ad abbondante, bene in carne, "abbunnanziusi" . Per l'etimologia di questo termine devo dire che non sono riuscito a trovarla in nessun testo fra quelli che posseggo: G. Rohlfs registra nel suo 'Dizionario dialettale delle tre Calabrie' i termini "prantidusu" (= abbondante) e "pranderìa" (= abbondanza) in provincia di Cosenza e poi un "plenterìa" nel greco della zona di Otranto, ma non dà l'etimologia. Probabilmente egli dà per assodato che i termini sono riconducibili a "prandium" (= pranzo, banchetto)e basta. Allora bisogna tentare uno studio originale per gli Amici del Dialetto di Corigliano Calabro. E' un'impresa, ma non mi tiro indietro. All'origine di questo aggettivo c'è il verbo latino "prandere" che in italiano corrisponde a 'pranzare', 'mangiare'. Ora il participio passato (diventato poi aggettivo) di "prandere" è "pranditus" che è riferito a 'chi ha pranzato', 'chi ha banchettato'). Con uno scambio di posto tra la -d- alla -t- arriviamo a "prantidus". A questo termine i parlanti hanno fatto cadere la consonante -s finale e vi hanno poi aggiunto il suffisso -usi (it. -oso), che indica la presenza o l'abbondanza di una qualità, formando "prantidusi". Con il successivo passaggio della "d" ad "r" (ricordatevi che per noi coriglianesi 'domani' è "rumeni") si arriva al coriglianese "prantirusi". Il "prantidusu" riportato dal Rohlfs non registra il passaggio della "d" ad "r" che è tipica in ambiente osco-umbro-sannito, pensate oltre al coriglianese "rumeni", anche al napoletano "rimmane". Da tutto questo discorso deriva che "prantirusi" sono le 'persone che si sono sovralimentati', che hanno fatto abbondanti banchetti con cibi succulenti e sostanziosi. (Rinaldo Longo)
Pullicàtə : Così il Prof. Rinaldo Longo
spiega questo termine su Fb : significa pressione dei pollici alla gola e alle giugulari per
provocare il soffocamento della povera vittima. Quando si litigava da ragazzi subentrava la minaccia di 'miìntiri a pullicheta'.
Ebbene 'pullicheta è un sostantivo derivato da un verbo ad azione rafforzata 'pullicare' che a sua volta trova la sua origine nell'accusativo latino 'pullicem' (= it.
pollice)
Puntarulə : che matura tardi, fuori tempo (" i fichə puntarulə", sono i fichi che si trovano alla punta (puntaruli) del ramo del fico e quindi maturano più tardi degli altri , "bagnə puntarulə", bagni di mare fuori stagione)
Q
Quagghjariellə : stomaco,intestino, pancia ("si rifriscàr'u quagghjariellə", rinfrescarsi quando fa caldo, "si vani ricrìjni u quagghjariellə", si vanno a scialare)
Quatrarellə/quiatrariellə : ragazzina/ragazzino ("quann'erə quatrariell'i primavèrə", quando ero un ragazzino di primo pelo)
R
Rivattə : sansa, (" a carbunell'ì rivatta", carbonella per il riscaldamento-braciere)
Rosamarinə : pesci appena nati("rosamarinə salàtə", rosamarina conservata con pepe rosso e sale)
Ruòtə : posto, luogo("ruòtə sempr'a stu puntə", frequenti, stai sempre qui)
Ruònzə : pozzanghera( " 'ngill'i ruonzə", anguilla di stagno, ma anche persona viscida)
Ruotə : spazio necessario per far girare un oggetto volimonoso(" 'un tenə ru ruota", non ha lo spazio sufficiente per farlo girare)
S
Sciullàrə : distruggere, far crollare, rovinare( "sù 'nu sciullàtə", sei una persona disordinata, "u liettə sciullàtə", il letto disfatto, "'i capillə sciullàtə", capelli spettinati)
Sirenə : umidità della notte( "stàr'a ru sirenə", passare la notte all'addiaccio, "mìntir'a vùmmul'a ru sirenə", mettere l'orcio al fresco)
Spinnə : desiderio, voglia ("tènir'u spinn'i vìrir'u zitə", aver un grande desiderio, voglia, di vedere il fidanzato)
Spisə : merenda, colazione per il lavoro(" 'u surbiett'i ra spisə", il tovagliolo contenente la colazione di lavoro)
Straquə : rigettato, allontanato("parràr'a ru straquə", parlare a chi è lontano, parlare a chi non ci può ascoltare, parlare al vento)
Stròlichə : una persona che quando parla fa il complicato, il difficile, l'intellettualoide.
Summarchə : abbandonare, tralasciare, rinunciare ("fàrə summarchə ccu ru mangiàrə", saltare un pasto,il pranzo, la cena,...)
T
Talìa : Il termine "talìa" (= spia) che ha dato luogo al verbo talieri (= it. scrutare, spiare) da noi equivale a spia, viene dall'arabo "talea" (= arabo posto d'osservazione) ed è usato in tutta la Calabria. Gli Arabi potrebbero averlo diffuso direttamente in Calabria (a Cariati, a Amantea) (R.Longo)
Tà'e'mmammə : padre e mamma, (ma anche) tutti( "sunə nu tà'e'mmammə"), picchiare(fàrə nu tà'e'mmammə)
Trimpalə : pezzetti di
carta con impiastro di cipolla selvatica e chinino da applicare alle tempie per curare il mal di testa
Tritràngulə : oggetto inventato, inesistente("guardàr'i tritràngulə", starsene impalato, senza
far nulla)
Trunzə : torsolo, persona buona a nulla("m'assimigghjə nu'trunzə", mi sembri un incapace, " 'nrilluvjə ognə ttrunzə nàtə", nel diluvio, ogni torsolo viene a galla, cioè nei tempi di decadenza emergono i cretini)
U
Uocchjə : occhio("spràcchjtə l'uocchjə e stìppit'i ricchjə", apri gli occhi e ascolta bene, stai attento)
V
Vajə : vado("vàjə fazzə na cosə", vado a fare una cosa,"vajə e'bbiegnə", vado e vengo
Varcàrə : superare("ti varchə quattr'annə", è più grande di quattro anni, "varcàr'a r'unə a ra crossə", superare , sorpassare uno nella corsa)
Varrə : pieno ("ggh'è varra-varrə", colmo,pieno fino all'orlo, pieno(di vino),ubriaco
Vèspirə : vespro, pomeriggio("bonn vèspirə", buon pomeriggio, " 'ntra vèspirə mmenz'juornə", nel primo pomeriggio)
Viecchjə : vecchio, (" 'u Viecchjə", San Francesco, " Ebbiva ru Viecchjə ppi ra Maronna", evviva il Vecchio(San Francesco) per la Madonna)
Vijə : via, parte(" 'i nustierzə jenn'a cchissa vijə", da un pò di tempo a questa parte)
Vitticàtə : lividura da percossa("avir'i carnə vitticàtə-vitticàtə", avere molti lividi al corpo)
Z
Zaraffi" deriva dall'"arabo" "zaraf/zarraf" e significa imbroglione, ciurmatore, speculatore, furbo. Io da piccolo sentivo "ghè nu zaraffi" proprio con questo significato dispregiativo (Gerardo Bonifiglio).
Approfondimenti
a cura del Prof. Rinaldo Longo
(quasi tutti gli argomenti sono stati presi dalla rete)
A
Le radici indoeuropee nell’etimologia di ABBACÀRE
Rinaldo Longo, 10:42, 8 gennaio 2014
Rinaldo Longo
In
tutte le lingue ci sono parole la
cui derivazione etimologica costituisce un vero e proprio rompicapo. È il caso del verbo italiano abbacàre [ab-ba-cà-re]
(aus. Avere),
un termine lemmatizzato come verbo intransitivo, per lo più, con la qualifica di ‘obsoleto’, in quasi tutti i buoni dizionari della lingua italiana, dal Vocabolario della lingua
Italiana della
Treccani (che però lo esclude da ‘Il Conciso’), al Wiktionary della rete
Internet, da quello redatto da Ottorino Pianigiani (Dizionario etimologico della lingua
italiana, Letizia
editori, Genova, 1988; Prima edizione Firenze 1907) alDizionario della Lingua
Italiana di Gabrielli
Aldo, editore
Hoepli, daiVocabolari degli Accademici della Crusca, al dizionario
delTommaseo.
Lo stesso termine si ritrova anche in alcuni dialetti dell’Italia meridionale. Per la Calabria esso è registrato in Gerhard Rohlfs, Dizionario
dialettale delle tre Calabrie, Brenner,
Cosenza 1968.
Per
tutti si tratta di un verbo intransitivo per alcuni poco usato, per altri non comune, per altri antico, e i significati riscontrati sono:
(in
senso proprio) calcolare,
fare calcoli, (obsoleto)
esercitare l’arte dell’abaco, (ant.)
fare i conti, conteggiare;
(in
senso figurato) scervellarsi,
rimuginare su qualcosa, armeggiare (nel senso di avvilupparsi e confondersi parlando; darsi da fare senza alcun profitto; considerare, giudicare, lasciarsi trasportare dall’immaginazione,
fantasticare, fantasticare senza proposito, vaneggiare, almanaccare; stare in ozio, avere tempo libero, avere voglia (raro) placare; intendersela con qualcuno.
L’espressione ‘questo pensiero frulla dentro di te’, che equivale a ‘questo pensiero ti logora dentro’, detta utilizzando il termine in questione sarà ‘tu abbàchi con questo pensiero’, detto in forma impersonale ‘ti cci abbàca con questo pensiero’, espressione, quest’ultima, corrispondente a quella dialettale in forma assoluta, diffusa nel cosentino ti cci abbàca (=non ci perdere la testa), che presuppone un infinito abbacàrcisi o abbacàrvisi.
Probabilmente è la polisemia di questo verbo a decretarne lo scarso uso.
Prima di
esprimervi il mio pensiero sull’origine di abbacàre,
dico di evere riscontrato in alcuni degli autori citati le seguenti derivazioni, mentre in altri mancano del tutto:
1 – da àbaco o àbbaco (latino. àbacus ,
greco àbax, gen àbakos)
2 – dal latino *vacus per vacuus
3 – etimo incerto
4 – richiama nel senso e nel suono il termine arabo bakala che
significa ‘si confuse parlando’ (si veda in Pasquale Borrelli, Intorno
ai principi dell’arte etimologica, Fraltelli del
Mujno, 1834).
L’incertezza e
la confusione riguardo all’etimologia del termine abbacàre mi
ha spinto ad indagare e ad esprimere qui il mio pensiero sull’argomento.
Il mio discorso parte da una radice in indoeuropea che designa specificatamente la parola come indipendente da chi la proferisce, e non in quanto significa, ma in quanto esiste (Émile
Benveniste, Il
vocabolario delle istituzioni europee, Einaudi,
Torino 1976, vol. II, pp. 348 e ss). Questa radice è *bhā-,
che è collegabile al latino fari (=parlare)
ed al greco phēmi (=parlare)
ed indica in modo assoluto la parola, cioè qualcosa che esiste ma che è vuota di significato. Se a questa radice si aggiunge un’altra radice indoeuropea *kwri(Émile
Benveniste, cit., vol. I, pp. 54-55), che ha il significato di movimento circolare, si ottiene *bhā
kwri ,
che significa movimento circolare di parole vuote di senso, cioè ‘rivolgere in tutti i versi una parola, un qualcosa, un pensiero’, quasi un ‘frullare continuamente, in maniera ossessiva, una
stessa parola, uno stesso pensiero’, o anche un ‘delirante parlare a vuoto’, ‘un vaniloquio’, e per estensione ‘lo scorrere vuoto del tempo’.
Da *bhā
kwri si
arriva alle forme verbali latine e poi italiane vacàre (=essere
o stare vuoto, libero, non occupato) e bacàre (=il
guastarsi per opera dei bachi, fare il vuoto bacando; in senso figurato: guastare moralmente, guastarsi il cervello con ossessive idee storte e sbagliate), e quindi alla formazione
diabbacàre previo
un probabile passaggio intermedio in cui forme come *ad
vacare o
*ab
vacare e
*ad
bacare o
*ab
bacare,
si sono fuse in seguito all’assimilazione di ad o
di ab con
la consonante seguente.
A *bhā
kwri sono,
quindi, da ricollegare, a mio avviso, anche l’italiano àbaco(sost.,
tavoletta rettangolare che gli antichi usavano per eseguire i calcoli), l’italiano baco (sost.,
verme che produce la seta e che si nutre mangiando, cioè annullando, la superficie delle foglie del gelso) e l’italiano vacuo (agg.,
vuoto).
Rinaldo Longo
Aguanni : quest'anno
... La chiave per risolvere l’enigma della parola “aguanni” sta nella sua sillaba
iniziale, la “a-“. Ebbene la espressione latina da cui dobbiamo partire è “ab hoc anno”. Ora tutti sappiamo che la “h” è muta quindi possiamo anche non scriverla e l’espressione diventa “ab oc
anno” da qui ecco i passaggi fonetici con la relativa fusione dei suoi elementi compositivi:
ab oc anno > av ug anno > auganno > aguanni. Dunque ci troviamo di
fronte ad una parola composta. I fenomeni contemplati dalla grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti verificatisi in questa formazione li ometto per non seccarvi più di tanto
e per motivi di copyright (sto scherzando!). Ora il significato iniziale di “ab hoc anno” è ‘da questo anno’ cioè ‘da questo momento dell’anno che stiamo vivendo in poi’. Ma una volta pervenuti a
“aguanni” la cognizione degli elementi compositivi della stessa “è gghjuta a ru scuordi” e quindi quella che era la preposizione iniziale “ab” non è stata più avvertita come tale per cui la
parola passò a significare solo “in questo anno in corso” ma non sinonimo di “anno” (aguanni=anno) ecco perché per evitare confusione si sente il bisogno di specificare meglio con “st’anni” per
dire ‘da questo momento dell’anno che è in corso’, mentre per l’anno venturo usiamo l’aggiunta “chi vena” e per quello passato l’aggiunta “passeti”.(Rinaldo Longo)
Origine e significato della voce coriglianese : “ appratteri “
di Rinaldo Longo
Sono tanti i coriglianesi che conoscono l‟espressione “Ti vo appratteri a riénzia…!” ed il suo signifi-cato che è “voglia pressarti la Corte”, cioè “possa tu essere infastidito dalla Giustizia”, o meglio ancora “possa tu subire un processo presso il tribunale (o la pretura) ed essere punito”, così come sono tanti i coriglianesi che hanno usato o hanno sentito espres-sioni come “Ohi Mammé!, ghilli m‟appratta! A prossi-ma vota u miggni!” (= „Mamma!, lui mi molesta! La prossima volta lo picchio‟),“ „U‟ mm‟appratteri!” (= „Non darmi fastidio‟) e simili. Si appratta qualcuno anche dandogli spintoni. Chi „appratta‟ per i Cori-glianesi è un „apprattaturi‟.
In Gerhard Rohlfs, Dizionario Dialettale delle tre Calabrie (Brenner, Cosenza 1968) non è contemplata la voce verbale coriglianese appratteri, ma la voce verbale apprattare, che egli raccoglie oltre che da L. Accattatis, Vocabolario del dialetto calabrese (Castrovillari 1897), anche dai parlanti di Acri, Cerisa-no e Cleto, ma non a Corigliano, e che lemmatizza come verbo riflessivo col significato di „appiattarsi‟, „nascondersi‟, facendone risalire l‟origine al latino *ad-plattare. Sembrerebbe allora che solo a Coriglia-no Calabro questo termine abbia, come verbo attivo, il significato di „disturbare‟, „infastidire‟, „pressare‟ e come verbo passivo quello di “essere disturbato”, “essere infastidito”, “essere pressato”, “subire un processo”, “essere punito”. C‟è, però, da dire che lo stesso Rohlfs nel suo Dizionario citato ci segnala anche un apprettare (verbo attivo con significato di „stuzzicare‟, „stimolare‟, „provocare‟) da lui riscontra-to in Accattatis (Vocabolario cit.), voce che nella forma apprettá trovasi in una raccolta di Teod. Cedraro (Napoli, 1855) sul dialetto di Laino e dintorni. Per Rohlfs questo apprettare deriva dal latino appec-torare (= „premere sul petto‟); non solo, ma egli cita altri vocabolari redatti in Calabria verso la fine dell‟Ottocento o nel primo trentennio del Novecento in cui apprettare figura nelle forme apprittá e ap-prittari come „insultare‟ (v. a.) o come „insistere presso alcuno‟, „molestare‟ (v. a.), „inquietare‟ (v. a). Rohlfs ci informa poi di aver raccolto la voce appret-tare a Poténzoni nel comune di Briatico (oggi in pro-vincia di VV) col significato di „rimproverare‟, „sgridare‟ e a Sinopoli (RC) con quello di „questionare‟. Rohlfs trasferisce da altri dizionari dialettali nel suo le voci apprettatura per „tentatore‟ (in prov. di Catanzaro), apprettature (in prov. di Cosenza e di Catanzaro) e apprettaturi (in prov. di Reggio Calabria), questi ultimi due con il significato di „attaccabrighe‟, „noioso‟, „provocatore‟.
Ora cosa lega etimologicamente e semanticamente il coriglianese appratteri alle voci apprattare, apprettare, apprettá, apprittari, apprittá? Come primo intervento cominciamo con l‟affermare che è molto debole etimologicamente e nullo semanti-camente il legame tra il gruppo appratteri, ap-prettare, apprettá, apprittari, apprittá (gruppo che indichiamo con la lettera A) e l‟isolato apprattare (che indichiamo con la lettera B) al quale fa riferimento il Rohlfs. Infatti quest‟ultimo deriva dal latino *ad-plattare (=cfr. l‟aggettivo lat. plattus «it. „piatto‟» e greco πλατός «largo») e presenta non solo un raddoppiamento della consonan-te iniziale del verbo latino plattare, per influsso di ad-(che ha una funzione intensiva), ma anche un passag-gio del gruppo pl in pr (rotacizzazione della l), cosa rara nel meridione dove normalmente pl ha come esito chj, per cui in coriglianese dal lat. plattus si ha „chjatti‟, da *ad-plattare si ha „acchjattere‟ e da *in-plattare „ncchjatteri‟. Portando ora la nostra atten-zione sulle voci verbali del gruppo A, in cui è com-preso il nostro appratteri, osserviamo che esse hanno pressappoco tutte lo stesso significato, quello di „questionare‟, il quale è leggibile attraverso la mia proposta di una derivazione da *ad-prekitare (ad+*prek+itare: dove ad- è un prefisso verbale con funzione intensiva, * prek- è la radice verbale col significato di domandare pregando ed -itare è un suffisso con funzione frequentativa, detta anche itera-tiva. Da questi componenti si evince un significato complessivo di chiedere con insistenza, quindi infasti-dire continuamente) o da *ad-pratitare (ad+prat+itare: dove ad- è un prefisso verbale con funzione intensiva, prat- è la radice verbale con signi-ficato di domandare in senso giuridico, fare un‟inchiesta, ma anche punire, castigare ed -itare il suffisso con funzione frequentativa. I componenti ci rendono un significato che è quello di subire continuamente l‟indagine e il controllo, con relativa puni-zione da parte della legge). Da quanto detto ritengo sia da rigettare la derivazione proposta dal Rohlfs, dal latino appectorare (= „premere sul petto‟), perché questa voce non ci rende conto né della presenza, nel suo presunto derivato apprettare, della -r- dopo app- né della scomparsa di -or- prima della desinenza -are. Nei passaggi *ad-prektitare > *apprettitare > „apprettare‟ (voce registrata dal Rohlfs) si rileva pri-ma il raddoppiamento della consonante iniziale per influsso di ad- poi l‟sssimilazione di k a t e infine la caduta della vocale atona -i-. Nei passaggi *ad-pratitare > *appratitare > „appratteri‟ (voce da me, parlante coriglianese riportata, che si riscontra nel coriglianese odierno) si rileva prima il raddoppiamen-to della consonante iniziale per influsso di ad- e poi la caduta della vocale atona -i-. Faccio notare che la radice indoeuropea prek-, che ritroviamo in - prekti-tare, designa „preghiera insistente‟, „domanda‟, „richiesta verbale insistente‟, e richiama sia il latino precor che quaeso, mentre la radice prāt-, che ritro-viamo in -pratitare è attestata sia nel sanscrito, col significato di „questione‟, „processo‟, che, col signifi-cato di „fare un‟inchiesta‟, „domandare‟, ma anche punire, castigare, nella forma frasa dell‟avestico e del persiano. Infine ricordiamo che la voce frasa la quale richiama < *prex (che a sua volta richiama <*pref- ) ci rende conto dell‟evoluzione di p- in f- e di x in s . Si tratta di rotazioni consonantiche attestate in vari casi. Avviandomi alla chiusura di questa indagine faccio notare che nella lingua spagnola esiste la voce apretar con significato identico a quello del coriglia-nese appratteri, cioè „affliggere‟, „molestare‟, „insistere presso qualcuno‟; „stuzzicare‟, „provocare o disturbare una persona o un animale‟, „dare fastidio‟; „opprimere‟, „torturare‟, „mettere alle strette‟; „stringere‟, „incalzare‟. Ricordo che il sostantivo plurale Proci (dal latino procus), col quale vengono indicati i pretendenti della regina Penelope, moglie di Ulisse, è un termine che ritroviamo nel gruppo semantico con radice *prok-, che è collegato con i gruppi semantici a radice *prek- (nei quali rientra *prex, in latino preghiera) e *perk- e che da questi differisce solo per la o del radicale. Aggiungo che l‟odierno verbo italiano „apprettare‟, che ha generato „appretto‟ (miscela di varie sostanze per trattare i tessuti), non rientra nel nostro discorso perché ha tutt‟altra origine (cioè < francese apprêter «apprestare»).
L
La voce dialettale coriglianese lijona (o liona), femminile singolare, in senso proprio significa “tartaruga”, animale di terra (ma ne esiste anche qualche specie anfibia), che ha una parte esterna, specialmente quella soprastante, formata da un guscio osseo convesso scaglioso e durissimo. Da questa specie di cassetta, o “casetta”, che la protegge fuoriescono la testa, le quattro zampe e la coda. A Corigliano Calabro la stessa voce dialettale, al plurale femminile, i lijoni (o i lioni), vale in senso proprio “più tartarughe” (o testuggini) ma al plurale maschile ha il significato di “geloni” (calabrese “jeloni”) che sono quelle infiammazioni, quasi bruciature, o lesioni locali superficiali delle parti del corpo, le quali, nel disegno, sembrano ripetere quello che è inciso sul guscio delle tartarughe. Queste lesioni si formano principalmente ai piedi, in particolare quelli delle donne a causa dell‘alternarsi della loro esposizione, senza prendere precauzioni, al freddo (o al “gelo”, calabrese “jelo”) e al calore del fuoco del camino o del braciere. Si formano per il freddo anche alle mani e alle orecchie e vengono chiamate ruósili.( m. pl., dal lat. rosula = rosetta), dal colore tra il rosso e il violetto. Ricordo che a Corigliano nei pressi della chiesa di San Pietro viveva un signore che era torturato da queste infiammazioni e noi ragazzi lo chiamavamo “u ruosuleri”. La nostra fantasia aveva coniato un nuovo vocabolo. A proposito, a quei tempi credevamo che i “ruòsili” fossero una malattia infettiva. Per quanto concerne l‘etimologia del termine liona, indicante la tartaruga, propendo per un incrocio, tra il greco χελώνη (tartaruga o testuggine) con il dialettale “jeloni” (it. ‘gelone‘), che indica, come abbiamo detto, lesione dei tessuti locali superficiali, derivato dal dialettale “jelo”, proveniente, a sua volta, dal latino gelu [-s, -um]. L‘incrocio si è verificato per quel che dicevamo sopra, cioè per la somiglianza tra il disegno della corazza della tartaruga e quello della pelle infiammata per il gelo. Da questo incrocio χελώνη × jelo con successiva confusione e poi prevalenza del fonema j su χ si perviene a “jelòne”‘ diventato nel coriglianese “jilona/i”, per lenizione della “e” pretonica. Successivamente in "jilona" avviene una metatesi, cioè avviene una trasposizione reciproca tra la consonante “l”‘ e la semiconsonante “j” ed arriviamo così alla voce lijona e, per assimilazione di i con j, a liona e quindi al plurale lijoni (o lioni) con i significati di cui abbiamo parlato sopra.
(Rinaldo Longo)
R
"Ragapieri" (=chi cammina lentamente trascinando i piedi a stento) e "ragapielli" (= chi cammina muovendo lentamente il bacino, dal greco "pielos"). Anbedue sono dei nomi composti formati dal verbo "ragare" + "pieri" il primo e "ragare" + "pielli" il secondo.
Intanto il verbo "ragare", coriglianese odierno " ragheri" (da una probabile radice onomatopeica "rag") vuol dire 'trascinare a fatiga', 'fare qualcosa con respiro affannoso' ('raghi', nel coriglianese odierno "reghi") .
Tanto nel significato letterale.
Nel cosentino "ragapielli" vale anche sia " pilleri" (=pellaio) che 'straccione' che a stento tira avanti la sua pelle, ma anche "quaquielli", incapace, poco affidabile, perché dai tempi lunghi.
(Rinaldo Longo)
S
Mi soffermerò solo sull'etimologia del termine "sc(i)camacceri", pron. [ʃkamatʃtʃerə].
Ritengo che il detto verbo sia dovuto all'incrocio dei due termini latini 'exclamare' (= it. esclamare, gridare, lamentarsi, miagolare, emettere un qualche suono ; dialetto " sc(i)cameri, pron. [ʃkamerə] ) e *'maccare' (= it. 'ammaccare', 'schiacciare', 'pestare', dial. "ammaccheri"). Lo schiacciamento provoca l'emissione di un qualche suono o rumore emesso da chi o da ciò che è schiacciato.
Ecco i vari passaggi che si possono presumere partendo dal latino per arrivare al termine in questione:
excla+maccare > scamaccare>sc(i)camacceri.
Ricordo che nel passaggio dal latino all'italiano ed al nostro dialetto la pronunzia di cc passa da [kk] a [tʃtʃ] , quindi da qui il nostro " sc(i)camacceri" pron. [ʃkamatʃtʃerə].
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Spitrijanni
A Curgghjeni quanni guni ghè agitati ricimi ca s'hani pijeti 'i spiriti. Dunchi si rìcia ca guni sta spirdianni (anche spirdijanni) o spitrianni (anche spitrijanni), dando ostracismo alla parola "spiritijanni".
Chissi i passaggi cumincianni 'i ra parola spiritus + are (suffisso verbale per l'infinito):
*spirituare > corigl. spiridieri > spirdijeri da cui spirdijanni spirti . Suni successi ruva fenomini: 1) a -ri- sillaba interna atona ha persa a i ; 2) a - t - riventa d.
Oppure:
*spirituare > corigl. spirtieri > spitrieri > spitrijeri da cui spitrijanni. Suni successi ruva fenomini: 1) a -ri- sillaba interna atona ha persa a i ; 2) a - rt - riventa -tr- per metatesi .
P.S.
Cumi vi putiti accòrgiri vuva stessi, amici mija, i parranti hani scartati a possibilitè 'i nu sbiluppi tipo *spirituare > *spiritijeri, da cui spirdijanni, forsi pirchì lli "puzzeva"
Rinaldo Longo
T
TUPULIUNI (o Tupiliuni)
Etimologia
Questo termine merita un approfondimento. Diciamo subito che può essere riferito a persone o a cose.
Una superficiale analisi ti porta a pensare ad una parola composta da topo+leone, cosa che scartiamo perché in coriglianese topo si dice sùrici. Raccogliamo quindi una etimologia francese del termine, cioè tupé (o tuppé) dal francese toupet + lier (italiano 'legare'< latino ligare) , quindi 'tupulieri' (o tupilieri) da cui il deverbativo coriglianese "TUPULIUNI" (o Tupiliuni).
Significato
Il verbo coriglianese "tupilieri" significa avvolgere, ravvolgere, raccogliere, legare avvolgendo; coprire, cummògghjiri, cummigghjeri; ingarbugliare.
Precisiamo che il significato letterale, adeguato ai due termini che entrano nella composizione di questo verbo, è legare i capelli (delle donne) in modo da formare un nodo (toupet), chiamato anche crocchia o crignon, e quindi
"TUPULIUNI", sull'occipite.
Ma la creatività coriglianese e calabrese ha dato tante sfumature nel significato del termine " tupuliuni". A Corigliano indica persona grassoccia, sciocca e ignorante, ma anche persona che ingarbuglia. Lo stesso nella versione "topagliune" nel circondario di Cosenza vale ignorantaccio ma anche uno che ingarbuglia.
Riferito a cose il termine indica un mucchio, una certa quantità di cose, esempio fiocco di lana, ceppo di funghi.
Rinaldo Longo
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Fonte:
Antonio Russo-Giulio Iudicissa- Luigi De Luca-Giuseppe Pellegrino-Enzo Cumino-Rinaldo Longo-Gerardo Bonifiglio