Correva l'anno 1917

Il Popolano n° 1 del 1 gennaio 1917

Il Popolano n° 7 e 8 del 2 aprile 1917

Il Popolano n. 21 e 22 del 19 agosto 1917


Natale di un tempo

Ieri Natale, oggi Capodanno. Vengono e passano senza un palpito, senza un sorriso. La poesia del ceppo, la poesia del presepe, la poesia che circondava e animava il mistero di Betlemme è finita, forse, per sempre. E invano le campane tentano di richiamarla al cuore. Invano, perché nel cuore, che aspettava il miracolo, è scesa la notte profonda. Sopravvive solo la poesia del ricordo, la nostalgia del passato, quando queste ricorrenze erano come una sosta nel continuo andare della vita. 

(Vincenzo Gallerano)

(Il Popolano 1917)

 

Una culla 

Il 28 di agosto u.s., alle ore 23, i primi vagiti di un bimbo, per la seconda volta, rinnovavano a Vincenzo Tieri il palpito della paternità. E Vincenzo Tieri stava muto, orgoglioso del sogno realizzato. Parlava per lui quel silenzio pensoso. Parlava per lui la gioia serena che brillava nei suoi occhi. Parlava per lui lo sguardo d'amore ond'egli avvolgeva il suo piccolo; il bacio d’amore, che, tremante, posò sulla piccola fronte. Quel bacio era l'augurio,era la benedizione solenne al nuovo venuto. Il quale sorrideva, incosciente, dalle trine, che le esperte mani della madre e delle zie avevan preparate nell'ansia dell'attesa. Noi della famiglia del « Popolano », di cui Vincenzo Tieri è tanta parte; noi, che col cuore abbiamo partecipato alla festa, auguriamo ai genitori e al neonato — cui sono stati imposti i nomi di Araldo, .Vergilio, Shelley (l'amore, il genio e il sentimento più vivo e più profondo della natura ) — che la vita scorra per essi in un idillio gentile di primavera.

(Il Popolano Settembre 1917)

 

Arrivano a Corigliano i profughi friulani

Una pagina della grande guerra

di Enzo Cumino

 

E dopo i prigionieri di guerra giungono in Corigliano i profughi delle zone teatro del conflitto. È il 9 novembre 1917: centinaia di friulani (donne, vecchi, bambini) vengono strappati alla tranquilla quotidianità delle loro verdi montagne, devastate dalle atrocità e dalle distruzioni di una guerra scatenata dalla follia delle classi dirigenti. Lasciano le case, il focolare, le distese dei campi, le albe avvolte dalle nebbie e i tramonti sereni dominati dalle cime dei monti circostanti, le colture e i frutti ormai quasi maturi: insomma, il loro mondo. Dopo un lungo viaggio in treno, vengono accolti alla Stazione di Corigliano Calabro da una popolazione sensibile che ha fatto un anno prima (ottobre 1916) pubblico appello, per accogliere in Città profughi di guerra bisognosi di cure ed accoglienza, richiamandosi a quell’emblema, il “cor bonum”, che si ispira a S. Francesco di Paola e che, nei secoli, è sempre stato segno distintivo dell’animo coriglianese. Accolti alla stazione dal Sindaco Vincenzo Fino, da autorità civili e militari e da tanti cittadini, i profughi vengono condotti man mano in Città da un’automobile che fa servizio di trasporto tra S. Demetrio Corone e Rossano. Ospitati nella chiesa di S. Antonio, vengono accolti e soccorsi da una imponente e commovente gara di solidarietà che vede coinvolta la popolazione tutta. Nel refettorio del Convitto-Ginnasio “G. Garopoli”, l’Amministrazione civica e tanti volontari offrono ai profughi un “abbondante pranzo”; a servire a tavola, il fior fiore dell’allora borghesia cittadina ed il personale del Ginnasio, primo fra tutti il Direttore Benedetto Leoni. Dopo il pranzo, i “fratelli” friulani, “ben tutelati e soccorsi”, vengono alloggiati nei locali dell’ex-convento dei Cappuccini; alcuni trovano accoglienza addirittura in case private. Nel frattempo, nasce spontaneo in Città un “Comitato di assistenza per i profughi”, che “va spiegando solerte ed affettuosa opera a favore di tanta gente duramente provata dalla sventura”: encomiabile spirito di solidarietà, che traspare tangibile dalle pagine del periodico locale Il Popolano e che invita, oggi, ogni persona sensibile ad interrogarsi sull’unica scelta possibile nei confronti dei tanti “migranti” che vengono da paesi lontani e che bussano quotidianamente alle “nostre” porte. 


Natale in tempo di guerra

È il mito che perde il profumo o è l’anima nostra che perde la fede nel mito? Natale passa. Il cielo di cobalto sorride la sua indifferenza sulle cime inargentate dei monti lontani, sul mare calmo, su i nudi olivi, sull’oro delle arance mature. È Natale? Le vie spopolate della città, le viuzze squallide del suburbio non odorano più del Natale che passa. Nelle chiese – triste anacronismo di fede – languono i preparativi del rito. Su la porta delle case ghigna la miseria crudele. Su la bocca degli uomini l’augurio impallidisce fioco o pure si spegne inespresso. Nel nostro cuore sboccia solo l’accorata nostalgia di un Natale passato, di un Natale lontano, bianco di neve, garrulo di grida, ebro di vini e d’allegria.

(Vincenzo Tieri)

(Il Popolano Dicembre 1917)