Correva l'anno 1883
In questa pagina, sono riportati alcuni numeri de Il Popolano del 1883. Il quindicinale di Francesco Dragosei, che racconta avvenimenti importanti della nostra Corigliano, dalla fine del 1882 fino al 1930. È un semplice invito alle scuole, almeno a quelle di Corigliano, per far leggere ai propri studenti quello che succedeva, oltre un secolo fa, nella nostra Città. E, perché no, promuovere qualche progetto per recuperare tutti gli altri numeri di questo storico quindicinale.
AVVISO AI LETTORI
Sono interessato a scambiare (uno a uno) i miei numeri de Il Popolano, che non sono pubblicati su queste pagine web, con altri collezionisti di questo glorioso giornale di Francesco
Dragosei (basta contattarmi: giovanniscorzafave@libero.it)
(la mia collezione va oltre l'80%, di cui molti originali)
Il Popolano n. 3 del 14 gennaio 1883
Anno I. Corigliano Calabro 14 Gennaio 1883 Num. 3
IL POPOLANO
GIORNALETTO QUINDICINALE
UNA PIAGA D’ITALIA
Non piaghe di Egitto … In Italia v’è una piaga più sanguinante, più mortale, e che torna, specialmente, a danno dei comuni rurali : l’emigrazione. Per essa, gran numero de’ nostri cittadini varcano l’Oceano, in cerca di fortune, nelle lontane Americhe, spopolando le case, le officine, abbandonando i campi. È, oramai, risaputo che nel solo anno 1881, furono 35832 gli emigrati italiani; è risaputo che nella sola città di Buenos Aries sono 52.000 e più de’ nostri fratelli; e che altre migliaia e migliaia veggonsi disseminate, ora a New-York, ora in altri luoghi del Nuovo Continente. E pure noi non si ha colà un palmo di possedimenti, mentre le altre nazioni di Europa, chi più, chi meno, vi hanno piantate le tende! A’ limiti imposti ad un giornaletto di provincia non è dato segnare, con accurato studio, le cause di un così funesto fenomeno, come quello dell’emigrazione, facendone i dovuti commenti storico-sociali; ma è bene parecchio, senza pretensione alcuna, e, così, ad occhio e croce, rimarcarne il fatto. Da noi partì il grido del dolore, da altri si esamini il male, che ci è sopra, e a tempo vi si porti rimedio.
Certo fra le cause che determinano ad abbandonare il domestico lare e questo perenne sorriso di cielo è la invadente miseria delle classi non abbienti, delle operaie, giacché, come gli antichi Sanniti, con le primavere sacre, abbandonavano le valli dell’Appennino, oggi i nostri fratelli chiedono altrove nuove sedi.
Si emigra, da questa Italia, non per ragioni d’industria e di commercio, di cui si resero, un tempo, emporio Genova e Pisa, ma perché, in casa, si à lo stimolo della fame e di ogni altra privazione; e perché non è facile resistere, con nordica indifferenza, al grido di «Pane! Pane!» che parte dal petto delle persone più care. E per emigrare, si tenta ogni mezzo, si vende la casetta, piena delle sacre memorie di famiglia; l’orticello, bagnato, tante volte, di copioso sudore, sotto la sferza del sole di luglio; e quant’altro di più caro, barattando, perfino, i mobili di casa, le vesti e l’oro nuziale – ch’è un capitaluccio riposto per i poveri contadini - ; e tutt’altro vien fatto, pur di metter su un dugento e tante Lire, per il viaggio, o, quel ch’è peggio, pigliando il danaro ad intransigente usura. A casi estremi rimedii estremi; a chi à disperazione, nel cuore, ogni espediente pare accettabile. Sa Dio qual vita, poi, si mena là, in terra straniera, fra mille privazioni e mille travagli; la speranza di ritornare, fra non molto, non ricchi, ma, sì, capaci di mettere in sesto le proprie bisogne, raddoppia la forza e l’ardire. Ritornare! … E pure, difficilmente, si ritorna; gl’impresarii di questo o quel lavoro, a null’altro intenti che al proprio guadagno, cacciano innanzi, ne’ più duri travagli, la povera gente; senza pietà, spegnendone il nerbo della gioventù e della robustezza, mentre le malattie, facilissime ad assalire i deboli corpi, fanno il resto, con abbatterne la vita; le lusinghe di una nuova fortuna, in terra, che, almeno, paga meglio il lavoro, non sono poche; il distaccarsi dal paese natìo, dai domestici affetti, per cause, che non tardano a sopraggiungere, viene a dare in certo qual modo, il colmo alla bilancia. Sono commoventissime e tristi le scene, che si presentano agli occhi di chi osserva lo sciagurato fenomeno, e, dentro, ne risente l’amara impressione. Quanti infelici morti lontano dal patrio suolo, nella desolazione più squallida! quanti altri, per sempre, staccati dalla terra natale, perché traditi ne’ più delicati e nobili affetti del cuore! e quanti e quanti altri, per innumeri cagioni, rapiti alla grande Famiglia Italiana ! … Miseria! Nessuno può fare a meno di riconoscere le funestissime conseguenze, che saranno per derivarne. L’agricoltura, già, ha cominciato a risentirsene, causa la mancanza delle braccia, e le più rigorose, che davano il principio della vitalità alle prodigiose membra dello stato. Con l’agricoltura, non tarderanno a languire le industrie, i commerci; a mancare il pubblico immegliamento; poiché si sa, al dir di Catone, che quella nazione è, veramente, florida e potente, la quale ha meglio coltivati ed estesi i campi. Che fare, se manca, in parte – non dico, per ora, né spero possa mai dirsi, in tutto – il necessario alla assistenza, ai bisogni, ond’è piena la vita; il modo come pagare le vecchie e nuove gravezze di un governo impositore? Non è quistione di principii; l’è di fatto, di mera e terribile necessità; la quale, quando avrà toccato il colmo, non avrà più rimedio. Non si fa così, con un sol verbo, a mantenere l’Italia rispettata e temuta : i nostri nemici, i nostri graziosi vicini e quant’altri invidiano la grandezza della nostra Patria ben trarranno profitto dalle nostre miserie, e le conteranno con gioia crudele! Bisogna essere forti per essere rispettati. Ecco perché, ora che è, già, tempo, il governo, che n’ha il sacro obbligo, dovrebbe impensierirsi di ciò che accade. Ricordiamo, con compiacenza, che, sin dal 1871, l’On Rappresentante del Collegio di Rossano, il buon Tocci, come lo chiama Mauro Macchi, nel suo almanacco Cronistico, proponeva la quistione dell’emigrazione al Parlamento; ebbene, che cosa, da poi in qua, si è fatto? O come si è tentato mettere riparo alla fiumara del male? Nulla di nulla; gl’Italiani sono emigrati, emigrano, emigreranno, non si sa fino a qual punto, se l’opera sapiente, benefica, consolatrice dello Stato non sarà volta a vantaggio dei bisognosi. Si lascino le quistioni di formole, di astratte teorie, le quali niente fruttano al bene comune della Patria; e si volgano gli sguardi al miglioramento delle classi. Si operi, e seriamente, con coscienza, con intelletto di amore, il bene dei Comuni; i quali mostrano al mondo come si possa pugnare, da leoni, a pro della Patria, al grido di «o morte o libertà!». È piena la storia, di atti di eroismo, in cui, financo, le donne si segnalarono; e sia pur lo straniero, che avido si affacciò dalle mal vietate Alpi, quale terribile vendetta si compì a suo danno. Ai Comuni debbono rivolgersi tutte le mire, se si vuole che, con la vita comunale, rifluisca più rigogliosa la vita della Nazione; giacché la vita dei Comuni è vita di questa, del pari che quella delle membra del corpo è vita del cuore. Con i nuovi elementi penetrati nel seno della Camera, c’è bene a sperare, purché il salire sublime, come, il più delle volte, avviene, non distragga ed alieni l’animo da quei doveri, che, prima, erano culto, aspirazione continua. Avanti, dunque, nell’opera salutare, o Rappresentanti del popolo : sono milioni di cittadini, che a voi tengono fissi gli sguardi! … Ma, per guarire il male, bisogna estirparlo dalle radici. Assistiamo ad un nuovo fermento d’idee, ad un maremagnum di nuovi bisogni, è verissimo; ma, è duro confessarlo, il tempo dei grandi ideali, è, quasi, cessato, ed una sconfortante demoralizzazione, dagli stati, s’è insinuata a contaminare, finanche l’aria pura delle campagne. Causa è dessa di molti altri fenomeni interni, a danno della civile famiglia; e, già, una risonanza si ode nell’arte, che, dalle sfere divine di Dante scende a cantare l’opulenza dell’anca, la marcia ed il lupanare. E non ultima cancrena, di questa demoralizzazione conseguenza, è l’usura spietata, la quale si fa innanzi ardita, e gavazza sulle rovine de’ miserabili, costretti a pagare il 4, il 5 % al mese, se non peggio. È l’usura una delle cause, altresì, che spingono all’emigrazione, perché fonte di quella miseria, che costringe a tentare ogni prova, pur di non morir di fame. Anche, ne’ tempi dell’antica Roma, esempio di bene ordinate ed eseguite leggi, tanto dentro quanto fuori, al dir del Macchiavelli, triste era la condizione della plebe, causa l’usura e l’abbandonata coltivazione dei campi, ma vi si seppe provvedere, opportunamente, perché ella fece valere i suoi dritti, con la secessione al Monte Sacro. Ora, il nostro popolo protesta contro le interne miserie; si vendica dei potenti e dei gaudenti, che, empiamente, trascinano la vita, fra le ebbrezze con l’emigrare : perché, dunque,non provvedere? C’è molto da fare; ma si comincia dallo strozzare l’idra dell’usura; si dia, stabilendo delle casse di lavoro, l’agio del sostentamento, sudato ed onorato, a chi n’è privo : non si spendano in cose inutili i denari della provincia e dello Stato, ingrossando, tacitamente, i patrimoni de’ più fini e scaltriti arruffatori pubblici. Sarà questo un primo passo, per rimettere in onore il vessillo della pubblica moralità; ché il resto sarà fatto dalla scuola e dalle savie e rigeneratrici istituzioni. Incanalamenti di fiumi sono richiesti dall’igiene e dall’agricoltura; più ampia rete di strade carrozzabili è reclamata dal commercio e dalle mutate relazioni tra comuni e comuni; dissodamento e censimento di latifondi, riservati a soli pascoli o a cacce richiede la sterilità dei vecchi terreni, che ànno bisogno di tregua, per la rotazione agraria, o, che essendo in pendio, debbono essere rimboschiti, per impedire, in parte, gli enormi allagamenti dei fiumi. Minore imposizione è gridata da tutte le classi, che lavorano, e si vedono tassato anche il sudore della fronte. È tempo che il sale si abbia un invilio e che l’imposta sul macinato, definita la tasse sulla fame, sia, davvero, abolita. Ecco, in parte, ciò che richiedono i nuovi bisogni; e per cui solo è possibile veder cessato il malcontento. Non è, certo, segno di ottimo governo, né di floridezza di stato il maximum delle imposizioni. Dopo 22 anni di governo liberale, comprato col sangue de’ martiri; governo che, s’è fatto iniziatore delle più grandi riforme, da Roma, Capitale del Regno fino all’avveramento del suffragio universale, è giusto, per quanto sperabile, avere assicurata la vita dei Comuni, e, specie, dei rurali; donde viene salute all’intera Nazione. L’Italia è fatta, bisogna fare gl’Italiani! La memoria del Gran Re ne impone maggiori doveri; ne segna la via. Voglia Iddio che l’Italia possa dire, come esclamava Carlo Alberto, che fa da sé!
NOTIZIE DIVERSE
Il 9 Gennaio, - scrive il Pungolo – quanti affetti, quanti ricordi, quanti dolori riassume! Il 9 Gennaio non può, in Italia, che essere dedicato a commemorare il Re Liberatore, il Padre della Patria; è una giornata destinata al culto delle sacre memorie patriottiche, delle virtù che fecero una e libera l’Italia.
Le principali città d’Italia celebrarono solenni esequie alla memoria del Gran Re.
A Verona, nello stesso giorno, fu inaugurato il monumento al compianto Re, coll’intervento del Principe Amedeo, e gran concorso di forestieri
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La Francia ha fatto una gravissima perdita per l’immatura morte di Leone Gambetta e del Generale Chanzi. Il primo era la mente e il secondo il braccio del partito della rivincita
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Victor-Hugo scrisse al padre di Gambetta affinché lasci il corpo del figlio a Parigi
PARTE LETTERARIA
FORZA DELL’AMORE
Perché nel cuore i palpiti
Frequenti in petto io sento,
Fanciulla, or che men limpido
Brilla l’astro d’argento?
Perchè ho gli occhi roridi
Di lagrime, perché,
fanciulla, se li fiso
Una sol fiata in te?
Perché quel triste murmure
Del pavimento azzurro,
M’eccita in cor, nell’anima,
Un tacito sussurro
Inesplicato, arcano,
Che non so dir cos’è?
Dimmi, fanciulla mia,
Dimmi, questo perché?
Del marinar la flebile
Canzone dell’amore
Dimmi, perché le fibre
Tutte mi scuote in core,
E perché mai nell’altre
Sere al caduto dì,
Del marinar tal canto
Sempre non fu così? …
Perché questo silenzio,
Dimmi, non mi tormenta
E questa solitudine
Perché non mi paventa,
Anzi m’imparadisa
E par mi dica si:
Unito a questa vergine
Sempre vivrai così?
Quegli astri che risplendono
Lassù nel firmamento.
Dimmi, fanciulla mia,
Perché tanto contento
M’instillano nell’anima
Col loro bel color?
Lo sai, fanciulla mia,
Angelo del mio cor?
Perché del bronzo il lugubre
Suono, in quest’alma sera,
Con forza sovrumana
M’invita alla preghiera,
Mestizia non m’infonde,
Non desta punto orror,
Siccome l’altre sere
Qui mi sentìa nel cor?
Fanciulla, su, rispondimi,
Non indugiar cotanto;
Dimmi, perché natura
Mi sembra un dolce incanto,
E se a te mai più bella
Sera di questo dì,
Sembroti uguale, o quasi,
Ridente ognor così? …
Non mi rispondi? Il palpito
Del tuo vergineo core
Mi dice : effetto è tutto
Del nostro santo amore;
Amor così dipinge,
Dipinge Amor così
Quanto il creato abbella,
Quanto vedem fin qui.
È quindi l’universo
Un niente senz’amore
E amor comprende tutto
Creato e Creatore,
Steril pianura, dunque,
La vita è senza amor,
È nulla senza quello,
Creato e Creator.
MEVIO
NOSTRA CORRISPONDENZA
Ci scrivono da Rossano :
Quest'Amministrazione Comunale - da progressista e savia - ha fatto la mescola pensata di sciogliere la Banda musicale. Si vuole per fare economia, ma il vero s'è che si vive in mezzo ai partiti e se l'unpartito oggi avvia un'opera - buona o cattiva che sia - domani, salito l'altro al potere, per indispettire, abbatte e atterra ciò che il primo fece senza punto badare se, agendo così ad libitum, ci discapiti la maggior parte del paese, la quale - lontana dagli abusi e capricci - ama e vorrebbe il benessere generale.
Quante spese e fatiche non costava quel boccone di Banda? Rossano che non possiede un buon teatro, che non offre divertimenti di città, che vive una vita tutta di noia, Rossano Vantava solo un discreto Corpo musicale ed i Signori Padri Coscritti no l'hanno voluto per ritornare ai beatissimi tempi della zampogna - Quant'infelici paeselli bramerebbero una Banda e per deficienza di mezzi debbono bandirne e deporne il pensiero. Rossano ne aveva una buona e l'ha distrutta !!...
Non è forse la musica che rivela al forestiere il lustro e la prima civiltà d'un paese? Non è dessa che si presta in tutte le più fauste ricorrenze? Non è dessa che, sollevandoci al disopra dei bruti e dei selvaggi, nobilita e ingentilisce il cuore? Non è dessa che ispirando sentimenti magnanimi, ci allegra e commuove, ci esalta ed entusiasma da farci scordare i guai e le sofferenze di questa vita? - E dire che tale nobile istituzione, unendo l'utile al dilettevole, affratellava di cuore e di mente tanti bravi e intelligenti giovani, i quali sotto la scorta della dottissima direzione, ci faceano pregustare le più belle melodie dei grandi maestri italiani non solo, quanto procurava alla gioventù un altro mezzo d'istruirsi e di guadagnarsi il pane se non nel proprio paese, in altri luoghi, massime servendo l'Esercito.
Ma Rossano è una fanciulla sfortunata la quale appena comincia a imbellettarsi per sembrar più bella viene dai suoi più fidi e sviscerati amanti abbrutita e deturpata e che poscia, vestendola a bruno, gioiendo, le intuanano il Deprofundis!!... Son questi che amministrano le cose pubbliche, son questi che, abolendo la Banda, aboliranno man mano l'altre opere buone iniziate e avviate e noi rossanesi, pagando i dolorosi balzelli, piegheremo il capo e, facendo tanto di berretto, grideremo ai nostri sapienti governanti : EVVIVA!!...
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Per mancanza di spazio, rimandiamo al prossimo numero una nostra corrispondenza da Caserta
COSE NOSTRE
Rendiamo i più sentiti ringraziamenti ai giornali, La Calandra, Il Calabrese, La Sinistra e l’Eco del Savuto, per averci onorati del loro cambio, ed all’ultimo anche per le benevoli parole scritte al nostro indirizzo.
Abbiamo spedito eziandio il nostro giornale all’Avanguardia, all’Abate Gioacchino, all’Ape, all’Eco, ed alla Luce dai quali non abbiamo nulla ricevuto.
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Nel giorno 4 corrente prese possesso il nuovo Sindaco di questa Città, Sig. Luigi Lettieri. Confidiamo che con lui ritorni la calma fra i componenti la Giunta, che sapevamo in gravi dissapori con l'Assessore funzionante.
Le discordie nell'Amministrazione Comunale non fanno bene; gli amministratori vogliono una maggior cura degl'interessi del Comune, troppo, ed assai troppo manomessi; vogliono che chi sta a capo del paese ne guardi i bisogni, ma con quella premura e quell'affetto con cui si guardano le cose proprie; vogliono che non si faccia spreco del denaro del Comune, ridotto ormai a ricorrere anch'esso ad inusitati balzelli ed al dannoso espediente dei prestiti.
Queste ed altre simili cose sono nei desideri di questa cittadinanza, ed il Popolano ne farà continuo ricordo ai signori del Municipio.
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Il giorno cinque del corrente mese, il Sig. Alessandro Colombo, Maresciallo dei RR. Carabinieri, avendo ottenuto il congedo definitivo, partiva per la volta di Casale Nuovo, suo paese natìo. Tale partenza fu dolorosa per tutti i buoni, che seppero ammirare le virtù del nostro bravo Maresciallo, la di cui vita militare è un bel esempio di abnegazione e di carattere illibato. Egli, scrupoloso nell’adempiere il proprio dovere, non seppe risparmiare fatiche, mercè le quali chi sa quanti inconvenienti non si avverarono. Bastava la sua presenza nella Piazza del Popolo, ove sacrificava lunghissime ore nei festivi, per fare ivi regnare la pubblica quiete. Uomo dello stampo antico, seppe farsi rispettare ed amare financo della gente più discola del paese, la quale, nel trovare in lui un censore severissimo, ne apprezzava l’assennato consiglio d’un padre affettuoso.
In Corigliano non vi fu persona come il Colombo, militare indipendente, solerte, prudente.
Noi facciamo ferventi voti per la salute d’un tale uomo, la di cui memoria ci sarà sempre cara.
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Buffon dice :«Fra tutti i quadrupedi, il porco sembra essere l'animale più brutto». Però molti nostri compaesani, cui natura al ventre fè servi, s'imparadisano della vista di così caro animaluccio. E perciò all'olezzo delle cloache, aperte alla vista dei passanti ed alla fragranza delle sporcizie, che ingombrano le pubbliche vie, si aggiunge anche il grato profumo, che emana dal corpo del prediletto animale, il quale in molte case vive in consorzio della famiglia, ed in altre fa le veci del portinaio. Ciò che maggiormente ci duole è il dover dire che il brutto esempio vien dato da certi consiglieri, i quali ne decretarono un di l'ostracismo e tuttavia, con parole tronfie e declamazioni sperticale, vanno parlando per ogni dove di nettezza e d'igiene; facendo così a guisa di quei parroci di villaggi, che predicano dall'altare castità, mentre vivono pubblicamente in concubinato.
Signori, invece di far moltiplicare in paese la razza porcina, sarebbe più prudente accrescere il numero degli elettori politici, il quale messo a confronto con quello dei porci cittadini, ne viene superato di gran lunga.
Nella passata elezione politica, a dirla schietta, fu uno scandalo - vedere la parte più intelligente del paese esclusa dal diritto di votare - Ma il perché? - Il perché, noi altri popolani sogliamo dire, non è ancora stampato.
Oggi però siamo in tempo opportuno a far ciò che si trascurò per il passato. Ma non ci dobbiamo contentare delle sole domande d'inscrizione, che ci pervengono; ma fare anche qualche cosa impostaci dall'articolo 21 della legge Elettorale.
E per ben riuscire nel nostro proposito, stimeremmo utile invitare tutti i maestri elementari e gli uscieri, a far un elenco delle persone, che essi conoscono saper leggere e scrivere. Verificato poi se questi riuniscono i requisiti per essere elettore inscriverli nelle liste.
Speriamo che il 1883 illumini la mente ed il cuore di tutti!...
Intanto il Popolano rivolge la modesta ed umile preghiera : Signori, meno porci e più elettori!
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La è proprio curiosa in questa nostra Città!... Abbiamo un Assessore per la Pulizia, abbiamo delle Guardie Municipali, ma le cose vanno peggio, che se questi Signori non ci fossero! Si danno essi mai alcun pensiero della quantità del pane, e di quella dell’olio, che generalmente fa schifo per la sua impurità? Guardano essi la esattezza dei pesi e delle misure?... Aspettano che se ne faccia loro ricorso; ma questo è un ritrovato che non giustifica la loro indolenza. In tutte le città che hanno un servizio ben ordinato, le Guardie non aspettano i reclami, ma sono tutte occhi per scovrire gl’inconvenienti, gli abusi, e, senza che altri reclamino, li reprimono. Qui si avvera il contrario: intanto è il pubblico che ne risente, e da moltissimi cittadini ci giungono reclami sul riguardo. Possiamo sperare un po’ di vita in questo ramo di pubblico servizio? Ne sarebbe tempo, e ce l’attendiamo dal giovane egregio ch’è a capo di esso!
Gerente responsabile Vincenzo Bellucci – Corigliano Calabro – Tip. Letteraria
Il Popolano n. 4 del 30 gennaio 1883
Anno I Corigliano Calabro 30 Gennaio 1883 Num. 4.
IL POPOLANO
GIORNALETTO QUINDICINALE
A quei Signori che hanno ricevuto il nostro Giornale fino al 3. Numero, rivolgiamo la calda preghiera di farci tenere la prima rata d’abbonamento. Trattasi di una tenuissima somma che appena può covrire le spese di stampa. Ci attendiamo di essere esauditi
RISPOSTA A SUA MAESTÀ RE ALARICO
Maestà – Il sottoscritto, nel leggere quanto la M.V. si compiacque dire, nel numero 1° della Sinistra, del 10 corrente, si ricordò della risposta, che Vostra Maestà diede agli ambasciatori romani, quando, per la prima volta, nel 408, si presentò alle porte di Roma, chiedendo tutte le ricchezze della città, se questa voleva essere salva. Gli ambasciatori, atterriti, domandarono che cosa lasciasse ai Romani, prendendosi tutte le ricchezze; e M.V. rispose : «La Vita».
In queste due parole si compendia il vostro carattere, il quale, dopo 1475 anni, si rileva della stessa tempra. Però alla M.V. è sfuggita una cosa, che il sottoscritto ha l’onore sottomettervi.
Nel 408 V.M. era Re per un diritto del quale ancora se ne ignora l’origine, ed il Popolo era plebe, carne da macello; ora, invece, i Re sono tali per volontà delle Nazioni, cioè, del Popolo, ed il Popolo è Sovrano per diritto di natura, e per la progredita civiltà, quindi, fra V.M. ed il Popolano vi è perfetta eguaglianza, e, fra eguali, è permessa una franca e libera parola.
Stabilito questo santo e fondamentale principio dell’eguaglianza, eccoci alla discussione di alcuni principi che V.M. ignora, o finge di ignorare.
Maestà – Nei vostri Sbalzi, da Guglielmo Oberdank al debito che vuole contrarre la nostra provincia, avete fatto uno sbalzo, che è un miracolo come ne siete uscito sano. La natura di questo giornaletto ci impedisce farvi notare il granchio a secco che avete preso; perché ci ingolferebbe in una polemica, nella quale, perciò, del solo debito.
In grazia, Maestà, dove attingete tanta arroganza e superbia, da farvi esordire con le parole «che si è perduta la bussola addirittura da molti colleghi - che compassione i poveri di spirito – che ridete proprio in cuor vostro ecc. ecc…» Forse l’attingete dalla lettera pubblica nell’Avanguardia, il 28 scorso mese numero 92-93 – Ah! Maestà, quella lettera avrebbe dovuto farvi piangere a lagrime di sangue, perché esprimeva l’angoscia di una onorata famiglia, la quale, oppressa da urgenti bisogni, fra i quali forse, in prima linea era quello di adempiere agli obblighi verso lo Stato e la Provincia, e, per conservare il proprio onore e decoro, ha contratto de’ debiti, che vorrebbe pagare con la vendita di una proprietà, la quale non trova acquirenti, sia perché la proprietà è molto gravata da un sistema di tasse inique e spoliatrici – sia perchè la ricchezza nazionale, in 23 anni, è stata assorbita dal Governo e dalla Provinca. E voi ridete? ridete, perché una famiglia agiata, forse domani, si vedrà espropriata di un fondo, che, nelle condizioni normali, varrebbe 100, e per le leggi di espoliazione, forse appena si paga cinque, insufficienti a covrire i debiti, sufficientissimi a lasciare nella più squallida miseria! Se fra tante angosce ridete, allora non siete nello stato di poter aver compassione, ma muovete a compassione, non perché avete perduta la bussola, ma perché avete perduta la testa, ed avete un cuore di macigno.
Premesso questo; voi passate a vedere come si può essere un popolano e sapere parlare da degradarne un finanziere! Si, maestà, un Popolano parla da Finanziere o, se più vi piace, da Economista, per la semplice ragione che le Leggi, le quali sono dettate dalla Scienza, sono passate a coscienza popolare, sebbene questa scienza, o le sue Leggi, non sono punto entrate nel vostro cervello.
La prima, fra le leggi di Finanze, che deve tener presente ogni Amministrazione, è la Giustizia. Questa vuole, per principale carattere, l’assoluta necessità delle imposte; cioè, che senza di essa sia impossibile adempiere ai bisogni veri e reali. Che, se invece, lo Stato o la Provincia, o qualunque altro corpo morale, ha mezzi sufficienti per soddisfare questi bisogni e mette una nuova tassa, o aumenta le già esistenti, in linguaggio popolare, ed anche scientifico, questa nuova tassa, o aumento si chiama brutale espoliazione, o in termini più chiaro, si dice Furto.
Nel caso nostro concreto, V.M. dice : «la provincia fa un’operazione finanziaria, senza aumentare di un centesimo ai contribuenti, perché ha mezzi, per ora, di soddisfare i suoi oblighi, e, che in seguito, cesseranno altri oblighi, il cui interesse, sarà versato per l’estinzione del debito». Prima di rispondere a tale vostro sbalzo con un dilemma, facciamo notare a V.M. che la sfuggita è bella.
Voi dovevate dirci con certezza, se il debito sia di 7 o di 14 milioni – dovevate dirci, a quale interesse si avrebbe la somma – chi pagherebbe la ricchezza mobile – quanto si dovrebbe dare a chi negozia il prestito ecc. ecc., e quanto in breve costerebbe il prestito istesso. Voi invece ve ne uscite con un si più fare all’interesse del cinque e mezzo per cento, e che la provincia può far fronte alle prime rate, dimenticando di aver rimproverato il Popolano, il quale diceva : spendete ciò che avete disponibile, senza fare il prestito; ed in 15 o 20 anni, si avrebbe ciò che si vorrebbe fare in 8 o 10 anni, e 7 o 14 milioni di debito in meno.
Ora ecco il dilemma – La Provincia ha o non ha di che far fronte agl’interessi per i primi anni? Voi dite : si; dunque il prestito è un … lo dica V.M. quello che è – Non ha i mezzi necessarii come adempiere ai suoi oblighi? ed allora, o deve ricorrere a nuove tasse, o ad aumentare le esistenti, ed in questo secondo caso, come si deve chiamare la vostra asserzione?...
Il Popolano vi fa intanto notare che, verificandosi questo secondo caso, si va ad infrangere una legge di Economia Politica, la quale impone che le tasse devono togliere al contribuente la minor parte del suo avere e non la maggiore; giacché, in questo caso, verrebbero ad esaurirsi le fonti delle ricchezze, come è avvenuto in Italia, ove abbiamo più tasse che non furono cavallette in Egitto; e perché non crediate che parliamo da declamatori a sensation, lasciamo la libera parola alle cifre. Queste ci dicono, che nell’anno di grazia 1883, i contribuenti della Provincia di Cosenza, devono pagare, per ogni cento lire di rendita, allo Stato L. 29,22, alla provincia L. 19,02, in uno L. 48,24; a questo totale, si deve aggiungere il ben di Dio che impongono i Comuni, il quale, se non andiamo errati, può estendersi fino a L. 11,00 – quarantotto e undici fanno 59. Dunque, su 100 lire di rendita, se ne pongono lire 59 d’imposte dirette; e, prima di darci il nome di esagerati, si faccia la grazia di dirci, a quanto ascende l’aliquota di Cosenza, città. Quindi, se la provincia vuole fare un debito, sia anche di sette milioni, avrebbe contro di sé la Scienza, ed invece di aumentare le ricchezze, aumenterebbe la miseria, per la semplice considerazione, che, se nel 1881, sono state espropriate 85 mila famiglie. V.M. potrebbe dirci, quante le sono state nel 1882, e quante ne saranno nel 1883 col nuovo prestito? Con ciò si è voluto dire, perché non si ha fiducia nell’asserzione della M.V. ch’è appunto per non accrescere i centesimi addizionali e per non aumentare le imposte, che il Consiglio si dovrà sobbarcare a contrarre un debito.
Maestà, permettete che vi diciamo che questa è grossa, e, se il Popolano non avesse conoscenza delle opere di Smith e Say, crederebbe che la Provincia, faccia debiti per non aggravare i contribuenti, come crederebbe a Fourier, che l’uomo agisca più per simpatia che per interesse, e che l’agricoltore pianti i cavoli, ed il calzolaio fabbrichi scarpe, per puro amore del suo simile; - V.M. quindi ha tutta la ragione di dire «i più bizzarri, capricciosi e cretini, sono appunto i ricchi. E devono esserlo; non per niente si chiamano : stie dal vello d’oro! E Proudhon, il papà dei socialisti, sapete cosa dice? La Proprietà è un furto. Per conseguenza, il socialismo, dall’alto, ove è compresa V.M. ed il consiglio che difende, vuole tosare in Vello d’oro; il Socialismo che ha l’impulso dal Basso, ove è compreso Proudhon, vuole l’abolizione della Proprietà – entrambi i Socialismi vogliono il livellamento che riduce nel fango le sommità Sociali. Contro queste teorie sovversive protesta la coscienza Popolare, la quale vuole redimere, la mercè dell’onorato lavoro e la razionale eguaglianza, chi nel fango è caduto.
Ma tutto questo non basta; Il Popolano si pregia farvi conoscere che l’Economia Politica, quando tratta di tasse, di togliere danaro ai contribuenti, vuole che siano osservati alcuni principii di Politica. Questi principii esigono che le Imposte non siano stabilite da un potere arbitrario, dispotico, consortesco; che vi sia un bilancio presuntivo, ove siano determinate le pubbliche spese, e le fonti di rendita con cui vi si fa fronte; che i conti consuntivi con la maggior chiarezza, precisione e pubblicità facciano vedere come è stato impiegato il pubblico danaro; e che questo infine, sia destinato a sopperire i veri bisogni della Provincia, o dello Stato. Si faccia vedere che gl’introiti e le spese abbiano la verità per base e la giustizia per guida; si faccia vedere, che le entrate e le spese non siano destinate a nutrire ed arricchire un’orda di faccendieri e favoriti, o un esercito d’impiegati parassiti. – La M.V. ci faccia vedere che gli Amministratori della Provincia adempiono a questi principii che la Politica esige – non ci faccia più sentire la voce del Consiglier Cav. Pasquale Longo che protesta contro le illegalità; ed allora, e solo allora, V.M. non sentirà le grida strazianti, che le promuovono il riso, né avrà il fastidio di confutare il Popolano e gli altri giornali, a modo suo.
Maestà. Il Popolano dà termine a questa non breve risposta – e sebbene gli restasse molto a dire – conclude con le vostre stesse parole, aggiungendovene qualcuna sottolineata.
Quei che non studiano le condizioni dei bilanci, e non vogliono studiare le condizioni dei contribuenti, o che leggono con le traveggole d’interessi, che si dicono generali e che sono specialissimi, e non facilmente qualificabili - V.M. legge con le traveggole d’interesse personale, sia perché il popolo ??? dà una dotazione da Re, sia perché guardate il vello d’oro che vorreste tosare – dovrebbero, meglio che scrivere, cominciare dal conoscere se stessi, e non fare mostra del corto cervello che finisce sempre come è finito il vostro ferrorino, a sbalzi da Guglielmo Oberdank e Leon Gambetta, al debito della Provincia.
Il Popolano
PARTE LETTERARIA
IN MORTE DI ALFONSO ACETI
«Le sono fila di Dio»
Aleardi
SONETTO
Di gioventude a te non valse il riso
Contro il precoce e acerbo tuo dolore,
Da morbo occulto io ti vedea conquiso,
Nell’età della spame e dell’amore.
Le son fila di Dio! Col guardo fiso
Del sol morente al tremulo bagliòre,
Tu desti al mondo il vale estremo, e il viso,
Trasfigurato, non mutò colore.
Le son fila di Dio, sclamasti, e il sole
Invan cercavi con le luci spente,
Né ti erupper dal labbro altre parole!
Su la tua tomba piango e gemo anch’io,
Ma il falso dubbio annebbia la mia mente,
E non so dir : Le son fila di Dio!
Fuscaldo, Novembre 82
Prof. Pietrangelo Nesi
LE FESTE DI CORIGLIANO
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Popolani carissimi, è la prima volta che a voi diniego la parola.
Questa circostanza potrà forse farvi supporre che io, per acquistarmi la vostra benevolenza, incominci dall’enumerare le vostre virtù ed i vostri diritti. No, miei cari; le virtù rifulgono spontaneamente della loro intrinseca luce, vi garantisce i diritti la legge, la quale soltanto deve avere per lo innanzi impero su voi.
Io vi intratterrò su di una questione che mi procurerà forse il vostro disgusto; ché le superstizioni radicate da secoli è difficile svellere senza schianto; anzi impossibile, devo dire.
Le feste che fate son troppe; ed ho ragione di dire che fate, giacché è col succo spremuto al vostro borsellino che si provvede ai mezzi per celebrarle.
Ma credete di fare proprio onore alla Divinità coll’inutile spreco di tanti quattrini che a molto più filantropico uso potrebbe servire? Voi la offendete invece e peccate; imperciocchè le date taccia di crudele egoismo. Io medesimo vidi persona a comprare dei chilogrammi di polvere per fare sparare dei mortaletti in onore di un santo, di cui si celebrava la ricorrenza e, dopo pochi momenti la stessa persona scacciare spietatamente dalla porta di casa una povera cieca, negandole un boccone di pane.
Questo fatto dunque, a parer vostro, ha dovuto molto lusingar l’amor proprio del santo, per cui avvenne. Lo credete? Ricordatevi che, per aversi fatto erigere una statua, Nabucodonosor non fu premiato col regno de’ Cieli, ma condannato a mangiar ghiande e convivere con immondi bruti.
0ra, come i Santi sarebbero Santi, se fossero capaci di tanto orgoglio, da godere allo sparo dei mortaretti e dei fuochi d’artificio,mentre vi ha gente martoriata dalla fame?
Ripeto quindi, che voi offendete la Divinità, onorandola nel modo come fate, che commettete un peccato perdonabile solo da alcuni che ci hanno il loro tornaconto, ma imperdonabile appo Dio.
Volete proprio fare opera meritoria?
Voi che date ai Santi (i quali non mangiano) delle tomola di grano; voi che lor fornite l’olio, i cereali, le frutta secche e perfino il vino; voi tutti, che solete impinguare il vassoio delle collette per mortaretti e fuochi d'artificio, convertite tutto in pane, e, quando sono le feste, distribuitelo agli affamati. Oh, il sublime spettacolo! I poveri vi benediranno; Dio ed i Santi allora soltanto si crederanno onorati; voi stessi godrete una festa che v'infonderà tesori di dolcezza nel seno; ed i ricchi impareranno da voi quella generosità che a voi costa sudori, e ad essi non costerebbe nulla.
Popolani! Questo è il primo passo sulla via che conduce alla vera fratellanza, alla vera civiltà. La condotta de’ nostri fratelli dell'Alta Italia, a pro degl'inondati delle provincie Venete, vi sia di esempio nel soccorrervi scambievolmente Addio. (Urrà)
Urrà
Miseria dei Sacerdoti dell’educazione! …
«Io ho di stipendio L.550, colle quali devo mantenere con decoro la mia famiglia composta di 3 figli, del vecchio e cadente padre ottuagenario e della moglie. Sei persone in tutti. Dal mio salario bisogna che levi L.90 per l'affittò di casa; L. 16,56 per la pensione; L. 50 per le vestimenta e L. 40 per le legna. Mi rimane un residuo di L. 353,44, che, diviso per 365 giorni e per 6 individui, mi dà lo sconfortante quoto di sedici centesimi, dico 16 centesimi, che rappresentano il vitto quotidiano di un maestro elementare»
Così scrive — il Sig. Caselli Ceciliano — a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione, On. Baccelli — Anno IX; num. 38; pag. 1 della parte politica del giornale La Scuola Italiana e il Maestro Elementare Italiano.
Lascio ora giudicare al popolo, se in tale miseria inciampi un buon educatore; e lascio, pure a quelli che ne comprendono il perché, dando loro il tempo di mettersi una mano sulla coscienza, di gridare contro gli educatori o contro chi ha l’obbligo di pensare alle loro condizioni, sia morali che materiali, le quali ultime, da fatti veri, risultano peggio assai delle condizioni di un facchino qualunque.
LEVIO
NOSTRA CORRISPONDENZA
Non potendo, per mancanza di spazio, pubblicare per intero una nostra corrispondenza da Caserta, in data del 3 Gennaio, la riassumiamo, come appresso.
Nei passati giorni, si diede nel Teatro Municipale di Caserta, una delle più belle e care feste. Le alunne di un Istituto femminile, per venire anch’esso in soccorso dei fratelli del Veneto, sofferenti per le ultime inondazioni, si offersero ad una prova artistica, che riuscì brillantissima. Il teatro non lasciava un posto vuoto : la rappresentazione e il ballo si ebbero vivissimi applausi. L’entusiasmo fu tanto, che si volle la replica; e la seconda serata riuscì più artistica della prima.
Ci duole però che i giornali di Caserta non siano stati imparziali ne’ loro giudizi, attribuendo le maggiori lodi a chi meno le avea meritato.
Ma il pubblico coscienzioso ed intelligente ha saputo ben apprezzare le doti delle brave Signorine Annita e Geltrude Del Grande, ridendosela dei giornali che, a torto, non menzionarono chi più si distinse.
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Un nostro amico di Cosenza ci scrive quanto appresso.
Il giovane Alessandro Marini, a nome della Gioventù studiosa di Cosenza, dirigeva al Deputato Cavallotti il seguente telegramma :
Deputato Cavallotti — Milano
Gioventù studiosa democratica cosentina fidente in voi, difensore della libertà, esprime sincere congratulazioni vostra vittoria, che è la nostra.
Il Cavallotti rispondeva con la presente cartolina :
Meina 15 Gennaio 83
Mio Giovane Amico
Ringrazio in voi la studiosa gioventù di Cosenza dell’affettuoso saluto, e col cuore lo ricambio ai figli della forte Calabria — Nella terra consacrata dal sangue dei Bandiera, libertà, dovere, sacrificio sono gli ideali d’un solo culto; nel nome di esso l’Italia affida ai giovani le speranze del suo avvenire. Una stretta di mano ai giovani studenti cosentini.
Vostro sempre
Felice Cavallotti
COSE NOSTRE
Dopo belle e tiepide giornate, e proprio quando, nella sera del 22, il povero cronista andava a letto col proponimento di recarsi a godere il dimani, l’aria libera della campagna, Gennaro si ricordò finalmente dell’esser suo, ed eccolo a mostrarsi inaspettatamente con cipiglio minaccioso ed austero. — Fra poche ore , nel mattino del 23, le circostanti colline biancheggiano; a poco a poco, la neve occupa la città, passa nella sottoposta pianura, e … la passeggiata va in fumo! — Né fu sola la neve : il ghiaccio fu una legittima conseguenza, e, per parecchi giorni, la povera gente si trovò priva di lavoro.
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Abbiamo appreso con piacere che l’Ingegnere Sig. Reza siasi ricordato finalmente di far tenere a questo Comune il progetto della variante, che si vuole apportare alla Strada Comunale Corigliano-Montagna, già Corigliano-Longobucco; e che il Consiglio nella giunta straordinaria di pochi giorni fa, lo abbia approvato.
Non discutiamo sul merito di detta variante, non conoscendone i particolari; ci riserviamo di farlo in seguito. — All’Amministrazione, per ora, diciamo soltanto : se la Strada deve farsi, sia sollecita la pratica, e smetta, una buona volta, il festina lente.
CENNO BIBLIOGRAFICO. — L’Ill. Comm. Domenico Jaccarino ha gentilmente inviato a questa Direzione una copia del primo volumetto del suo Dante Popolare e la Divina Commedia, in dialetto napoletano. È questa la settima edizione dell’opera; e venne fatta a cura e spese della Scuola Dantesca Napoletana, approvata da S.E. il Ministro della P.I. Comm. Coppino, 7 agosto 1867. Noi non possiamo non rendere vivissime grazie all’Ill. donatore; il quale, ci piace dirlo, merita moltissima lode, non solo per i pregi del suo letterario lavoro, ma viepiù per l’intenzione avuta.
Rendere, invero, popolare un’opera, che, al dir del De Sanctis, è il poema dell’umanità ed insieme il poema d’Italia, ci pare azione filantropica ed esempio di patria carità. Il popolo, penetrando, a poco a poco, nella vita politica, deve ancora essere a parte della letteraria; giacché politica e letteratura non disdegnano, parecchie volte, di vivere vita comune. In mezzo poi, a tanta colluvie di libri, che, come tanti malanni, ci piovono addosso, senza il menomo pensiero d’istruire ed educare il popolo, è, sempre, guadagnato un libro, che, per la facile intelligenza del dire, fa vedere come questa Italia libera, indipendente era pure il sogno de’ nostri Grandi, e, sopra tutto, del Ghibellino fuggiasco, il quale, con l’arditezza delle sue creazioni, fè rinascere ogni varietà di passioni, di caratteri, d’interessi terrestri; rappresentando la sua Commedia nel teatro della vita. Non è qui il caso di entrare nel merito della traduzione, cosa difficilissima sempre, e tanto più se fatta in dialetto napoletano; il quale, crediamo, manca di tutti i modi efficaci, per atteggiare, degnamente, propriamente, artisticamente, il pensiero dantesco; ma concludiamo, col dire che un utile lo si può ricavare dal libro tradotto, e che è anche questo uno de’ tanti modi di onorare Dante. La Divina Commedia riempì di sé tutto il secolo, in cui fu scritta; e sornuoterà all’empio naufragio dei tempi. Che se non dev’essere ascritta, come diceva il quattrocentista Trombetta, fra le opere sacre e i libri dell’anima da studiarsi in quaresima, è bene pur troppo che sia posta fra i libri, che meglio possono formare il carattere italiano. La Divina Commedia esercita opera benefica a pro di tutte le generazioni; perché è il poema dell’umanità. — Raccomandiamo, pertanto, il libro del Jaccarino, e facciamo voti che l’egregia opera sia condotta a termine.
Dirigersi : Napoli — tipografia del Dante Popolare, largo Avellino, 14. Prezzo, in carta corrente, L. 2; in carta distinta, L. 3.
ISOCRATE — Orazioni Scelte volgarizzate da G. A. Vinacci. Prezzo L. 1 Dirigersi alla Direzione del Popolano. — Corigliano Calabro
L’INDISPENSABILE
Giornale utile a tutti, viene spedito Gratis due mesi a chi lo richiede, anche con semplice Biglietto di visita, alla : Direzione in PALERMO
Deposito d’armi fa fuoco ed accessori.
Presso il Sig. Francesco Sapia — Corigliano Calabro
Gerente responsabile Vincenzo Bellucci – Corigliano Calabro – Tip. Letteraria
Il Popolano n. 5 del 15 marzo 1883
Anno I. Corigliano Calabro 15 Marzo 1883 Num. 5.
IL POPOLANO
GIORNALETTO QUINDICINALE
AI NOSTRI ABBONATI
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Per una circostanza impreveduta, il Popolano dovette interrompere sul bel principio le sue pubblicazioni. Un disaccordo con il Proprietario di questa Tipografia Letteraria, pose questa Direzione nella necessità d’impiantare una nuova Tipografia ad uso precipuo del nostro giornale.
Quindi la decorrenza di un tempo strettamente necessario a provvedere i nuovi tipi da Milano, e quant’altro fu bisognevole per avviare i lavori, che inauguriamo colla pubblicazione del 5° Numero del Popolano.
I nostri abbonati non saranno, però, menomamente defraudati. I due numeri in ritardo saranno tosto pubblicati, facendo uscire il giornale ogni dieci, invece d’ogni 15 giorni, finché non saremo in regola.
Confidando, perciò, nel loro compatimento, preghiamo coloro che non hanno finora pagato la prima rata di abbonamento, a farcela senz’altro indugio tenere, atteso i gravi sacrifizi cui andiamo incontro per migliorare sempre più la redazione del nostro giornale.
LA DIREZIONE
A sua Maestà Re Alarico
Maestà — Il Popolano sarebbe troppo scortese se mancasse di dare alla M.V. una risposta, e, sebbene un po’ tardi, per la causa sopra espressa, procurerà di farlo quanto più brevemente è possibile.
Prima di entrare in argomento, si prende la libertà far notare alla M.V. la poco delicatezza che à mostrato nel convertire una quistione di principii, in quistione personale. Si tratta del debito e dell’amministrazione Provinciale; e V.M. ha voluto generare il dubbio sul Popolano, dicendo che appartiene a quella classe del popolo che pur che mangi bene, s’infischia di politica e di religione.
Se il Popolano mangi per crepare o è morente per fame, se abbia un principio politico, ovvero un altro, se professi una religione rivelata, anziché una non rivelata, la M.V. non ha diritto alcuno di entrarvi, se vuole rispettare la libertà del Pensare e del Credere : che se invece vuol fare il contrario, si chiama spia o gesuita, o l’uno e l’altro insieme. Né il Popolano ha cercato alzare il misterioso velo che sotto il nome di Re Alarico ricopre un maestro di scuola, perché in tal caso avrebbe dovuto anch’egli uscir di quistione, e sconoscere la nobile missione della stampa libera ed indipendente. Premesso ciò, eccoci in argomento.
Vostra Maestà, era sola che difendeva il prestito e l’amministrazione provinciale, mentre la stampa di tutta la Provincia era contraria al prestito ed all’amministrazione, e più della stampa vi era l’opinione di tutta la Provincia, come lo hanno dimostrato i rappresentanti della stessa, e l’imponente dimostrazione, la quale gridava abbasso il prestito, abbasso il Consiglio e la Deputazione Provinciale. Però tale spontaneo grido, che erompeva specialmente dal generoso petto degli studenti, pare comprendesse una contraddizione, la quale potrebbe servire a confondere le idee, e tale contraddizione, per quanto può il popolano, cerca risolverla in armonia.
Una parte de’ rappresentanti della Provincia, si badi che si dice una parte, diceva non prestito, non centesimi addizionali, non baratto del danaro de’ contribuenti, quindi la dimostrazione la quale era contro il prestito avrebbe dovuto gridare abbasso il prestito, evviva la maggioranza del Consiglio, ma così non fu, e si gridò abbasso il prestito ed il consiglio; e fecero bene, perché con ciò si volle dire che quei rappresentanti, i quali ebbero l’energia di respingere il prestito, e la bancarotta, furono inabili a troncare il male fin dalla radice, e si accontentarono di un cataplasma, il quale produsse un’economia di circa duecento mila lire, lasciando i moltissimi abusi. E perché si amano i fatti concreti, si scende a particolari amministrativi, i quali mostrano la verità e la realtà della cattiva amministrazione.
Perché i rappresentanti della provincia nel trattare della soppressione della Scuola Tecnica, non hanno deferito al potere giudiziario chi ha intascato illegalmente le Lire quattromila all’anno, che il governo ha versato dal 1862 fin oggi? Quanta saggezza nell’amministrazione!!! La provincia paga L. 25 mila all’anno per la Scuola Tecnica, ed altri s’intascano le lire 4 mila che il governo dà per sussidio alla stessa.
Perché i rappresentanti della provincia ànno approvato per il 1882 lire Quindicimila che si sono dati per gratificazione ad alcuni Consiglieri, e per il 1883 si sono messi in bilancio lire Ottomila?
Perché si è creato un bibliotecario con lire 1000 all’anno e si è mantenuto per quest’anno, per dirigere e custodire una biblioteca di soli 17 volumi, mentre vi era il dotto Greco che la custodiva con amore e diligenza gratuitamente?
Perché si sono tollerati gli abusi che si commettono nell’Ospizio Vittorio Emanuele, nell’Ospizio della Redenzione e nell’Orfanotrofio, e si sono economizzati solo lire 2000?
Perché si è buttato tanto danaro per la Scuola Agraria? Forse per fare un’inchiesta?
Perché fare un prestito di Sette milioni per la viabilità, quando le strade devono farsi di comune col governo, e questi per l’anno scorso ha dato solo lire 45 mila, e si sono avuti per la valida cooperazione del Deputato Del Giudice? Forse la Provincia è più ricca del Governo?
Perché … Ma basta Maestà coi perché in opposto non la finiremmo mai, e V.M. sa bene che vi sarebbe molto altro a dire, e se pur non vi fosse altro, il già detto dimostra chiaramente che l’amministrazione della nostra Provincia non va regolare, e per conseguenza V.M. ha difeso una causa perduta, e la dimostrazione che ha gridato abbasso il Consiglio Provinciale, ha manifestato il voto di tutta la Provincia.
Maestà, il Popolano conclude con l’averle mostrato che non s’infischia di Politica, ma perché ha, o crede avere, una politica la quale ha la verità per base e la giustizia per guida, si è opposto al prestito, ha pubblicate fatti che mostrano una cattiva amministrazione, senza scendere a basse insinuazioni, come ha fatto la M.V.
Il Popolano
CORRISPONDENZA TEATRALE
(Teatro Garibaldi-Cosenza)
Un nostro egregio amico di Cosenza ha assunto l’impegno di mandarci ogni quindici giorni una Rivista artistico-teatrale a proposito delle produzioni più celebri e più in voga, che la Drammatica Compagnia Dondini cominciò a rappresentare nel teatro Garibaldi di Cosenza, fin dal 24 passato mese.
Siamo sicuri che questa notizia riuscirà gradita ai nostri elettori; e mandiamo intanto infinite grazie al nostro cortese amico.
Compagnia Dondini = Mastr’Antonio del Marenco — Alberto Pregalli, amore senza stima e Suicidio del Ferrari — Trionfo d’amore del Giocosa — Il Cantico dei Cantici del Cavallotti — Le Miserie del Sig. Travetti del Bersenzio — Teresa Raquin dello Zola.
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Metto da parte i soliti preamboli e le solite cerimonie d’uso che deve fare ogni povero diavolo che assume l’obbligo di scrivere delle Corrispondenze Teatrali, ed entro subito in materia.
Nell’elegante nostro Teatrino Garibaldi ha cominciato fin dalla sera del 21 Febbraio le sue rappresentazioni la distinta Compagnia Drammatica diretta dal Cav. Achille Dondini.
Ogni sera numeroso pubblico accorre al Teatro non ad eccitare i nervi alle pose da trivio ed ai sorrisi procaci di qualche santa prima donna, ma a gustare il bello e ad ammirare le supreme bellezze dell’arte.
E i bravi artisti della Compagnia quali sono il Dondini (Generico), il Pezzaglia (primo attore), il Bizzarri (brillante), l’Angeloni (amoroso), lo Smith, la R.I. Dondini (prima attrice), la Smith, l’Angeloni (amorosa) a ben ragione fanno la réclame al teatro, perché disimpegnano egregiamente e con zelo le loro parti immedesimandosi in esse e intendendo e sentendo davvero le posizioni che rappresentano.
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Il Mastr’Antonio del Marenco; l’AlbertoPregalli, l’Amore senza stima, e il Suicidio del Ferrari; il Trionfo d’Amore del Giocosa, principali produzioni offerte al pubblico sono state tutte eseguite benissimo e principalmente i signori Dondini, Pezzaglia, Bizzarri, Angeloni, Smith, e le Signore R.I. Dondini, Smith, Angeloni simpatica tanto e tanto cara, si sono distinti per valentia non comune ed arte squisita.
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Il Cantico dei Cantici del Cavallotti, dato il 28 Febbraio, chiamò moltissima gente al Teatro che fu pieno davvero, ma l’esecuzione lasciò proprio molto a desiderare. Nessuno dei tre personaggi aveva capito la sua parte perché niuno stava in carattere.
Il Dondini non lasciò affatto affatto intravedere il vecchio militare in ritiro; la R.I. Dondini non fu punto quella fanciulla ingenua e spensierata immaginata dal Cavallotti; il Pezzaglia in sul principio non fu quel chierico asceta ed entusiasta solo del suo Dio e delle sue Madonne.
Ciò nonostante lo Scherzo poetico del Cavallotti fu accolto con simpatia e plauso e i fragorosi battimano e la chiamata fuori, a sipario calato, mostrano pur troppo quanto la nostra Calabri stima ed apprezzi il genio dell’intrepido campione della Democrazia
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Le Miserie del Sig. Travetti del Bersezio (2 Marzo) sono state applaudite ed hanno divertito molto il pubblico cosentino, perché eseguite benissimo da tutti gli attori che vi presero parte, non lasciando nulla a desiderare.
Il Dondini (Travetti) è stato artista inappuntabile e proprio da bravo ha disimpegnato la sua parte con perfetta arte comica.
Bravissima la ragazzina Dondini (Carluccio) — Abbiamo molto ammirata la disinvoltura, non comune a quell’età, con cui sta sulle scene e le padroneggia. Le facciamo sinceri auguri.
Lo Smith (Commendatore); l’Angeloni (Capo d’ufficio); il Facci (sig. Giacchetta); il Bizzarri (Barberatti); il Bianchi (Paolino) non potevan far di meglio; anzi l’Angeloni per quanto ha modi da Collegiale impacciato (secondo l’egregio cronista della Sinistra) nelle parti d’Amoroso, per altrettanto si mostrò disinvolto, e lodevolmente interpretò il difficile carattere di Capo d’Ufficio, vanitoso, asino, ingiusto.
Bene anche le Signore R. Dondini, B. Bizzarri, la quale fu vero tipo di servetta, ed E.M. Pezzagla alla quale raccomandiamo più arte e meno affettatura.
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Vi parlerei della Teresa Raquin dello Zola, se la neve che tutto il giorno e la notte del 3 corrente è venuta già a larghe falde, m’avesse permesso d’andare a Teatro. Spero però che il dramma si ripeta e ve ne dirò qualcosa.
4 Marzo 1883
DEMOCRITO
PARTE LETTERARIA
EBBREZZA! …
(A Raffaele Meligeni)
Un bacio ancora!... fuggon via
L’ore d’ebbrezza che dona il ciel,
baciami ancora, fanciulla mia,
vò de’ tuoi labbri suggere il mel.
Baciami!... baciami!... qui sul mio cuore
Stringiti forte, angiol d’amore!...
Parmi che il sangue scorra infocato…
O Dio!... fanciulla… questo è peccato!...
4 Marzo 1883
F. GIACOBINI
CRISI
Carlo e Lisa si chiamavano i due cugini, ed era notevole differenza di età non solo, ma di carattere, benanche , tra essi. L’una mite, impassibile di ogni benché lieve alterazione; l’altro, buono in fondo, avea, pure a volta, degli scatti di collera violenta, degli sprezzi magnanimi, delle avversioni per quanto gli sapesse di fiacca od ipocrita piacenteria. Non si amavano dunque, non era stato mai caso che, tra loro, una fuggevole espressione accennasse a qualcosa, oltre la solita invariata famigliarità di cugini. Se avveniva che egli, tanto per ischivare la noia, le prendesse a discorrere di romanzi, ella, come presto infastidita, mutava argomento, e il discorso finiva lì per subita anemia. Si vedevano bensì, nei lieti ritrovi di Carnevale, tuffarsi volentieri nei festivi vortici della danza, e non una, ma più volte, con insolito abbandono; ma che avesse voluto trarne un sospetto anche benigno, sarebbe andato assai lungi dal vero. Oh! Egli avea ben altro pel capo che lasciarsi prendere invaghito dagli ornamenti e dai vezzi, che, in lei, educata al culto gentile delle grazie, risultavano evidentemente, in tali occasioni. Ed ella, il dì di appresso, quasi dimenticata di tutto, aliena, per ispassionata tendenza, da vani orgogli, era là di nuovo ad occupare le placide ore nelle solite cosucce, onde s’informa la vita d’una giovinetta. Si ritrovano di poi, si ristringevano ancora la mano, con altrettanta indifferenza di prima; e così i loro giorni fuggivano, e l’oggi non recava alcun segno di nuovo al tranquillo tenore di ieri, né il domani accennava d’essere altro dal dì passato.
Ma pure, quando meno si aspettava da entrambi, sopraggiunse la crisi. Un giorno di està, che il caldo del pomeriggio, avvolgendo ogni cosa, sprizzava in sudori dal petto stanco delle creature, s’intese il tocco d’una campana, che, squillando in unico suono, lasciò ancora ondolarsi in altri minori, ripercotendosi per l’aria infocata, ad intervalli fissi ed uguali, cessanti in un gemito sonoro e flebile. Era il mesto addio di un trapasso. Il campanaio, gibboso come egli era, non fe’ così presto a discendere, che dieci individui non l’aspettassero a domandargli chi fosse il morto «D. Giacomo» rispose; e via come quegli che avea, in quel punto, tutt’altra faccenda per le mani; poiché l’uomo era morto davvero.
La campana non oscillava più, ed il silenzio afoso del pomeriggio riprendeva il suo impero. Eppur Lisa non ristava dal piangere e dal singhiozzare; né, in quel frangente, mancò di accorrere Carlo, nipoti entrambi al vecchio estinto. Quando la bara venne fuori, fu tale uno schianto per Luisa, in cui l’affetto al buon zio s’era, da un pezzo, connaturato, che la ne fu sopraffatta, e svenne. Svenne, cadendo tramortita nelle braccia di Carlo, che fu lesto a raccoglierla. Soccorrerla, aiutare a farla rinvenire, fu primo pensiero di lui, ma no seppe appunto risolversi ad abbandonare quel caro peso. La tenea sorretta a posar sulle braccia, mentre i capelli di lei, agitati diffusamente pel candido collo, gli svolazzavano intorno, ad ogni aura, gli lambivano, gli pizzicavano il viso. Come era bella ora, non era mai stata. Né la gioia le avea dato un’impronta sì soave di leggiadria, di venustà serena e cortese, come or facea il dolore!
Carlo sentì vivamente impressionarsi. Un battito di nuova natura lo assaliva, non il battito concitato della passione era, piuttosto uno sdilinquimento interiore, una repentina e tumultuosa dolcezza che gli mozzava le parole ed il respiro, che lo avrebbe reso, al momento, peritoso e inceppato come un bambino. Così trascorsero parecchi istanti d’inconsapevole storditezza per Lisa, di sollecita confusione per l’animo di Carlo. Pure alla fine, si scosse, l’adagiò, piano su un canapè, di fronte al bel sole, che la involse in un’onda improvvisa ed allegra di luce; la guardò ancora, poi sparve.
Quando ella si riebbe del tutto, Carlo non l’era preso, ma, bene aveva inteso il tocco delle mani semifredde e convulse di lui…
Da quel giorno, un sentimento di delicata simpatia, una sollecitudine di atti non prima usata, determinò l’indirizzo di Carlo verso la cugina. Al mattino, alla sera, la vedea, le parlava, avea d’uopo parlarle. Ascoltava, con crescente interesse, il suono, le articolazioni del linguaggio di lei. Non osava spesso risponderle, per tema d’interromperla. Non osava darle un fiore, ma lo prendeva volentieri da lei, e quasi ne temesse, lo volea ben custodito, lo guardava sospirando, avvizzire delle fogliuzze iridate. Gli parea ravvisare l’impronta delle dita affusolate di Lisa, dell’alito gentile di lei. Insomma, egli era per trasformarsi — Lisa, sensibile alle attenzioni del cugino, gli parlava, essa pure, più spesso e più volentieri, lo fissava, talvolta, con inconsapevole avidità, prendeva diletto al suo saluto, alle sue richieste. Amava, soprattutto, vederlo nei dì di festa, più vago, e più bello, rallegrarlo ed esserne rallegrata. Con che finezza lo scernea da lontano! L’accento, il passo, il gesto, tutt’era noto di lui!
Una volta gli disse che, volentieri, udrebbe il trillo del canarino nella sua stanza. Non l’ebbe appena detto, che Carlo, tanto si die’ a cercarne che, in breve, ci riuscì.
Bisognava poi vederlo con che cura intendesse al governo di quegli uccellini! E vi badava a tal segno, che, non ti rado, la Lisa impazientita lo sgridava. Più tardi, per farle piacere, si die’ a cacciare. Gli bastava che Lisa se ne dicesse contenta; volea vederla sorridere di quel riso dolce e argentato, ad ogni offerta che le facesse. Ben più volte, Lisa, in vista di desiderio, gli avea detto a un dì presso «Se fossi teco nelle tue escursioni… Vorrei poterlo» ed egli non rispondeva, ma, tacito, bassava gli occhi, e parea che pensasse.
...
Un pezzo era trascorso. Benché si fosse ai primi di Novembre, tuttavia il freddo intenso pronunziava la neve imminente. E venne, e copiosa, e le campagne si ammantarono di bianco, e, per le vie dell’abitato, era un curioso incrociarsi di ombrello che intoppavano il passaggio.
Appunto, sulla sera d’uno di questi giorni, Lisa e il Contino G… stavano soli, fuori l’uscio di casa, e favellavano di amore. Il fitto silenzio d’intorno, il freddo sottile di quell’ora, non valsero a distorli. Ad un tratto, una densa nebbia l’avvolse, e fu Luisa la prima, che, sollecitata, si avvinse al Contino, baciandolo furiosamente per le guance, quasi temesse all’istante di perderlo «Oh! Gioia!» si dissero, e l’eco dei baci scambiati si udì all’intorno.
All’indomani, Carlo, pallido e stupefatto, si arrestava all’ingresso della casa di Lisa. La colomba avea preso il volo per altro cielo, né si seppe più altro di lei.
Pasquale de’ Marchesi Gallerano
La Famiglia De Gaudio, sebbene commossa ed oppressa dal dolore, grata e riconoscente, rende pubbliche grazie all’intera cittadinanza, per la spontanea manifestazione di dolore ed affetto mostrata per il compianto VINCENZO DE GAUDIO. In sì vero dolore, l’accorrere di tanti Amici e gentili Signore, per la famiglia è stato un sollievo, che giammai dimenticherà
COSE NOSTRE
Mutuo Soccorso — Una bellissima opera di mutuo soccorso praticava il Consiglio della nostra Società Operaia, nella seduta del 20 Febbraio.
Dietro lettura di una dimanda del Socio Santo Gambuto, il quale chiedeva un sussidio, atteso il grave male della mano dritta che lo tormentava da più tempo, i signori del Consiglio, non solo gli accordarono un sussidio provvisorio, ma deliberarono anche una somma, acciò il Socio ammalato si fosse recato in Napoli, per meglio curarsi in uno di quelli Ospedali.
Rendiamo perciò pubblica lode alla predetta Società Operaia, confidando che la stessa non mancherà di addimostrare la sua filantropia sempre che se ne presenterà l'occasione.
Non meno lode meritano i Sig. componenti la Giunta Municipale, che in tale occasione deliberarono anch'essi una sommetta a pro dell'infelice ammalato.
***
Per mancanza di spazio rimandiamo ad altro numero qualche cosa nostra, facendo così cosa grata al nostro cronista che si gode un dolce riposo.
Non possiamo lasciar passare però il contegno delle nostre Guardie Municipali che, mentre del giorno natalizio del Sovrano non si diedero alcun pensiero, il giorno appresso invece vestivano la tenuta di gala per far onore agli sponsali di un loro compagno.
AVVISO
Si fitta un quarto di 3 stanze e un magazzino ed una stanza a pianoterra; tutte nel vico 1. Municipio.
Dirigersi al proprietario Alfonso De Tommasi
Gerente responsabile Vincenzo Bellucci – Corigliano Calabro – Tip. Del Popolano
Il Popolano n. 6 del 25 marzo 1883
Anno I. Corigliano Calabro 25 Marzo 1883 Num. 6.
IL POPOLANO
GIORNALETTO QUINDICINALE
I LIBERALI !!!
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Ufficio della stampa libera, indipendente ed onesta non è solamente quello di manifestare i bisogni dei popoli e di proporne i rimedi che valgono a soddisfarli, ma deve beh pure smascherare il vizio dovunque si trovi, massime allorché serpeggia nelle caste privilegiate, nelle alte sfere sociali è negli elevati consessi, perché allora tanto più nocivo e pericoloso addiviene, in quanto maggiori sono le difficoltà che s’incontrano ad estirparlo. Il Popolano negli angusti limiti del suo formato intende anche occuparsi di questo doloroso argomento, e colla fermezza del calabrese vi adempie, incominciando dall'affermare che i liberali della nostra provincia, e forse anche di tutte le provincie meridionali, quelli cioè, che hanno combattuto a prò dell'unità italiana per un vero sentimento, scevro da smodate ambizioni e da temerari propositi, sono pochi, tanto pochi, quanto possono contarsi sulle dita. La maggior parte sono farabutti, intriganti, camorristi, ladri e peggio, che hanno cospirato contro il caduto governo sol perché non erano ammessi alla gran mensa del partito allora dominante. Appena questa mensa fu imbandita per le loro pance, essi vi si avventarono con una fame incredibile da digradarne la lupa di Dante, divorando tutto e rosicchiando anche le ossa— Né contenti di aver partecipato largamente a questo lauto banchetto, o di aver conseguito impieghi ed onori immeritati, si son dati a fare il mestiere di affaristi, e profittando della loro influenza, nascente dal voluto merito politico, che nulla dice se non è accompagnato dal disinteresse e dal sentimento della virtù, salgono e scendono le scale dei ministeri, delle prefetture e di tutti gli altri uffici pubblici, per ottenere protezioni e favori per loro stessi, per i loro parenti ed amici, per gli amici degli amici, e per la loro numerosa clientela elettorale, il più delle volte con discapito dell'equità e della giustizia. In parlamento, se la nazione ha la sventura di averli a suoi rappresentanti, mai aprono la bocca, perché sforniti delle necessarie cognizioni, e si contentano mettersi alla dipendenza di qualche capo-gruppo per votare pel sì o pel no, per alzare la mano, ed occorrendo, anche i piedi con pecorina mansuetudine, a seconda della parola d'ordine che ricevono. Nella provincia nulla si fa, nulla si opera senza il loro beneplacito, estendendosi il loro schifoso dominio dalla nomina del sindaco a quella del banditore, dalle opere pubbliche più costose alle spesucce più meschine — Guai se qualcuno si oppone ai loro arbitrii ,o riprova i loro abusi, perché allora le figure simpatiche e venerande diventano tanto belve feroci, che si avventano al povero mal capitato, e lo fanno a brani senza pietà.
Questi benemeriti, che sotto l'ippocrito manto di liberali nascondono tante turpitudini, sono i veri nemici del governo, più nemici e più pericolosi degli stessi socialisti, che non hanno in Italia forza espansiva — Essi spandono dappertutto il seme della corruzione, producendo un malcontento generale, un discredito delle istituzioni, uno stato morboso, un malcontento che diverrà col tempo causa di tristissime conseguenze — I borbonici erano prepotenti, e comprimevano con una mano di ferro i popoli nell'interesse del partito — I pseudo-liberali fanno qualche cosa di peggio monopolizzano la libertà per proprio conto, calpestano le leggi, rubano a man franca, e sono inesorabili verso gli avversarii — La destra ha la colpa di aver accarezzato questo mostro; la sinistra ha la colpa più grave di averlo alimentato e fatto divenire gigante — Quasi ogni giorno i pubblici funzionari ricevono circolari dai rispettivi ministeri colle quali si eccitano ad adempiere al proprio dovere e di fare anche più del dovere, quando, si tratta di pelare i poveri contribuenti, me nessuna se ne vede che loro imponga di mettere alla porta questi uomini corrotti e corruttori, siano anche essi senatori o deputati che reclamano favori immeritati e concessioni contrarie alle leggi.
La voce del Popolano non è tant'alta da giungere alle orecchie' dell'on: De Pretis; ma ci pensi, e ci pensi seriamente il vecchio di Stradella, ora che n'é tempo, perché se il mostro sopravvive ed avvolge nelle sue formidabili spire quanto di buono ancora rimane, la responsabilità sarà tutta sua, ed egli avrà una brutta pagina a scrivere nel suo testamento politico.
CORRISPONDENZA TEATRALE
(non utile ai fini di questa pubblicazione)
PARTE LETTERARIA
Oh se potessi! …
(A Francesco Giacobini)
Oh se potessi…un bacio, un bacio solo
Depor su quelle labbra di corallo,
Un bacio da fratello e senza dolo
Sarei il più felice senza fallo.
Un bacio a te donato, idolo mio,
In calma mi porrebbe questo core,
Pago farebbe il mio gentil desìo
E colmerebbe appieno il nostro amore
Se dunque affetto alcun di me ti punge
Un bacio vol concedimi dei tuoi!...
Baciandomi il maggior l’alma raggiunge
Che puote mai fra tutti i beni suoi.
5 Gennaio 1883
DOMENICO COLOTTA
COSE NOSTRE
E' veramente un brutto ufficio quello del Cronista, specialmente quando si abbia a parlare di fatti che riguardano qualcuno dei così detti pezzi grossi. Intanto, se non si parla, si è fatto segno alle critiche di questo e di quello; mettendo da parte i giusti rimbrotti della Direzione del Giornale, che ci dà dell'infingardo e peggio, incominciamo dunque ... ma da che cosa?
Su via ... della Commissione Edilizia.
Certo non potevate aspettarvelo, massime ora, con la Pasqua in sulla soglia. Ma che si fa! Qualche cosa bisogna dirla... Ci sembra dunque che quest' Onorevole Commissione non funziona punto bene. Si vedono di continuo costruire nuove fabbriche, senza che i Signori Commissari Edilizi se ne dessero alcun pensiero; quindi il massimo disordine non solo nelle prospettive, ma irregolarità massima anche nelle vie. Così, ognuno sà che nel luogo detto Ospizio sorge un nuovo quartiere : ognuno però vi fabbrica a suo gusto e comodo, ed intanto per la Commissione tutto vale, e ... tace.
Lo stesso avviene nel luogo Falcone. Ebbene, oggi si lascia fabbricare a casaccio, domani il Comune dovrà espropriare a caro prezzo quelle stesse fabbriche, per allargare le vie e dare un pò di aria e di luce alla povera gente! Ma le cose di Corigliano sono andate sempre così : e nello stesso modo andranno fino alla consumazione dei secoli.
Il cronista farà intanto, per quanto può, il suo dovere: i signori Edili si ricordino anche un pò del loro.
X
Consiglio Comunale = Nella sera del 20 andante, il nostro Consiglio si adunava straordinariamente, per provvedere alle necessità finanziarie del Comune, atteso la mancanza di pronti mezzi per sopperire fin pure alle spese obbligatorie del momento. Erasi in una precedente seduta, affidato ad una Commissione, composta dei Signori De Rosis, Bartolini e Garetti, l'incarico di esaminare accuratamente lo stato della Cassa, ed essi, avendovi adempiuto, a mezzo del Sig. De Rosis, ne facevano relazione al Consiglio. Senza seguire l’on. Relatore in tutto il labirinto di cifre, che pur formavano il pregio del suo lavoro, noi abbiamo soltanto preso nota del risultato, per cui dovrebbe essere disponibile presentemente la bella somma L. 41200, delle quali quarantamila trovansi però depositate presso la Banca Nazionale per addirsi alla costruzione del Cimitero. Quindi dalla Commissione si conchiudeva non esservi per ora la necessità di ricorrere a prestiti od altri rimedi straordinari, potendosi far fronte agli esiti con l’entrate ordinarie. Da parte dell’Amministrazione però, si faceva notare la inesattezza dei calcoli della Commissione, avendo la stessa ritenute come effettive molte somme irrealizzabili pel momento; per modo che, posto da parte le predette L.40 mila, invece di effettivo, vi sarebbe nella Cassa una reale mancanza oltre di Lire 1500 per il pagamento dei mandati tratti e da trarre fino a tutto Marzo, per gli stipendi agli impiegati e maestri che ne mancano da tre mesi.
Fu animatissima la discussione fra i sostenitori delle conclusioni della Commissione, e quelli dell’Amministrazione. Vi fu però un momento in cui anche qualcuno della Commissione si mostrò compenetrato della necessità di un provvedimento, per modo che si opinava potersi accordare all'Amministrazione la facultà di prendere dalla Banca qualche migliaio di lire, purché ciò si fosse ritenuto come semplice voto amministrativo, e non politico. Ma tosto si mutò di pensare, ed alla proposta Spezzano che accordava detta facultà, la Commissione ne contrappose un’altra che respingeva ogni provvedimento, ritenendosi ben fornita la Cassa Comunale per sopperire al fa bisogno. La maggioranza fu per la proposta della Commissione!
Fin qui abbiamo esposto fedelmente le cose per come andarono. Chiamati a manifestare il nostro parere, diciamo che, se la maggioranza aveva delle ragioni per disapprovare l’andamento dell'Amministrazione, non era questo il momento di farlo.
Che nella Cassa Comunale non vi sia un soldo è indubitato; che gl’Impiegati ed i Maestri siano senza paga, e questi da tre mesi, è pur troppo vero; che altri pagamenti vi siano a fare, per una somma di oltre lire 15 mila, nessuno vorrà negarlo; dunque, con quanta giustizia si vuole che questo stato di cose perduri, con disdoro del nostro Comune, e grave danno di coloro che da esso accreditano delle somme? Deve il Comune di Corigliano far sempre parlar di sè per lo inadempimento degli obblighi, cui è tenuto?
Per carità, Signori della maggioranza, vogliate essere un po’ più giusti e ragionevoli! Se volete dimostrare la vostra sfiducia nella Giunta, fatelo pure a vostro bel agio: piace a tutti che lo spirito di economia aleggi nel Consiglio, e che il danaro dei cittadini non si sprechi per il fanatismo di taluni; ma conoscere il bisogno e non voler provvedere, lasciando che altri abbiano a risentirne le conseguenze, non è certamente un procedere retto e coscienziato. Se la Commissione aveva bisogno di conoscere prima i rilievi della Giunta, per rettificare i suoi apprezzamenti, anziché dare un voto precipitato, sarebbe stato più prudente il rimandare la seduta ad altro giorno.
Lo stato finanziario del Comune richiede rimedi radicali, e noi vogliamo sperare vi si vorranno apportare.
X
Non ha guari fu tra noi il Signor Achille Greco, regio Ispettore Scolastico di questo Circondario, per ispezionare le nostre scuole civiche; ed egli, uomo colto ed amante della popolare istruzione, si mostrò molto soddisfatto dell'andamento delle medesime. Però, se l'egregio Ispettore poté accertarsi del buon volere dei nostri bravi maestri e maestre, che indefessamente lavorano per dare ai figli del popolo la necessaria istruzione, ebbe pure a deplorare che i diritti degl'Insegnanti siano di continuo manomessi dall'Amministrazione Comunale, che li priva financo dei loro stipendi da tre mesi!!...
Il Popolano pertanto, che ha pur molto a cuore la elementare istruzione, mentre rivolge una parola di lode agl'Insegnanti ed all'egregio Ispettore, invia altresì alle Autorità superiori, che spesso dormono sonni beati, la calda preghiera di voler subito impartire efficaci provvedimenti, acciò la benemerita classe dei Maestri sia senz'altro soddisfatta di quanto accredita, e puntualmente pagata per lo avvenire.
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In proposito dei maestri elementari, ci permettiamo domandare all'egregio uomo che stà a capo della nostra Amministrazione Municipale, perché non si sia ancora data ai medesimi comunicazione del decreto prefettizio che annulla il verbale della Giunta riferendosi alle spese di bollo dei loro mandati di pagamento. Vogliamo credere che un siffatto ritardo sia avvenuto a causa dei molteplici affari che tengono occupati continuamente gl'impiegati comunali; e che non si mancherà di provvedere.
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Abbiamo avuto fra noi un nuovo Sorvegliante stradale, incaricato della formazione del Ruolo per la prestazione d'opera della strada Corigliano-Acri. Ci si dice però che fu tanto lo zelo di questo Signore, da comprendere nel ruolo, anche coloro che mancano del necessario sostentamento. Certo egli non poteva conoscere le persone : speriamo che il Consiglio comunale corregga l'operato di lui.
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Dopo lungo tempo perduto in discussioni e progetti, abbiamo finalmente anche noi la nostra Necropoli provvisoria tuttavia, ma fra non molto in tutta regola, essendosi già appaltati i lavori definitivi. Pria che vi si dia mano preghiamo però l'Amministrazione Comunale di badare alla capacità del nuovo Cimitero, perché la zona assegnata per lo stesso sembra piuttosto ristretta in rapporto alla popolazione di questa città. Se non si è potuto far altro per avere un luogo migliore, facciasi almeno, ora che si è in tempo, che l'opera riesca tale, da non doversi dopo pochi anni ripensare ad essa.
È vecchio il proverbio che dice: ‘u tàrdo pentimento a nulla giova.
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E poiché ci troviamo a parlare del nostro Cimitero, rivolgiamo all'On. Comunale Amm. anche la preghiera di voler vedere quanto vi sia di vero sulla pratica, che dicesi introdotta da quel Custode, di scroccare dell'olio ed altro dalle famiglie dei defunti, colla promessa di accendere delle lampade sulle tombe, e che so altro; promesse tutte di cui egli non fa certamente nulla.
AVVISO
La TIPOGRAFIA DEL POPOLANO diretta dal Signor Dragosei Francesco, recentemente impiantata con tipi nuovissimi della Fonderia Redaelli di Milano, può eseguire qualsiasi lavoro tipografico con esattezza e sollecitudine, a prezzi economici da convenirsi. I Signori che vorranno onorarla di loro commissioni, potranno rivolgersi al Direttore della stessa, sia alla Tipografia Piazza Cavour num. 21, sia al domicilio in Piazza del Popolo.
L’INDISPENSABILE
Giornale utile a tutti viene spedito Gratis due mesi a chi lo richiede, anche con semplice Biglietto da visita alla Direzione in Palermo.
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Gerente responsabile Vincenzo Bellucci
– Corigliano Calabro – Tip. Del Popolano
Il Popolano n. 7 del 8 aprile 1883
Anno I. Corigliano Calabro 8 Aprile 1883 Num. 7.
IL POPOLANO
GIORNALETTO QUINDICINALE
AVVISO
A quei Signori che ancora non hanno pagato la 1. Rata d’abbonamento rivolgiamo la calda preghiera di farcela tenere subito.
Sicuri di essere esauditi le ne rendiamo grazie.
Una tarda riparazione
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Quando si combatté per la gran causa della Libertà ed Unità d’Italia, nelle memorande giornate del 1848 e 1860, questa Calabria nostra non rimase indifferente alla prova. Anzi, è bello ricordare, vidersi allora rinnovati i miracoli della greca virtù, in questa terra, che tanto ritrae dalla Grecia antica. A torme, di terra in terra, si correva alle armi, al santo grido di libertà; e tutti, indistintamente, i nostri Calabresi, mostrando di andare a danza o a splendido convito, e non a morte, pagarono il loro tributo alla Patria; sacrificando ogni privato interesse. Si videro, allora, i nostri ricchi proprietarii, a capo del movimento, e mettendo su, con rara abnegazione, delle ingenti somme per le spese; mentre i più poveri, sospeso l'usato lavoro, mutarono in armi invitte finanche i Vincastri dei pastori, le lunghe aste dei bovari. Memorandi giorni d'entusiasmo! Or, da allora in qua, ricostituito il governo Italiano, quali furono i premii, i dovuti compensi dati a coloro, che vidersi abbruciata la propria casa, confiscati i propri beni; a coloro, che subendo le più fiere persecuzioni, dovettero ramingare lungi dal patrio suolo, durante i barbari rigori della rabbia borbonica; a coloro che lasciarono il sangue nei campi di battaglia, e la famiglia nella più squallida miseria? Poffardio! nulla; mentre, in altre parti d'Italia, fu tutt’altro. E pure il glorioso Dittatore delle provincie meridionali, Giuseppe Garibaldi, con provvido consiglio, stabiliva, sin dal 1860, 6 milioni di ducati, per rimunerare, soccorrere le vittime, del 15 maggio 1848, delle provincie meridionali. Tale somma era da prelevarsi dalle cospicue vistosissime somme confiscate ai Borbone; ma, ora per una, ora per un'altra ragione, se ne vide distratto l'uso, con danno evidente dei beneficati. Quale ne fosse la vera causa non giova indagarla: questo solo sappiamo, che la Calabria, disgraziatamente, forse messa lì, da madre natura, sulla fine dello stivale, è l'ultima anche nelle benefiche opere e largizioni dello stato, come nella partecipazione dei generali vantaggi della nuova civiltà.
Ora, finalmente, dopo 22 anni, né più né meno, tanto quanto è, quasi, richiesto alla media di mezza vita umana, pare che siasi desta l'aura messaggera dell'aurora della giustizia o riparazione, che dirsi voglia; chè in data 25 novembre 1882, i Ministri dell'Interno e delle Finanze hanno presentato uno schema di legge a pro delle vittime, del 1848 e 49, delle provincie napoletane e siciliane. Sono Lire 600 mila annue, che propongono stanziarsi nella parte straordinaria del Ministero dell'Interno, in un capitolo:
« Assegnazioni vitalizie, indennità e sussidi ai danneggiati politici del 1848 e 49 delle provincie napoletane e siciliane ». Questa somma sarà ripartita, in ragione di tre quarte parti, alle provincie napoletane, e, in ragione di un quarto, alle provincie siciliane.
La concessione sarà fatta con decreto reale, con previo avviso di una commissione speciale. Il dritto al compenso potrà essere esercitato dalle vedove e dai figli dei danneggiati; avendo riguardo, altresì, alla condizione economia dei richiedenti, e delle largizioni prima, perciò, avute. Noi ne avvisiamo coloro che possono avervi interesse; e facciamo voti che questo schema di legge non resti eternamente lettera morta: se l'opera è tarda potrà essere, per bene, una giusta riparazione. Non è giusto che una parte d'Italia vegga non premiato il valore e l'abnegazione de' suoi figli; mentre, altrove, con la croce di cavaliere, si è dato delle grosse mancie a chi, ciurmatore di piazza, senz’altro, ebbe fiato, in gola, per gridare «Evviva!» pur non sapendo a chi. La giustizia sia per tutti: che se fu sempre santo il sangue versato per la Patria, il valore e l’abnegazione debbono avere i loro premii; altrimenti, la taccia di madrigna non mancherebbe alla nostra Italia. La falange de' nostri illustri martiri calabresi s'è ridotta di molto, dopo 22 anni; e si faccia presto, perché non si vada intieramente dileguando; o che si voglia, finalmente, rendere giustizia ad essi, con infierire, la tomba, degli onori estremi, con quel danaro, che avrebbe bastato a sollevarne la vita? … La parola, la volontà di Giuseppe Garibaldi Dittatore merita di essere, almeno, adempita.
UN’IDEA
Popolano anch'io, ho dedicata la mia povera e disadorna parola ai popolani, dai quali veramente
emergono la ricchezza e la civiltà di un paese, se di ricco e civile ha vanto.
Ma possiamo noi dare al nostro questo vanto? No, certo.
Le esposizioni sono frequenti in Italia, e da ogni cantuccio sempre numerosi ne sorgono gli espositori. Una ve ne fu, non ha guari, in Cosenza, una ve n'è attualmente in Roma, ed altre se ne preparano in diverse città.
È un fatto per noi umiliante, ma assai umiliante, il vedere artisti ed artigiani d'ogni parte, gareggiando di abilità, accorrere premurosi ad esporre le loro opere; mentre noi, indolenti, dormiamo sulla carrucola da tirar su i calzoni, lasciataci in eredità dai nostri bisnonni, di veneranda memoria. Veramente, alcuni Coriglianesi concorsero all'esposizione di Cosenza; essi vanno tutti lodati, ed in particolar modo il valente Pasquale Sciarpa, un di cui lavoro di calzoleria esposto, venne premiato. Ma, relativamente alla popolazione, i concorrenti furono pochini davvero.
Varie e non poche sono le cause che ci rendono inatti a compiere un lavoro, ciascuno del proprio mestiere, da poter fare degna figura in una mostra; ma, perché è necessario l’esser breve, sì per non tediare i benevoli lettori, che per non abusare della cortesia del giornaletto che si benigna accogliere questo articoluccio, mi limiterò ad accennarne tre sole, le quali, a mio vedere, sono le principali:
1-La non curanza di miglioramento;
2-L'abito del giuoco e del vino;
3-Il cattivo impiego delle giornate di festa, da cui deriva stagnante ignoranza.
Ed invero, se ognuno di quei giovani, che hanno nome di più periti nel proprio mestiere, si ficcasse tenacemente in pensiero di compiere un' opera degna di esser posta in mostra, vi riuscirebbe; ed ancorché non ne avesse ad esser premiato, non avrebbe egli perduto niente, ed avrebbe guadagnato molto; perduto niente, perché non avrebbe dato all’opera esposta che un’ora al giorno; guadagnando molto, perché, lavorando colle braccia anche il cervello assai segretucci di mestiere, pur dianzi ignorati, avrebbe scoperto.
Ma la vera chiave per apparar bene il mestiere di adozione è lo studio del disegno; e tutti dovrebbero e potrebbero studiarlo: sì, lo ripeto, potrebbero studiarlo.
È fatalmente vero che non potremo aver mai una scuola gratis di disegno, e ne fa prova l'operato del nostro Consiglio Provinciale, il quale nella seduta del 22 febbraio scorso, animato da veri sentimenti di patriottismo, di civiltà e di progresso, sopprimeva il sussidio di annue L.200 per il mantenimento di una scuola di disegno in Castrovillari, e sopprimeva pure la scuola Tecnica di Cosenza messa su nel 1862. Due soli anni dopo la redenzione di Italia, un passo avanti; un capitombolo!
Questo si chiama progresso … da cordaro.
Ma, per tornare in argomento, se tutto ciò è vero, è altresì indiscutibile che le associazioni fanno miracoli. Ecco ora l'idea promessa col titolo di questo mio dire.
Ad imitazione delle Società di mutuo soccorso, non potrebbesi instituire «La Società dei giovani artisti per lo studio del disegno?»
Risposta certa, ma priva di fondamento. Agli operai mancano i mezzi ed il tempo.
Non è vero! Le feste che soglionsi turpemente passare nei caffè e nelle cantine, darebbero il tempo, il danaro che vi si scialacqua senza prò, anzi con danno della salute, provvederebbe ai mezzi.
Infatti, per prendere a pigione una stanza, arredarla modestamente, e per corrispondere un adeguato onorario a maestro di disegno, il quale darebbe una lezione nei soli giorni festivi, non si richiederebbe poi la gran somma; e questa somma, non vistosa per se stessa, sminuzzata fra un certo numero di soci, verrebbe tanto a ridursi, da poter essere pagata a rate mensili da chiunque, e con tutto comodo.
Fratelli! il tempo ed i mezzi dunque non ci mancano. Proviamo a coloro che non hanno stima di noi, che senz’altro aiuto, fuori quello delle nostre braccia, sappiamo sorgere dal fango in cui ci vorrebbero sempre immersi, e nobilitarci col coltivare la mente ed aborrire il vizio.
AMEN
PARTE LETTERARIA
ALLA CARA MEMORIA
D’ISABELLA UBRIACO
Questi pochi versi dedica l’autrice
SONETTO
-«»-
Fra gli angeli del Ciel, da noi diviso,
Spirito gentil, contempli i santi rai
Di Lui, che ti dischiuse il Paradiso,
Mosso a pietà da’ tuoi sofferti guai.
Oh, a me rivolgi il dolce tuo sorriso,
A me che, come suora, un dì t’amai,
E nel mio petto, dal dolor conquiso,
Intondi un raggio di speranza ormai.
Cara fanciulla, ti rammenta quanto
Nembo di duolo avvolse i tuoi diletti,
Che germano, per te, nel triste pianto.
Se in terra amore ti strinse a lor, un die,
Piova il conforto in sen de’ poveretti
Da le tue luci tremolanti e pie.
Rossano, Febbraio 1883
Teresina Pinto
NOSTRA CORRISPONDENZA
(non utile a questa mia pubblicazione)
COSE NOSTRE
-«o»-
La nostra città fu nei passati giorni onorata di una visita del Signor Prefetto della Provincia, visita però troppo breve e non quale avrebbe dovuta essere, per mettere mano alle piaghe del nostro Comune. Egli ci ha pertanto lasciati col desiderio di rivedere fra noi la sua simpatica figura, adorna di quella gentilezza di modi, che formar deve una delle principali doti di ogni pubblico funzionario.
Malgrado la strettezza del tempo, non mancò di visitare il Palazzo Municipale, il Ginnasio, le scuole elementari maschili ed il nuovo locale destinato alla riunione delle cinque scuole femminili. Di tutto si mostrò soddisfattissimo, e nelle scuole maschili ammirò specialmente il concorso delle classi inferiori, avendo ciascuna di esse fino a 70 alunni; e l’egregio Funzionario promise parlarne al Consiglio Scolastico, per alleviare alquanto l’opera di questi poveri insegnanti.
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Abbiamo anche noi visto il nuovo locale delle Scuole femminile, e non possiamo non approvare il concetto della riunione di dette scuole, confidando vederle così più frequentate, con una certa emulazione fra le maestre, ed un maggior profitto nelle alunne. Lasciare più lungamente che le dette maestre facessero scuola nelle proprie case, sarebbe un fatto poco prudente; perché né tutte hanno nelle loro abitazioni una stanza libera per addirla a scuola, né tutte, stando in casa, hanno la fermezza di non lasciarsi distrarre dalle faccende domestiche.
E poiché ci troviamo sull'argomento, ci permettiamo di raccomandare ai Signori Consiglieri la buona scelta della bidella, badando che in essa vi sia non solo l'attitudine al servire, ma ben anche, e sopratutto, la moralità. E ciò diciamo, perché è a nostra conoscenza che si vada raccomandando persona niente affatto morigerata; e sarebbe un gravissimo scandalo vederla preposta a custode del santuario della più pura educazione, quale dev'essere quella della donna.
Sappiamo che gravi pregiudizii esistono nel nostro popolo, i quali fanno troppo presto allontanare le giovinette dalla scuola : una cattiva bidella, verrebbe in aiuto ai pregiudizi.
Il favoritismo in nessun'altra cosa può esser cotanto pregiudizievole, quanto in fatto di educazione.
Ci pensino i Signori del Consiglio.
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Con piacere annunziamo che quest'ufficio Telegrafico col 1° Aprile ha incominciato il suo orario completo di giorno dal 1 Aprile a tutto Settembre dalle 7 a.m, alle 9 p.m; e dal 1 Ottobre a tutto Marzo dalle 8 a. m. alle 9 p.m.
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Abbiamo di nuovo tra noi il Signor Gaetano Curci, perito-agrimensore della benedetta quotizzazione dei demani comunali di Corigliano; e fra non guari riceveremo anche l'onore, a quanto si dice, di rivedere il Giosué di questa terra promessa : Moisè Leonetti. Non ci sorprende in verità il loro ritorno, poiché ci è rimasta una coda da scorticare e ce ne vorrà del tempo! ma essi, piuttosto che per questo, vengono per risollevare lo spirito e calmare,specialmente l'ultimo, il mal di nervi, prendendo una boccata d'aria balsamica, ora appunto che i fiori degli aranci cominciano ad espandere i loro profumi, e l’acqua rinomata di S. Francesco,divenuta gradatamente più dolce, si fa più dolcemente gustare. Queste frequenti visite non troppo ci vanno a sangue; ed è per questa ragione che, riserbandoci di parlare in un lungo articolo delle sapietissime operazioni demaniali finora eseguite, pel momento ci limiteremo ad esortare l’Amministrazione comunale a tentare ogni possibile mezzo onde questo miserando stato di cose non duri più oltre e non sì abbia più a dire che Corigliano sia la terra dei morti. E giacché il Curci debba trattenere, gli si lasci occupare più utilmente il tempo ad esaminare le molte usurpazioni avvenute nella nostra campagna e nella montagna a danno del comune, permettendo di chiudersi financo le strade! Pensi l'Amministrazione che non si covre una carica se non per servire il paese.
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Strada Acri-Corigliano. — Fra i tanti guai che affliggono questa cittadinanza, gravata abbastanza da pesi e da balzelli di ogni specie da non poterne più, vi è pure la strada Acri-Corigliano, la quale per causa dei soliti intrighi dei prepotenti, che tanta parte hanno nel governo della nostra provincia, detta giustamente fuori legge, sta per divenire un carico perenne, da cui neppure i nostri posteri della decima generazione si potrà sperare verranno esonerati. Non bastava che ci fosse stato impedito di avere la strada per la ridente ed amena contrada Sopralirto con grande economia di tempo e di spese, togliendocisi la soddisfazione di spendere il nostro denaro secondo i nostri desideri, si vuole ora farci bevere fino all'ultima goccia il calice delle amarezze, costruendo dinanzi ai nostri occhi un muro colossale, che ci costerà parecchie migliaia di lire, con fragili fondamenta, e senza la solidità necessaria a sostenere la spinta dell'adiacente collina con la certezza di dover crollare appena elevato, come ben due volte ebbe a verificarsi. Eppure questa maledetta strada periziata per lire 60 mila, costerà al Comune più di lire 200 mila, oltre al valore dei terreni espropriati, che dovranno pagarsi da tutt'i cittadini, senza distinzione di classe, dal più ricco proprietario al più misero operaio, e se il danaro continuerà a sprecarsi così inutilmente, chi sa quanto altro dovrà spendersi per la totale estensione del debito.
Noi speriamo che i Signori Componenti la Giunta Municipale, con quella solerzia che tanto li distingue, vorranno occuparsi di un affare così grave, curando di richiamare la relativa pratica dalla Prefettura per esaminare quanto si è speso, e specialmente a carico di chi sia stata posta la ricostruzione del muro caduto per imperizia o per mala fede, e nel caso non improbabile di sottrazioni ed abusi a danno di questa cittadinanza, sporgerne motivato reclamo al ministero, e se occorre, anche al Re per ottenere completa giustizia, senza punto curarsi delle inique arti dei prepotenti che speculano sulla nostra debolezza per opprimerci, i quali in vista della loro fermezza, non oseranno ostacolare i nostri dritti come al solito e si ritireranno nelle tenebre come schifosi pipistrelli, temendo che la lotta possa influire a far la luce sulle loro turpitudini.
Gerente responsabile gratuito, Vincenzo Bellucci
– Corigliano Calabro – Tip. Del Popolano
Il Popolano n. 8 del 24 aprile 1883
Anno I. Corigliano Calabro 24 Aprile 1883 Num. 8.
IL POPOLANO
GIORNALETTO QUINDICINALE
AVVISO
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Abbiamo altre volte inviata una gentile preghiera a quei Signori che hanno ritenuto il nostro Giornale per più numeri, acciò si fossero degnati inviarci il tenuissimo prezzo di abbonamento.
Non vedendoci da una parte di essi soddisfatti, siamo costretti ritornare sull’argomento, dichiarando che non sappiamo proprio in che modo comportarci. Chi non voleva spendere la miserabilissima somma di DUE LIRE per un intero anno, avrebbe dovuto respingerci il giornale al I numero. Come qualificare il procedere del Sig. SINDACO e SEGRETARIO di Vaccarizzo Albanese e del CASINO DI UNIONE di Cosenza, che ce lo hanno respinto al 6 Numero?
Ognuno può da sè comprendere che con le due lire appena si sopperisce alla sola carta per esso occorrente.
Avere un giornale che a sì tenue prezzo offre le sue colonne agli abbonati per qualsiasi giusto reclamo, è cosa che sorpassa ogni credibilità. Eppure vi sono di coloro che negano sì tenue tributo alla stampa libera ed indipendente!
Confidiamo di non essere costretti a pubblicare altri nomi : i nostri abbonati non vorranno certo meritare l’odioso titolo di LADRI … DELLA STAMPA!!!
UN VOTO ED UN RICORDO
Nel N°. 4°. Della Calandra, pubblicato in Rossano il 16 Marzo ultimo, leggemmo con piacere un articolo del professore Putzolu sulla fuliggine dell’ulivo; e confidiamo che anche che i nostri proprietari ed agricoltori di buona volontà, volessero trarne profitto, per allontanare dai nostri oliveti siffatto insetto, nocivo cotanto alla buona vegetazione delle piante.
Ignoriamo se lo stesso articolo debba esser seguito da altri consimili. Ci si assicura però che nel Bilancio del Comizio Agrario di Rossano, per l'anno che corre, fosse stata stanziata una somma, non solo per la pubblicazione, in apposito giornale, degli atti del Comizio, ma per la diffusione benanché delle più necessarie conoscenze agricole, per cura del prelodato Professore. Tale divisamento essendo ben degno di lode, avremmo desiderato che non se ne fosse ritardata l'attuazione. Mentre con esso si sarebbe portato alla conoscenza dei Soci e del pubblico quanto di buono si fosse dal Comizio operato; le istruzioni pratiche avrebbero, per così dire, allargata la base di quella scuola di agricoltura, che da più mesi trovasi istallata in Rossano — I vantaggi di detta scuola sarebbero altrimenti localizzati, ed il Circondario non ne godrebbe punto; essendo ben difficile il ritenere che gli agricoltori e possidenti di altre località si recassero a Rossano, per assistere a quelle lezioni.
Noi veramente vorremmo che una Scuola di Agricoltura si trovasse in ogni Comune più importante, e precipuamente nel nostro, dotato da Dio di un territorio vastissimo; che dalle ioniche pianure va a congiungersi coi monti silani, ed è perciò adatto all’esperimento e perfezionamento delle più varie colture. Ma, fino a che questo nostro ideale dovrà restare un puro desiderio, pensiamo che il prelodato Comizio si renderebbe molto benemerito, se trovasse modo di far tenere, in alcuni mesi dell' anno, delle conferenze dal Professore di agricoltura, or in uno, or in altro Comune del Circondario, accoppiando, per quanto si può, alla teoria anche la pratica di quelle conoscenze che crederebbe più necessarie ed applicabili alle diverse località.
Sarebbe questo un grande eccitamento all’attività dei nostri agricoltori, i quali cominciano, in qualche modo, a capire che, con una ben regolata coltura, la terra può anche triplicare gli attuali prodotti.
Si tennero, è vero, in Rossano delle conferenze agrarie nel passato Ottobre, dando anche il Comizio dei sussidi ai Maestri elementari che v' intervennero; ma riteniamo che con ciò non si sia fatto un passo innanzi. — I Maestri, ritornati alle loro scuole, non hanno potuto, almeno nella maggior parte, far passare nelle tenere menti dei bimbi le conoscenze apparate, perché non adatte alla capacità degli alunni. Sarebbe stata invece l’opera loro molto più proficua, se avessero potuto insegnare qualche cosa di agricoltura agli adulti, in una scuola serale o domenicale — Non possiamo però aspettarci che ciò sia fatto, fino a che ai Maestri non si lascia sperare altro compenso, che un premio di Lire 50, promesso dal Comizio, ma del tutto incerto e dipendente dall'arbitrio altrui.
L’immegliamento dell' agricoltura è intanto della massima importanza; e noi vediamo che di esso s'interessa incessantemente il Governo, ed uomini più competenti di noi se ne occupano nella stampa — Ma per raggiungere lo scopo è necessario che le conoscenze scientifiche, sussidiate da una pratica razionale, siano rese popolari e diffuse fra la massa dei coltivatori.
Vediamo pertanto con rincrescimento che nel nostro Comizio la lena vada scemando, non, certamente, per mancanza di buon volere negli uomini che ne sono a capo, ma per vizi, forse, inerenti ali'istituzione medesima. Fidenti pur tuttavia nei signori Amministratori, rivolgiamo loro la preghiera di voler senz'altro indugio menare innanzi la diffusione delle più utili conoscenze agrarie a mezzo della stampa, e procurare l’attuazione delle conferenze nel modo da noi proposto.
Ci auguriamo che essi non vorranno lasciare insoddisfatti i desideri dei Soci e del pubblico.
NOSTRA CORRISPONDENZA
La solita corrispondenza Teatrale ci giunse quando avevamo il giornale in macchina.
Essendo ormai passati più giorni non crediamo opportuna la sua pubblicazione.
Crediamo però far cosa grata ai nostri abbonati, pubblicandone quella parte che riguarda la conferenza tenuta dagl'Illustre Prof. Milelli in Cosenza.
L'imperioso dovere d'amico e devoto ammiratore mi incombe l'obbligo, di parlare d'un robusto e poderoso ingegno qual'è Domenico Milelli.
Chi è Mico Milelli? Per l'autore delle Discerpta, dei Rottami e Ciottoli, del Kokodè, pel Direttore della Calabria Letteraria e di altri molti lavori, è proprio il caso di ripetere senza tema di sbagliare menomamente di adulare: tanto nomini nullum per elogium.
Mico adunque è qui tra noi da più giorni. Il due del corrente tenne una conferenza letteraria sul tema: Dal Ciocconi al Bersezio. La sala del Consiglio Provinciale fu affollatissima e non mancarono gentili signore e signorine. Fu una vera festa, fu un vero trionfo. Vi furono applausi frenetici, sinceri, sentiti, spontanei, di cuore.
6 Aprile 1883 DEMOCRITO
Ci scrivono da Rossano:
II contagio del regresso e del vandalismo in questa nostra città progredisce mirabilmente. Patria infelice! le altre città calabresi, grazie al commercio ed alla pubblica istruzione, vanno di giorno in giorno civilizzandosi, e tu diventi invece vieppiù barbara e selvaggia!
E difatti, l’esempio dato dagli onorevoli membri di questo Municipio, abolitori della banda musicale, che dirigeva l'egregio Maestro Ruggiero, pare avesse fatto breccia nel barbaro cuore di un certo Signor Rizzo, cancelliere di questa Regia Pretura; e gli avesse fatto sorgere in mente la barbara idea di distruggere i miserandi avanzi della disciolta banda.
L'altra sera, due giovanotti, per puro passatempo, muniti di qualche musicale istrumento, stavano facendo una serenata, suonando in mezzo ad una pubblica strada, sopra l’abitazione del detto cancelliere Rizzo. Ebbene, il Sig. Rizzo invece di allietarsi, udendo quella soave notturna melodia, che certo facea palpitare il cuore di qualche amante giovinetta … da vero barbaro seguace del vandalico Consiglio, come una furia d’averno, si affaccia alla finestra, e con quanta voce avea in gola si fa lecito di oltraggiare con parole da trivio quei due giovanotti, eruttando contro gli stessi un monte di villanie. Allora uno di essi, mal tollerando quegli oltraggi immeritati, faceva osservare al Signor Rizzo, che egli non aveva alcun dritto di vietare che si suonasse in quel luogo, essendo una pubblica strada. A queste parole il barbaro cancelliere risponde, esplodendo un colpo di pistola contro quei poveri diavoli, e non contento di ciò, l’indomani sporgea querela contro gli stessi, falsamente asserendo che il colpo esploso,era partito da loro e non da lui.
Staremo a vedere cosa farà la giustizia di questo Signor Pretore, mentre ci si dice che i querelati abbiano anch'essi sporto querela contro il cancelliere querelante!..
PARTE LETTERARIA
BRAMO SSOLO LA MORTE
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Poi che segnò la ria sentenza il Fato,
Venni alla luce e piansi;
Amaramente piansi, e piango ancora
Sempre da la sventura accompagnato!
Il trentesimo sol volge il suo corso
Sul triste viver mio.
Son trent'anni di tedio e di dolori
Gravi cotanto che ne ho curvo il dorso.
Palpita in sen di gioventude il core
Ai pari miei d'etade;
Di pura fiamma una sol fiata acceso,
Nel lutto il core mio spense l'ardore.
Spense l'ardore e al giorno estremo anela
Con tutto quel disio,
Con quanto alma purgante attende l'ora
Che dei tormenti il fine le rivela.
Or tu, innocente giovinetta, ignara
Dei mali de la vita;
- M'ami? — dicesti con soave accento.
Non t'amo, no; la morte sol mi è cara!
AMEN
BIBLIOGRAFIA
Il Signor Pietro Antonio Gervasi, Vice Cancelliere presso
il tribunale di Castrovillari, ha pubblicato, non ha guari,
alcune Riflessioni sul metodo abbreviativo dei moduli stampati a proposizione logiche incomplete — L’obbiettivo che 1'Autore ebbe in mira si fu quello di dare ai Cancellieri di Pretura maggior agevolezza nella redazione dei verbali di dibattimento nelle cause penali,evitando,
così l'annullamento, di un significante numero di sentenze,
in grado di appello. Spesso tali verbali non sono redatti in modo da ritrarre al vivo ciò che avviene in pubblica udienza, e da ciò la diversità di criterio nei due Magistrati giudicanti = Onde l’egregio Procuratore del Re presso il Tribunale di Reggio Calabria, deplorando tale fatto, raccomandava al Tribunale la rinnovazione del pubblico
dibattimento: mezzo però non troppo economico.
Col metodo propugnato dall'Autore si otterrebbe,l'intento della verità e della giustizia, senza bisogno di aggravare 1'erario con un nuovo dibattimento.
Raccomandiamo pertanto il libro del Signor Gervasi, dirigendosene le richieste allo stesso in Castrovillari.
COSE NOSTRE
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In ordine alla scelta della bidella per le scuole femminili, di cui ci siamo occupati nel precedente numero del nostro Giornale, riceviamo dal Signor Spezzano la seguente lettera che con piacere pubblichiamo, confidando nelle sue assicurazioni, e nel buon senso dei Componenti la Giunta Municipale.
Egregio Direttore
Nel Num. 7. del POPOLANO, sotto la rubrica cose nostre ho letto le preoccupazioni, generate dalle voci che si son fatte correre sulla nomina della Bidella da collocarsi fra non guari nel nuovo locale, destinato alla riunione di tutte le scuole elementari femminili.
Mi credo nell'obbligo di smentire queste voci, assicurandola che da più tempo, nella mia qualità di componente la commissione di vigilanza, mi sono scrupolosamente occupato della scelta di persona idonea sotto ogni rapporto, e se non m'inganno, credo di aver raggiunto lo scopo.
È una donna sulla cinquantina, di buona salute, senza famiglia, istruita discretamente nei lavori donneschi e di una morale inappuntabile. Se gli onorevoli componenti la Giunta Municipale, cui ho fatto tenere analoga domanda, la nomineranno,il pubblico intero, ne son certo, rimarrà contentissimo.
La prego scusarmi del fastidio e credermi con profonda stima.
Suo Obbligatissimo
G. Spezzano
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Come corollario delle giuste e sagge operazioni demaniali eseguite dal Signor Mosè Leonetti in questo Comune, alcuni cittadini non compresi fra i partecipanti, andarono nei passati giorni ad occupare di propria autorità dei quozienti di terra nei demani comunali della montagna, protestando così contro gli abusi del predetto Signor Leonetti, il quale regalò a decine di moggiate i terreni Comunali ai suoi favoriti, senza che gli Amministratori del Comune ne sapessero nulla. Ed è curioso che dopo due anni dell'eseguito partaggio, il Comune non conosce ancora i nomi di coloro che ebbero le terre, e che perciò dovrebbero pagarne il relativo canone - Si dice aversi avuto a spizzico uno stato di 530 individui, mentre si ritiene che il numero totale dei quotisti oltrepassi i settecento - La differenza fra i due numeri sarebbe un'aggiunta fatta dal predetto Signor Leonetti a suo libito! Ed è da notare come, dopo due anni da che fu fatta l'assegno generale delle quote, vi sia qualcuno che non abbia avuto ancora la sua, malgrado abbia pagato la sua rata di spese, e forse anche il canone, senza godimento!
Eppure il Signor Curci, perito agronomo dell'operazione, era qui fra noi in questi giorni!
E perché non contentare le giuste lamentele di questi infelici?
Ah! ... si è troppo abusato della nostra pazienza, si è troppo abusato della bonomia dell'Amministrazione e del Consiglio Comunale, e della soverchia condiscendenza della Prefettura, cui il Leonettii ha saputo far sempre intendere per lucciole le lanterne, respingendosi perciò qualsiasi giustissimo reclamo!
Noi riproviamo gli atti arbitrari commessi dai predetti cittadini nella montagna, e ci è piaciuto che l'Assessore Sig. Spezzano, col Delegato di P.S. e coi RR. Carabinieri, siasi recato sul luogo ad adempiere la dissodazione di quei terreni. Ma un rimedio a tanti mali è necessario, e noi ce lo aspettiamo, sebbene sia troppo tardi.
Pubblichiamo intanto in supplemento un verbale di questa Giunta Comunale, col quale si stigmatizzò l'illegale procedere del Signor Leonetti, e che per ora ci dispensa di entrare in più minuti ragguagli sulle operazioni demaniali in parola
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Molto tempo fa, saran 12 o 13 anni, i nostri benemeriti Amministratori di quel tempo si lasciarono sfuggire la sede di un Distretto Militare, che il Ministero era dispostissimo ad accordare a questa disgraziata Corigliano. È inutile enumerare i vantaggi che ne avremmo ottenuti. Ma allora, forse, non si comprendevano, e non si volle il Distretto Militare; e vada.
Venghiamo ora a sapere che molto facilmente potrebbesi ottenere la Tenenza della Reale Arma dei Carabinieri. Corre voce anche, che i nostri patres conscripti sarebbero in vena di rifiutarla, piuttosto che di adoperarsi energicamente per averla. Noi vogliamo credere che sia voce bugiarda, per non fare il torto ai nostri Amministratori, ed a noi stessi, di far pensare, che dopo 23 anni di libero governo, la cittadinanza Coriglianese sia ancora indietro da non intendere «l’utile e il danno e ciò che giova o nuoce alla sua patria…» Lungi poi l’odioso sospetto che si finga di non intendere il bene per non farlo!...
Sarebbe allora una condotta ...inqualificabile, e degna di coloro i quali il Divino Poeta collocò nell’ultima cerchia.
Ci auguriamo, e viviamo nella certezza, che l'Onorevole Giunta sì compiacerà fare una delibera, la quale, ne siamo persuasi, basterà, perché Corigliano divenga sede di Tenenza dei Carabinieri Reali.
AVVISO
La TIPOGRAFIA DEL POPOLANO diretta dal Signor Dragosei Francesco, recentemente impiantata con tipi nuovissimi della Fonderia Redaelli di Milano, può eseguire qualsiasi lavoro tipografico con esattezza e sollecitudine, a prezzi economici da convenirsi. I Signori che vorranno onorarla di loro commissioni, potranno rivolgersi al Direttore della stessa, sia alla Tipografia Piazza Cavour num. 21, sia al domicilio in Piazza del Popolo.
Gerente responsabile gratuito, Vincenzo Bellucci
– Corigliano Calabro – Tip. Del Popolano
Il Popolano n. 9 del 14 maggio 1883
Anno I. Corigliano Calabro 14 Maggio 1883 Num. 9.
IL POPOLANO
GIORNALETTO QUINDICINALE
Sulle Operazioni demaniali di Corigliano Calabro
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Il grave fatto delle usurpazioni che ebbero luogo nei nostri demani comunali tuttavia indivisi, ha commosso la parte onesta della cittadinanza e un vivo sentimento d'indignazione ha invaso l'animo di tutti. Conseguenza tristissima delle irregolarità commesse dal Leonetti, su lui solo deve pesare l'onta come la responsabilità; mentre col suo cattivissimo esempio fu di scuola agli altri. Venendo in Corigliano, suo primo pensiero fu quello di affibbiarsi all'elemento più corrotto e corruttore che in ogni paese è sempre il più esteso, mentre capiva benissimo che in questo modo solo poteva esercitare la sua azione malefica. E difatti , chiudendo un occhio sulle male opere dei suoi adepti in tunica succinta, venne lasciato in piena libertà di fare. E da ciò quell’ammasso d’illegalità, di atti arbitrari e direi quasi di furti, che in sostanza furti sono e niente altro quel togliere un quoziente di terreno a chi ne avea il diritto, per concederlo a chi non lo meritava punto, o il concederne ai propri favoriti un quantitativo maggiore di quello prescritto. Sebbene l’animo rifugga da certi fatti, pur tuttavolta perché lo promettemmo in altro numero del nostro giornale, torniamo sul doloroso argomento della quotizzazione ultima, lasciando al lettore di formarsi un esatto giudizio dell’uomo che veniva incaricato per la stessa. Questa operazione cui il Sig. Leonetti annetteva tanta importanza, non era che un'operazione molto semplice in rapporto a quella che il Sig. Tocci seguiva nell'anno di Grazia 1863, venti anni addietro. Ora si trattava, né più, né meno, del riparto ed assegno di terreni demaniali indivisi o di quote precedentemente rinunziate; e di una conciliazione coi compratori di quote illegalmente acquistate nell'epoca del divieto.
La prima parte, come chiaramente si rileva, non poteva essere che di mera spettanza dell’agrimensore, tranne alcuni adempimenti di rito che stavano a carico dell’Agente demaniale pel regolare andamento dell'operazione stessa affidatagli. In quanto alla seconda poi, essa non offriva difficoltà di sorta né richiedeva un accurato lavoro, trattandosi di stabilire solamente un equo aumento di canone su quello che si corrispondeva dagli originari quotisti. E ciò, incredibile ma vero, ha occupato un periodo di tre ben lunghi anni, sebbene fossero più che bastevoli sei mesi; ed ha costato, compreso il compenso all'agrimensore, la bagattella, nientemeno, di oltre 14 mila lire — il triplo, o poco meno, di quanto si spese nell'operazione eseguita da Tocci, la quale fu di gran lunga più importante e produttiva d'immensi vantaggi al Comune. Ma tutto questo era un nonnulla se il Leonetti avesse almeno agito con coscienza e con sani criteri nel compito che gli era stato assegnato. Egli, invece, come quello schiavo che, tolto per poco al duro giogo cui era condannato dal suo padrone, serba di costui i vizi, ha voluto far campeggiare il capriccio, ed ha osato manomettere la legge facendo da vero despota con suprema iattura degl'interessi del Comune e svantaggio della cittadinanza. Egli con le sue arti serpentine, coll'apparente figura di santo anacoreta e con quella sua vocina stentorea, seppe tanto fare e tanto dire che i nostri patres conscripti gli accordarono piena fiducia, soddisfatti in cuor loro che, avrebbero veduto oramai la legge eseguita appuntino da questo angelo tutelare, e le finanze del Comune ben presto ritornate in floribus. Bei sogni invero erano cotesti, mai ben tosto si mutarono in crudeli disinganni di dura realtà!— Di quella fiducia si valse calpestare i più santi dritti dei cittadini e gl’interessi più vitali del Comune. Nella conciliazione con i compratori ed usurpatori di terreni demaniali, egli non fece riferimento all’ordinanza prefettizia che g’indicava di tener conto del valore venale delle quote nella misura del canone da imporsi. E sempre senza criteri direttivi, si è limitato ad elevare il canone di poche lire ed ha lasciato al compratore ed usurpatore quasi l’intero godimento della radice liquirizia che costituiva l'elemento più essenziale delle terre medesime; tanto più che il canone della radice avea subito un’importante riduzione sull’originario ruolo in favore dei quotisti. Né ciò dovea ignorarsi dal Leonetti il quale avea presieduto la Commissione all'uopo nominata dal Consiglio. E ci facciamo meraviglia ancora come, sapendo egli che le conciliazioni avvenute molti anni addietro dal sig. Tocci si tenne conto del valore reale e non già del quotistico, non abbia provveduto di questo precedente che, duplicando il canone ha prodotto al Comune un aumento di ben dodici mila lire di reddito. E oltre a ciò, il Sig, Leonetti ha dato gratuitamente in mano dei compratori illegittimi ed usurpatori , nientemeno che centinaia di moggiate di terreno, che nella quotizzazione del 1863, rimasero per aie e di cui senza ottenere un utile, il Comune ora paga il contributo fondiario. Né invero è da tacere, accantonando le quote, non tenne nemmeno alcun conto del valore delle terre che il comune cedeva ai sopraddetti compratori ed usurpatori, in rapporto al valore delle terre che questi lasciavano; terre che al certo sono le peggiori, con poco o senza radice affatto, in cambio si ebbero terreni fertili e ricchi con radice.
In conseguenza dunque dei gravi sconci avvenuti per opera del Leonetti era purtroppo ragionevole la determinazione presa ultimamente, sebbene un pò tardiva, dal Consiglio di chiedere al Governo che sia tolto al medesimo, il mandato conferitogli e sull’operazione venisse ordinata un’inchiesta.
Noi intanto facciamo ardenti voti che il Governo non tardi a soddisfare i giusti desideri del nostro Consiglio che pur sono quelli di tutta la cittadinanza; e ci auguriamo che svolgendosi altri fatti potessimo vedere sullo sgabello dei rei nelle assise il Consigliere Provinciale Sig. Leonetti, non per odio che gli portiamo, ma per amore di quella giustizia che per opera sua vediamo gittata e avvoltolala nel fango; e più ancora perché quei nostri padroni di là se ne abbiano le tempia rosse dalla vergogna e pensino altra volta ad inviare tra noi uomini che sappiano adempire ai propri doveri ed abbiano coscienza del loro mandato.
NOSTRA CORRISPONDENZA
Giacché, quasi tutta la stampa si occupa delle feste date in Roma per le nozze del Principe Tommaso, non ci par fuor di proposito pubblicare qui appresso una lettera che dalla Capitale c'invia un nostro amico, il quale si compiace dirci qualche cosa sullo stesso obbietto.
Roma 30 Aprile 1883.
Ti rispondo con un pò di ritardo ma comprenderai benissimo che in occasione di queste feste che si danno in onore del principe coniugato, noi militari, oltre che abbiamo un servizio pesante, in quelle ore di libertà si corre a vedere or la fantastica illuminazione, or ai prati di castello ed or a sentire la musica delle 10 bande che suonano al piazzale del Quirinale, dai balconi del quale alle grida entusiastiche del popolo, s'affacciano spessissimo la sposa e la regina; quella che saluta stecchita ed impacciata, questa che coi suoi sorrisi e le sue moine graziosi e flessuosi ammalia tutti, e quindi nulla di meraviglia se il Carducci, socialista quasi, s'ispirò a cantarla coi suoi barbari versi.
Oggi di picchetto d'onore al senato, domani di guardia al palazzo della Consulta, ove alloggia il principe di Baviera; mi trovo, però, libero giovedì, giorno in cui a Villa Borghese si terrà il torneo. E basta relativamente alle feste....
S.t.c. Domenico
Per debito d’imparzialità pubblichiamo la seguente :
Caro Rompicollo
Voi siete veramente un rompicollo; e, per essere così, siete ridotto a tale stato da fare pietà. Io vi conosco chi siete, e tutti vi conoscono, poiché in Longobucco generalmente si sa chi sia questo Rompicollo.
E poteva il Consiglio di Prefettura non ammettere l’articolo projetti, di cui s’era sperduta la quietanza e poi ritrovata e rimessa? E poteva non ammettere i residui attivi, che esistono tuttora nei ruoli, quando con verbale della Commissione Finanziaria di Rossano, del 2 maggio 1872, fu dichiarato l’Esattore fuori di ogni sua responsabilità, per non essergli stati consegnati i ruoli a tempo proprio? E poteva non ammettere l’articolo imprevedute, quando è documentato con regolari mandati?
Ah! Povero disperato Rompicollo! Ripeto, che fate pietà; mantenetevi la vostra rabbia, che vi cruccia: io vi compatisco. Non avrei dovuto darvi confidenza a rispondervi; pure l’ho fatto per mettere in luce la verità delle cose, e così aumentare il vostro cruccio.
Voi, Rompicollo, non avete nascosto sotto la vergognosa maschera di Rompicollo, io invece lo scrivo in esteso, poiché ho appreso dai libri essere atto virtuoso il rompere il collo ai rompicolli, e mostrare al pubblico la brutta cera dei mascherati.
Longobucco, 9 Aprile 1883 Il figlio dell’ex tesoriere
Serafino De Capua
PARTE LETTERARIA
Tutto per me fini!...
(A Luigi Cuccaro)
Piangi, cor mio, n’hai donde,
Piangi, e col pianto almeno
Lenisci il duol, chè in seno
Se gonfia troppo è male
Esiziale.
L’idol morì : crudele
Fato, d’invidia preso
Del nostro amor, l’ha reso
Cadavere … Sono ormai
Misero assai!
Invan ne parlo ai fiori,
Del prato alto ornamento;
Deh ascolta il mio lamento,
Che tanto m’arrovella,
O rondinella.
Ahi! mi rispondon : gonzo,
Non più sperar, diviso
Da te, nel paradiso
Volò; che egli era degno
D’un altro regno.
Giovanni Arcuri
LIBRI AVUTI IN DONO
Dall’Avvocato Domenico Le Pera abbiamo ricevuto un opuscolo dal titolo Chiesa e Scienza. Replica alla risposta del Missionario D. Gottardo Scotton – Cosenza. Tip. Municipale, 1883.
Lo stesso è scritto con molta competenza e sana critica, e merita di esser letto, specialmente da chi si diletta dell’ardua quistione religiosa.
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Il Farmacista Cav. Gaetano Clausi di Cosenza ha preparato con le gemme del pino della nostra Sila lo Sciroppo e l’acqua coobata, che si ebbero non solo il primo premio nell’Esposizione Regionale del 1881, ma da molti uomini competenti furono ritrovati superiori a tutti gli altri balsamici fin oggi usati, stante la prevalenza in essi dei principi balsamico-resinosi contenuti nelle gemme del nostro Pino Silano.
Tali specialità essendo efficacissime nelle affezioni catarrali croniche ed inveterate delle vie urinarie e respiratorie, le raccomandiamo vivamente al pubblico ed ai Signori medici, che più di ogni altro possono estenderne l’uso.
COSE NOSTRE
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Per dovere di giustizia dobbiamo dichiarare che nella Risposta a Re Alarico, contenuta nel nostro N°. 5, del 15 Marzo corrente anno, accennandosi ad abusi nell'Ospizio Vittorio Emanuele, stabilito in Cosenza, non abbiamo inteso menomamente alludere alla persona del Sig. Mileti Raffaele, che trovasi a capo di detto Istituto, e che, per quanto ci si assicura, esattamente adempie ai suoi doveri.
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II nostro Consiglio Comunale trovasi, fin dal 26 Aprile, in sessione ordinaria. Nella prima seduta non si trattò alcun oggetto d'importanza. Nella seconda poi il Consiglio si occupò, pria di ogni altra cosa, della proposta diretta ad ottenere fra noi la sede di una Tenenza dei RR. Carabinieri, di cui ci siamo occupati nel precedente numero del nostro giornale. La proposta fu ad unanimità approvata, e confidiamo che sia bene accolta dalle Autorità, cui spetta provvedere.
Si passò dopo a discutere un rapporto della Giunta Comunale sulle usurpazioni di recente avvenute in diversi demani comunali, e della discussione si venne sempreppiù a riconoscere che causa prima e precipua di tutto ciò sia stato l'irregolare procedere dell'Agente e del Perito, incaricati della divisione.
Le relazioni che passano tra buona parte degli usurpatori ed i Signori Leonetti e Curci sono delle più intime; laonde non è da supporsi che essi ignorassero le usurpazioni maggiori, avvenute sotto i loro occhi. Anzi si aggiunge che lo stesso Sig. Leonetti abbia consigliato gli usurpatoti di costruire fabbriche e far piantagioni nel terreno usurpato, promettendo loro la solita panacea della conciliazione.
Egli è certo che questi Signori son venuti a farla da padroni in casa nostra, e l’Amministrazione ed il Consiglio Comunale hanno la gravissima colpa di aver lasciato fare, e di aver profusi anche degli elogi! Ora, se in un fatto di resipiscenza si son potuto mutare elogi in vitupero, non si potrà ugualmente pensare di distruggere tutto il mal fatto.
Il Consiglio intanto deliberava di rivolgere una preghiera al Governo, acciò non approvi le operazioni di partaggio fatte dal Leonetti, se prima, a mezzo di un’inchiesta non se ne fosse riconosciuta la regolarità. Davasi poi facultà alla Giunta di agire contro tutti gli usurpatori di terreni comunali, i quali non possano invocare in loro favore il beneficio della conciliazione.
La terza seduta del Consiglio, 2 maggio, è stata dedicata allo esame del regolamento del nuovo camposanto, e con lievi modificazioni, restò approvato il progetto della Commissione. In esso avremmo voluto una maggior riduzione nel prezzo stabilito per le concessioni di suolo, e specialmente per quelle nicchie od urne nel muro di cinta. Non approviamo assolutamente la tassa di lire due da pagarsi al cappellano per ogni cadavere. Mi sembra che le famiglie debbono spendere, pel seppellimento, molto più che prima. Facciamo che tale tassa non sia punto approvata dall’Autorità superiore, perché vessatoria.
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La piazza di questa Città un tempo così ricca di sostanze alimentari di ogni specie d'avere indubbiamente il primato su tutti gli altri centri più popolati ed importanti della Provincia, ora è divenuta tanto povera da disgradarne i più meschini ed infelici villaggi - Tranne infatti degli aranci, della pasta, delle verdure e di altri pochi commestibili, tutto scarseggia fin anche la così detta sardella che prima veniva in tanta copia da vendersi a due centesimi il chilo. Non parliamo della carne, perché non vi ha chi non sappia come fino a pochi mesi dietro siansi macellati animali vecchi, macilenti e non di rado rognosi o morti di freddo e di fame non senza pericolo della pubblica igiene.
Questo stato di decadenza diciamolo francamente è dovuto anche, a dir poco, all'indolenza e all'apatia delle precedenti amministrazioni, le quali non seppero frenare gli abusi e non seppero avere un criterio esatto dei loro doveri, rinunciando alla tutela degli interessi generali della cittadinanza. Si apprende con piacere che i Sig. macellai si siano finalmente mossi a compassione di noi, e grazie all'energia addimostrata dall'ultimo Assessore delegato per la pulizia urbana, siansi obbligati a fornire una vaccina per settimana. Te Deum laudamus. Se non è un progresso proporzionato ai tempi per una popolazione di 15 mila abitanti, è almeno tanto, quanto basta per poterci in certi modi dichiarare contenti.
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Un luttuoso avvenimento contristava la nostra città nelle ore pomeridiane del 29 passato mese.
Un giovane e laborioso contadino, per nome Giuseppe Pedace, che avea anche servito da non molto tempo nell’esercito, forse un po’ brillo, si mise a far di scherma col coltello, in mezzo ad amici, e così celiando, colse leggermente nella mano un tal Toscano. Costui, dapprima non ne fece alcun conto, ma pensatoci un po’ sopra, ritenne forse che non istava bene di tenersi quella scalfittura, ed incontratosi poco dopo col Pedace, proprio nella Piazza del Popolo, gremita in quell’ora di gente, gli vibrava una coltellata al cuore, che dopo pochi istanti lo rendeva cadavere.
Ne seguiva poscia una fierissima lotta tra il feritore, alcuni parenti del Pedace ed i RR. Carabinieri, e questi, malgrado i loro erculei sforzi, sarebbero rimasti sopraffatti senza la energica cooperazione del Brigadiere Forestale, Sig. Farao Antonio e delle guardie, Gambini Cipriano e Guglielmelli Costantino.
Mentre rendiamo le debite lodi agli agenti tutti della pubblica forza, per essere riusciti ad assicurare alla giustizia l’omicida Toscano, facciamo voti che i nostri concittadini siano meno corrivi al vino ed al coltello.
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Il giorno 30 Aprile si spegneva in Rossano una nobile e gentile esistenza. Saverio de’ baroni Toscano -Mandatoriccio, il benemerito e distinto patriota, non era più.
L’intera Città, senza distinzione alcuna, piangeva la perdita di un uomo onesto. E tale fu Saverio Toscano, perché nella sua vita adempì ai doveri di uomo e di cittadino, cioè i doveri assoluti, universali della coscienza, i dettami della ragione, le leggi morali dell’umanità, e le civili del suo paese. Egli quindi non solo fu uomo onesto, ma fu anche l’Uomo giusto, perché seguendo l’impulso della propria natura, non ingannò nessuno. Piace alla tua nobile Anima, illustre estinto
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Chi non conosceva in Corigliano il Sig. Cesare Chiodi? Nato in S. Demetrio Corone da un civile parentato, dopo aver passato mille traversie della vita e combattuto per l'indipendenza della patria col grado di Capitano di Artiglieria, veniva a stabilirsi fra noi, e quantunque di mente esaltato e dedito ai liquori pure egli facevasi amare da tutti.
Dotato di una sufficiente istruzione procuravasi il necessario prestando l'opera sua nella qualità di pubblico scritturale. Nessuno poteva prevedere la triste fine di lui! Sabato 5 corrente, veniva trovato cadavere, con diversi colpi di scura, in mezzo alla strada provinciale che mena a Rossano e finora non si conosce chi sia stato l'autore di così infame misfatto. Povero Chiodi tutti ti hanno compianto!
Gerente responsabile gratuito, Vincenzo Bellucci
– Corigliano Calabro – Tip. Del Popolano
Il Popolano n. 10 del 30 maggio 1883
Anno I. Corigliano Calabro 30 Maggio 1883 Num. 10.
IL POPOLANO
GIORNALETTO QUINDICINALE
AVVISO
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(L’avviso è rivolto a coloro, definite dal Dragosei, FACCE TOSTE, che ancora non hanno pagato l’abbonamento al giornale. Pertanto non utile ai fini di questa pubblicazione)
La bonifica del Crati
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Più volte e molti anni fa, si è trattato di questo argomento interessantissimo ed affatto vitale per la nostra Provincia; anzi, giova dirlo, i nostri Deputati, On. Miceli, Tocci e Del Giudice, non trasandarono di caldeggiare, com'era lor dato, la cosa. Però finora,more solito, nulla più che nulla si ottenne; e venner fuori quelle tali promesse ed assicurazioni, che lasciano, sempre il tempo che trovano; tantocchè, ancora un'altra volta di più, abbiamo dovuto persuaderci che, in fatto di benefizi, questa Calabria nostra è stata e sarà sempre alla coda. Di quanta utilità, di quanto generale benessere sia per riuscire la bonifica del Crati a queste popolazioni, non v'é chi nol sappia; senza dire che quest'opera, come quelle che s'ispirano non ai vantaggi esclusivi di un paese, ma di un intero popolo, basta, da sé, ad onorare una provincia, una nazione. La storia ci ha tramandato i monumenti del periodo dei re dell'antica Roma e dell'impero; e, forse, questa del Crati non avrebbe, per mò di dire, l'importanza di quella che, nei luoghi bassi e paludosi dell'eterna città, nel Velabro e sulla Valle del Circo, compì il più celebre dei Tarquinii?
Più che strade rotabili, più che immani teatri ed altre opere ( all'ordine del giorno ) di pubblico scialacquo, la bonifica del Crati è reclamata dai bisogni presenti della vita industriale, agricola e commerciale della nostra Calabria. E l'argomento, con maggiore larghezza di vedute e di cognizioni scientifiche trattato, basterebbe ad ad dimostrare come noi altri siamo poco bene considerati, nella ripartizione de' nazionali vantaggi. Or, in vero, chi non sa che con essere ridotto ne' propri e giusti confini il Crati, non si avrebbero a lamentar le infinite febbri palustri, che snervano il contadino di quella feracissima valle e ne accorciano i giorni dell'esistenza? Chi non sa che l’agricoltura allargherebbe il suo campo, al presente abbastanza ridotto e minacciato ognora più, a causa de' diboscamenti e delle molte colture di montagna, per lo più infeconde?
Bisognerebbe vederlo irato il fluvio nume; e, se la fantasia dei poeti ne canta le onde bionde, che ravvolgono i tesori di Alarico, certo le acque infuriate non la risparmiano a’ più fertili giardini circostanti, agli ubertosi terreni, a’ lavori del povero agricoltore.
E sarebbe la bonifica del Crati, di certo, una diga alla sempre più crescente emigrazione de’ nostri più validi e laboriosi contadini; i quali, tra le altre cause, spesso, per mancanza di lavoro e di discreti terreni da coltivare fuggono, disperati, dalla terra natale; incerti di quanto sia loro per avvenire, in terra straniera, pur di metter su una qualche moneta e sciupando la propria forza, nelle più dure prove; e svergognando la dignità della Patria, con i cenci e le privazioni, onde sono circondati.
Né è, poi, a dire quanto sarebbe per avvantaggiarsi la nostra Cosenza. Regina degli antichi Bruzi, ed ora il cuore di centinaia di casali, che ne sono le vene; è ella, in gran parte della sua cinta murale, minacciata dal torbido elemento, ed invasa da quelle malattie, che derivano da' sottoposti stagni. L'opera, dunque, della bonifica del Crati avrebbe seri vantaggi, e che noi, a volo di uccello, abbiamo toccato: igienici, agricoli, sociali.
Ciò detto, non staremo a dichiarare quanta consolazione recò all'animo nostro la notizia della sorella AVANGUARDIA, entusiastica, parimenti, di quest'opera grandiosa «di essere prossimi ad intraprendevi i lavori della bonifica su detta. Ci parve sognare: tanta si fu la contentezza. Ma vie più grande fu il nostro dolore, quando, di punto in bianco, nel N. 26 della stessa, apprendemmo, da una corrispondenza da Roma, che tutto era ancora un pio desiderio, giacchè «il ventilato progetto, che a più tempo, avrebbe dovuto essere compiuto, non era né anche arrivato al Ministero dei lavori pubblici ». Santi Numi! E di chi la colpa di questo ritardo? E perché tanta negligenza, in affare di estrema importanza per la nostra Provincia? Noi, non usi ad aggravare la mano sulla soma dei torti altrui, diciamo solo che un sacro dovere è quello di promuovere il pubblico vantaggio, massimo se questo è reclamato dalla benefica azione della giustizia. Che si tarda, adunque? Perché non si fa di tutto, per compiere lo studio di tale progetto? A tale opera siano rivolte le mire della Provincia e della stampa; mentre noi, Popolani e sempre teneri del bene del popolo, uniamo la nostra voce a quella della sorella nostra l’AVANGUARDIA, per dire che si faccia presto. All'Uffizio Tecnico il resto; e sappia che, adempiendo un dovere cittadino, il più sacro che mai, avrà ben meritato delle nostre popolazioni e della civiltà presente, in nome di cui, a quell'Ill.mo Direttore, rivolgiamo le nostre più fervide preghiere.
NOSTRA CORRISPONDENZA
Riceviamo e pubblichiamo:
Nel Num. 8 del POPOLANO leggesi una certa corrispondenza da Rossano, la quale deplorando la vecchia storia della musica, ficca nientemeno come distruttore di essa il bravo Cancelliere di questa Pretura Sig. Domenico Rizzo, il cui galantomismo nessuno oserebbe mettere in dubbio.
Senza occuparci del fatto della serenata, che fu riconosciuto una vera leggerezza, tanto che il Sig. Rizzo, confermando sempre più la sua bontà, covrì col velo della desistenza ogni usatagli impertinenza, vogliamo affrettarci assicurare i lettori del POPOLANO, che il Rizzo predetto fu sempre estraneo alle vicende del paese, a cui non prese alcuna parte; che fu ed è intento solamente ai lavori del suo ufficio, che adempisce con zelo ed operosità: e la stima pubblica, che egli meritatamente gode, non solo è di valente funzionario, ma di ottimo galantuomo.
Con ciò crediamo aver messo i fatti nel vero loro posto.
Rossano 12 Maggio 1883.
Egregio Sig. Direttore
Sunt reddenta palamque clam poneantur.
Majora, est gratis, rendere dona datis.
Non possiamo passare sotto silenzio alle infamanti e vigliacche insinuazioni dell’ex tesoriere, il quale è vecchio volpone (ma ben presto cascherà nella trappola), per non sottoscriversi invece del figlio, cui non si hanno da fare appunti; se non avesse urtato la suscettibilità personale, che per altro ci conosciamo sufficientemente in paese per intrattenerci dei suoi fasti e metamorfosi, crediamo forse d’averci dimenticato il passato!!!!!
Solo diremo che, quanto valgono le sue discolpe lo si vedrà tra poco, in cui gli sarà notificata sentenza emessa dalla Corte di Catanzaro, con la quale lo si condannava a pagare al Comune Lire 4000 … e quando la Corte dei Conti, sedente in Roma, emanerà il suo savio verdetto. Un bando per la vendita di due fondi avverrà tra giorni, per non aver versato Lire 2090 e cent. Ha un bel arrabbiarsi, cercando d’ingarbugliare il Consiglio(come è suo solito); ma questo non è tanto grullo per farsi abbindolare con i suoi lezzi, quantunque gli è stato troppo indulgente per avere indugiato finora a costringerlo a pagare, ma il redde rationem non è lontano. La menzogna ha le gambe corte, e la verità va sempre a galla.
In rapporto poi della disperazione, similia similibus e tra non molto vedremo chi ha bisogno di commiserazione e compianto «se pur si troveranno delle Prefiche» Il tempo è maestro dell’opera e ride bene chi ride l’ultimo. Chi vivrà, vedrà.
Riguardo, inoltre, a romperci il Collo, padronissimi; non solo il collo, ma le costole e la gobba puranco. Non v’era bisogno vomitar tanta fetida bava.
Per non seccare la S.V. Signor Direttore, e tediare gli abbonati, promettiamo di non dir più verbo; ci scagliassero pezzi di Cielo e qualunque diatriba, non addiverremo giammai a si basse polemiche con siffatti vermi, che meritano disprezzo e commiserazione nel contempo.
Il pubblico ci conosce abbastanza e ci giudica da magistrato imparziale. Ci riserberemo a tempo e a luogo ed a Visiera scoperta di narrare i fatti, e non mai arzigogolate fandonie, per illudere i gonzi, più chiari della luce del dì; sfidando chiunque a smentirci.
E questo fa sgabel ch’ogni uomo sganni.
Longobucco Maggio 1883
Pel Rompicollo
Coccovello Faccionuzza
PUBBLICA ISTRUZIONE
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Scuole Serali
Sentiamo, nel pubblico, un vivo malcontento per il difetto di una seria scuola serale in questo paese, che conta oltre 14 mila abitanti. In verità, non possiamo che far eco alle giuste lagnanze di una classe di cittadini, la più laboriosa e, per conseguenza, la più benemerita; ma, ahimè, assai trascurata, anzi dimenticata per la parte dei diritti che le competono! Essa è la classe dei contadini, mercé la quale i ricchi sono ricchi, e si procurano tutti gli agi della vita ed i mezzi più efficaci per educare i loro figliuoli. In ogni altra parte, i contadini si hanno in maggior conto che non da noi. Ovunque si studia il modo più acconcio a poterli istruire, perché ovunque domina la persuasione che l'istruzione fa il buon cittadino per la patria, per la famiglia e per il padrone, se a servire un padrone è destinato.
Se diamo a coltivare due zone di terreno di eguale superficie e della stessa natura e bontà a due contadini, scegliendone uno fra i più intelligenti e uno fra coloro che non posseggono se non la sola forza materiale del braccio, quantunque entrambi analfabeti, chi di loro due farà maggiormente fruttare la zona assegnatagli? La risposta non può essere dubbia.
Ora, diamo ad entrambi un'istruzione; che cosa ne avverrà? Il primo riuscirà bravo, ed il secondo, che non sapeva valersi che del solo braccio, ne saprà almeno quanto ne sapeva l'altro dianzi.
Assodato questo principio, dobbiamo convenire eziandio che, coll'istruire i contadini, avremmo generalmente coltivatori mediocri, e fra essi i buoni, i bravi e gli ottimi, come fra soldati istruiti e disciplinati, i caporali, i sotto ufficiali e gli ufficiali.
Mettere il contadino in grado di leggere ed intendere un libro di agricoltura è quanto sì vuole.
II contadino non può frequentare le scuole diurne, perché fin da tenera età è obbligato a guadagnare il proprio sostentamento, e non di rado quello di numerosa famiglia; quindi la necessità di una scuola serale, la quale, per essere scuola, deve assolutamente aver per base la serietà. Ed a ben ragione dicevamo, e sosteniamo, non avere in Corigliano una seria scuola serale; poiché vi può essere serietà se non vi è un locale ad hoc, fornito degli arredi più necessari, come sarebbe una lavagna, delle panche e sufficiente illuminazione?
Ecco la prima ragione che non fa frequentare la scuola serale; imperciocché la serietà nella scuola è come il frontespizio di un edificio; ed anche il contadino sa discernere il serio dal ridicolo, dalla corbellatura.
Tralasciamo di parlare di altre cause, perché non è nostro intendimento di rilevare i difetti delle persone, ma quelli delle istituzioni.
Ci rivolgiamo quindi alle autorità competenti, perché provvedano a rimuovere questo difetto dal nostro paese, il quale, sotto ogni aspetto,non dovrebbe esser secondo ad altri meno importanti, con detrimento di dignità e d’interessi comuni.
Siamo tentati anche di richiamare su questo fatto l’attenzione del solerte Provveditore agli Studi della Provincia, affinché si compiaccia prender conto se la scuola serale si fa, dove, e come si fa.
Amen
COSE NOSTRE
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Consiglio Comunale
Col 25 del volgente mese, sì chiuse la sessione ordinaria del nostro Consiglio, che fu, a dir vero, poco proficua; tanto nell’interesse generale del paese, che in quello del Comune. Ad eccezione di quanto fu deliberato per le recenti usurpazioni dei demanii e per stigmatizzare l'opera del Leonetti, nonché per chiedere ed ottenere il pareg-giamento del nostro Ginnasio, possiamo affermare che il Consiglio non si occupò di altra cosa importante.
La sessione di primavera è veramente per se stessa sterile, mancando in essa la trattazione del Bilancio, che rende la sessione autunnale più animata. Però la presentazione dei conti dell'esercizio precedente, avrebbe potuto anche in questa fornir materia ad utili discussioni. Se di essa il Consiglio si fosse occupato, avrebbe potuto facilmente formarsi una chiara e distinta idea dello stato finanziario del nostro Comune che, da più mesi, versa in gravi ristrettezze. E non sappiamo proprio comprendere come, conoscendosi pubblicamente questo stato deplorevole di cose, non una voce si fosse fatta sentire nel Consiglio per apportare un rimedio, perché tutti almeno avrebbero potuto conoscere le cause di questa continua perdita di danaro. Dovea però la Giunta informare il Consiglio delle difficoltà della presente situazione, ed era dovere del Consiglio di provvedere alle necessità della Cassa. Ma nulla si fece, perché, a quanto ci si dice, anche la giunta ha la sua parte di colpa, s'è vero che, fino a pochi giorni dietro, il Cassiere Comunale non avea ricevuto copia del Bilancio, per mancanza di alcuni alligati. Da ciò deriva che il male, di per se stesso grave, si accresce ancora per colpa degli Amministratori. Non diciamo altro, confidando che si faccia senno, e non ci sia d'uopo ritornare sul doloroso argomento.
Si lamenta, anche generalmente, che il Consiglio, durante una intera sessione, poco ricca di affari, non abbia potuto provvedere su di alcune dimande di cittadini, parecchie delle quali presentate da più anni! Non sarebbe stato per certo un gran lavoro; bastava una sola seduta per discuterle tutte; eppure questa soddisfazione non si è voluto dare, e, Dio sa! quando gl'interessati potranno averla!
I Signori del Consiglio dovrebbero però ricordare che si sta a quel posto per l'interesse di tutti, e non soltanto per quello di chi sa meglio raccomandarsi.
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Diamo, con tutta riserva, la notizia che l'operazione quotistica del Sig. Moisè Leonetti non ha ottenuta la sanzione sovrana. Per questa ragione egli si trova in grande imbarazzo; e si dice che un suo potentissimo fautore (sic) di Corigliano siasi messo in giro per covrire di firme una petizione al Ministero in favore del nostro benemerito Commissario ripartitore, in onore e gloria del quale si è cercato organizzare invano anche una dimostrazione.
Povero buon senso tu sei morto affatto!
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Da persona non sospetta ci si riferisce che la Commissione di vigilanza per le opere del nostro camposanto, abbia non ha guari constatato, che gli appaltatori, contrariamente a quanto è stabilito nel Capitolato d'appalto, si son provvisti in quel di Rossano di una gran quantità di calce giudicata inservibile, per la mancanza di quei principii chimici necessarii ad ogni cemento per la presa e per la solidità della fabbrica. Si aggiunse pure che, a nascondere codesta frode, essi hanno osato covrire quella con un leggiero strato di calce bianca di Corigliano, calce che in tutti i lavori di muratura di detto camposanto avrebbe da essere adoperata. Se il fatto che noi accenniamo sia vero, come abbiamo ogni ragione di credere, pregheremmo l'Amministrazione Comunale di adottare all'uopo i più energici provvedimenti; e ciò anche perché quei signori si guardino bene dal far lamentare per l'avvenire simili inconvenienti.
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Il caldo comincia a farsi sentire ed esso ci fa ricordare di qualche cosa che molto interessa la pubblica igiene, e forse più, che non i porci. Per non disgustare i nervi olfattori di qualche schifiltoso, ci basterà accennare i luoghi Falcone, Architello, S.Martino ecc. sento sicuri che l’Assessore della Pulizia ci avrà ben capito, come ci capiranno tutti coloro che, transitando per detti luoghi, son costretti ad otturarsi le narici. Ed al detto Assessore, che ha tanto a cuore la nettezza e l’igiene, raccomandiamo di far vigilare le Guardie Municipali, acciò si allontani dalle adiacenze della Piazza del Popolo e da altre pubbliche strade il vezzo che ànno taluni di appestare la gente, nelle prime ore della sera, col gettare delle materie luride e assai poco gradevoli. Piace tanto un po’ di fresco alla sera; ed oltracciò tale pratica è vergognosa pel decoro stesso del paese. Un po’ di vigilanza vorremmo anche nelle beccherie, ove soglionsi tenere pelli, sego ed altro, per cui essi son fonti di miasmi dannosissimi alla salute. Non diciamo nulla del pubblico macello, facendocisi sperare la prossima costruzione del nuovo, in altro punto più lontano dall’abitato. In ogni modo, fino a che dovrà stare l’attuale, bisogna che sia tenuto pulito, e si faccia spesso lavare. Confidiamo che queste nostre preghiere saranno soddisfatte.
Gerente responsabile gratuito, Vincenzo Bellucci
– Corigliano Calabro – Tip. Del Popolano
Il Popolano n. 11 del 15 giugno 1883
Anno I. Corigliano Calabro 15 Giugno 1883 Num. 11.
IL POPOLANO
GIORNALETTO QUINDICINALE
POLITICA E GOVERNO
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Nella tornata parlamentare del 9 decorso, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rispondendo ad una interpellanza dell'on. Severi, sottolineava l’illegalità e gli abusi commessi da pubblici funzionari, dipendenti dal suo ministero, per i fatti di Arezzo, con quella elevatezza di stile che tanto lo distingue, e lo rende massimo tra gli ottimi uomini parlamentari. Disse che il vero concetto, cui deve ispirarsi un governo assennato e liberale consiste nel dividere la politica dall'amministrazione, e nel far sì che i Prefetti adempiono al loro dovere, e si adoperino a far rispettare le leggi da tutti, senza distinzione di partito. Ma, comunque l'eco dei pubblici lavori siasi più volte ripercossa nell'aula di Momtecitorio, per bocca di deputati onestissimi, i quali, mossi da vero sentimento patriottico, fecero rimarcare i danni gravi che derivano dal regime parlamentare al regime costituzionale e legale; pure l'on. De Pretis, sebbene consapevole anch'egli di questa verità, nulla ha per ora praticato che valga a far cessare questo stato che guasta i due fondamenti del vivere e che fa rimpiangere i tempi della tirannia borbonica. Allora almeno si aveva miglior concetto della giustizia, e la magistratura era sottoposta ad una commissione censoria, formata di distinti funzionari dell'ordine amministrativo dell'ordine giudiziario, che vantava la capacità e la moralità del magistrato.
Oggi, invece, sono presenti magistrati deboli, ignoranti, senza coscienza e senza onore.
Lo scambio di protezioni e di favori a prò dei potenti ed a danno dei deboli; l'aiutarsi a vicenda nelle occorrenze; la consorteria tra caste privilegiate e persone affiliate all'istesso partito, ha fatto penetrare nel popolo la convenzione, che le cose più giuste non si ottengono senza l'appoggio di un protettore, il quale, di frequente, è il deputato del proprio collegio; e, che libertà, eguaglianza,dritti di petizione e qualsiasi altra guarentigia consacrata nel vigente statuto costituzionale, sono amara ironia, parole vuote di senso — Anche, nell’elezioni, la ragione politica, il più della volte in opposizione alla morale ed alla giustizia, estende la sua malefica influenza sulla libertà del voto, e determina la scelta del rappresentante del proprio collegio — L'elettore non ignora che il deputato deve limitare il proprio ufficio a votare le leggi ed a tutelare gl'interessi generali dello stato; ma conosce pure che a questo mandato ben poca importanza si annette, ed invece molta se ne dà a quel potere usurpato, che fa torto più a chi lo concede che a chi lo pretende; potere che rende il deputato vero despota del proprio collegio. Si fa, dunque, trascinare dalla corrente, e dà il suo voto a persona solerte ed influente, che sappia fare gl'interessi locali e suoi, preferendola ad altra più meritevole che non saprebbe mai scendere, dall'alto del suo ufficio, al basso mestiere del sollecitatore e dell'affarista.
In tutte le provincie del regno, si sentono i tristissimi effetti di quest'assurdo sistema, e massime nella nostra, più infelice e trascurata delle altre in fatto di governo. In essa non mancano i D. Rodrighi e gli Ezelini, con tutte le barbarie medioevali, cumulate ai vizii peggiori della civiltà in piena decadenza — Ivi le ingiustizie e gli abusi sono elevati a sistema, e l'imperio della legge cede il suo posto all'intrigo, alla camorra e a tutte le altre imperfezioni dei governi peggiori.
Il popolo intanto, che ha fatto tanti sacrificii, per l'unità e indipendenza italiana; che, volentieri, è pronto a spargere il suo sangue, su i campi di battaglia, per l'onore e la grandezza della patria; che divide col fisco il prodotto dei suoi lavori, e paga, senza muoverne lamenti, tributi e balzelli di ogni specie; che à un effetto illimitato e ben meritato pel glorioso Sovrano regnante; il popolo, ripetiamo, è stanco oramai di tante sofferenze, e reclama un governo, che sia forte, non per aiutare i numerosi tirannelli ad opprimere e comuni e provincie, ma per usare della sua autorità e della sua potenza, per attuare l'eguaglianza tra cittadini — II popolo vuole che i signori ministri, pria di riformare le leggi esistenti che sono mediocri, se non buone, pensino a riformare loro stessi, ricordando che sono al potere non per fare gl'interessi di un partito, ma per procurare il bene della Nazione. Il popolo non smette alcuna importanza, che il governo sia di destra o di sinistra, di centro o di dissidenti, convinto com'é che i partiti sono la rovina dei popoli, quando non sono guidati dalla santità dei principii : domanda, invece, un governo nazionale, che sappia scartare il cattivo personale dalla magistratura e dalle altre amministrazioni dello Stato; che renda responsabili dei loro atti tutti gl'impiegati senza distinzione di gerarchia; che il deputato adempia al suo elavato ufficio, senza fare il sollecitatore e l'intrigante; che si escluda, in fine, la maledetta politica dall’amministrazione e dalla giustizia —
Avrà il presente Gabinetto la forza di attuare codeste riforme, e soddisfare le comuni aspirazioni? Ne dubitiamo pur troppo, perche ci costa che tutt'i ministeri di sinistra, nei sette anni di governo, hanno cercato di estendere, per quanto più possibile, le file del loro partito, lasciando che il male progredisse, senza mai pensare ad apportarvi riparo; e, perciò, difficilmente, saranno disposti ad estirparlo.
PUBBLICA ISTRUZIONE
Il Provveditore agli Studi, signor Mario Baggiolini, pochi giorni sono, ha visitato le scuole di questo Comune. Vecchio nella difficile sede, accurato, come pare, nelle sue ispezioni, ha dovuto solamente, scorgere il male ed il bene di ciascun insegnamento. Ma no il male, no, anzitutto, sig. Provveditore, qui,in Calabria, con tutta la buona volontà, con tutto il fecondo ingegno sortito da natura, non si può essere, pienamente alla pari dì certi altri luoghi, che, prima di noi, hanno potuto godere dei frutti della libertà. Ci sono molti ostacoli da combattere, per il trionfo della pubblica istruzione. Principalmente bisogna migliorare le condizioni materiali della scuola e degl'insegnanti; ché a' miglioramenti materiali non tarderanno a venir dietro i morali. Anche se nelle scuole della nostra Provincia ci sono degli inconvenienti, questi andranno, pure, a finire; perché le istituzioni benefiche e sante s'impongono da sè, l'un di più che l'altro. E sta a Lei il promuovere, quanto più può, il bene della scolaresca e degli insegnanti, con saper trovare que' tali mezzi materiali, indispensabili al lieto avvenire: fare arredare le scuole, migliorarne i locali, mettere in attuazione l'istruzione obbligatoria, rendere meno tristi le condizioni dei poveri insegnanti mal retribuiti e poco curati. Ed ora, dopo la figura retorica, permessa all'amore del proprio paese, che, poeticamente, dicesi carità dei patrio loco, non avremo la sciocca pretesa di dire che le scuole di Corigliano siano superiori a tutte le altre della Provincia; ma, invece, diremo che l'Ill.mo, sig. Provveditore, a quanto ci si disse, trovò in regola le scuole elementari maschili, sebbene le femminili gli avessero dato luogo a qualche richiamo. Diremo che ha trovato in piena regola le scuole del Collegio Garopoli, per ciò che riguarda l'istruzione e la disciplina, sebbene avesse fatto qualche osservazione, benigna per altro, intorno alle condizioni materiali dell'Istituto. Tant'e' le cose umane non sono perfette, e, a questo basso mondo, si sa che qualche neo si trova, anche nelle opere più belle. Chi, del resto, voglia considerare gli sforzi di questo Municipio, per avere un istituto ginnasiale, e i progressi fatti e i risultati ottenuti, durante la direzione dell'egregio prof. G. Cadicamo, che da 16 convittori l'accrebbe a 120 il numero, e non trasandò di fare ogni abbellimento materiale all'edificio, pur troppo malandato; avrà a convincersi che il nostro Collegio è un'istituzione, che onora Corigliano e la Provincia, e bene merita gli incoraggiamenti delle prime autorità scolastiche.
ASMODEO
PARTE LETTERARIA
La gallina
(canto della vecchierella)
Dedicato al mio illustre compaesano Professore Vincenzo Julia
Conta sette anni la gallina mia,
E mi fa l'uovo grosso, ogni mattina.
Alla malora la fortuna ria,
Se meco viverà la mia gallina!
Io l'ho più d'una vacca e più d'un toro:
La gallinella mia vale un tesoro.
Mentre pensosa io tesso nel telaio
Ella mi canta la buona fortuna; ,
Oh, se aver ne potessi almeno un paio,
La contenta sarei più di ciascuna
Delle mie pari, che nessun lo sa
Come ella sappia far- ca-cara-ca!
Prima che spunti il dì, la mattiniera
Bisbiglia pian pianino, e scuote l'ali;
E chetamente,quando vien la sera,
Sale ad appollaiarsi in su pei pali
Del mio telaio: e, mentre i sonni a torme
Vagando vanno, io tesso ed ella dorme.
Ed ella dorme, e sogna il giorno nuovo,
Sogna che becca l'orzo e la cruscata;
Che sotto il letto partorisce l'uovo...
Oh, quanti sogni fa la fortunata!
E,mentre i sogni van vagando a torme,
Io tesso nel telaio, ed ella dorme.
Come mi il cor, se il mio pensiero
Corre ai ladri, che stanno alla campagna!
Vadan la mala volpe e il nìbbio nero
Lungi da questa mia dolce compagna!
Farne speri, giammai,l'infame razza
Preda, chè dessa è buona, e non è pazza.
Io prego sempre la madonna santa,
Che guardi d'ogni mal la mia gallina;
Che privar non mi voglia di cotanta
Preziosa e carissima vicina;
Che un giorno assieme alla gallina mia
Morir mi faccia, alfine: e cosi sia.
Michele Capalbo
Banda Musicale del Popolo
Domenica scorsa, questa Banda Popolare, per far cosa gradita ai Cittadini di Corigliano, principiò a suonare in Piazza del Popolo, dalle 8 p. m. in poi, regalandoci il seguente programma:
1. Michelangelo, Marcia
2. A. e Follia, Mazurka
3. Pout-Pourris
4. Faust, Marcia nell’Opera
5. Italia, Marcia
Alla fine di ogni pezzo, vi furono vivissimi applausi, accompagnati da getto di confetti.
Nel dare anche noi un bravo agli egregi giovani componenti la Banda, i quali, in verità, senza nessuna retribuzione, fanno di propria volontà, ciò che altri, per obbligo, dovrebbero fare, li preghiamo a voler continuare a suonare in Piazza, ogni Domenica, e farci sentire sempre nuovi pezzi di musica.
COSE NOSTRE
-«o»-
Pubblichiamo volentieri la seguente lettera del Signor Eugenio Spezzano, con la quale questi, rassegnando le proprie dimissioni d'assessore municipale, ne spiega le sue ragioni. Ci asteniamo da qualsiasi commento, lasciando ai lettori libertà di apprezzamenti, non senza, però , far notare che la condotta del capo dell' amministrazione non ci sembra delle più corrette. Del resto sulle dimissioni del Sig. Spezzano, la Giunta perde un uomo operoso ed intelligente, che seppe sempre fare il proprio dovere e mantenne alta la bandiera della giustizia; a lui nulla si può rimproverare, nel breve periodo che fece parte dell’Amministrazione.
Ecco la lettera:
Corigliano Cal. 13 Giugno 1883.
Egregio Sig. Sindaco,
Non essendosi finora provveduto dall'Autorità che si ritiene competente, a che fossero repressi gli audaci attentati degli usurpatori delle proprietà comunali; ed apparendo manifesta l’idea dell’Autorità sopradetta d'infliggere a questa Municipalità umiliazioni senza pari, mi veggo costretto a non potere più accettare la parte di responsabilità che potrebbe a buon dritto cadere su di me, continuando nel posto conferitomi dalla fiducia dell'onorevole Consiglio.
Altro motivo che mi spinge a tal passo si è il non aver potuto vedere rimossi stipendiati comunali insufficienti, e severamente puniti altri, promotori di pubbliche manifestazioni lesive alla dignità del Consiglio, ed agl'interessi dei cittadini.
Colgo poi quest'occasione per dolermi colla S. V. Ill.ma che non mi sia stato manifestato, in nessuna delle tornate ordinarie e straordinarie, alle quali sempre ho assistito, che da più mesi si erano incominciati importanti lavori di arginazione alle gorghe del Crati; perocché se l'avessi saputo a tempo opportuno, avrei indubbiamente spesa l'opera mia per fare osservare
1. Che il Comune doveva eseguire i lavori in parola col concorso di altri proprietari più di lui interessati.
2. Che trattandosi di un'opera che richiedeva la non lieve somma di molte centinaia di lire, di che fanno fede i mandati tratti finora per lire 513,60, poiché i lavori non sono ancora ultimati, si eccedeva il limite imposto alla Giunta dall’art. 128 della legge Com. e P.
3.Che le note relative all’arginazione di che trattasi, avrebbero dovute essere, volta per volta, ampiamente discusse ed approvate dall'Amministrazione, bandendo una buona volta il deplorevole sistema di non portare a conoscenza dell' intera Giunta tutti gli affari ai quali è chiamata a deliberare per ragioni di competenza.
Finora, animoso, fui sulla breccia del proprio dovere, credendo che, una volta o l'altra, si fosse impavidamente messo il ferro rovente sulle cancrene municipali; ma ora edotto dall'esperienza, reputo miglior partito rassegnare alla S. V. Ill.ma le mie dimissioni quale Assessore municipale.
Suo Devotissimo
Eugenio Spezzano
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Festa Nazionale - La nostra brava e patriottica Società Operaia celebrava la festa Nazionale splendidamente, da non essere seconda ad alcuna; anzi possiamo dire che, nel nostro paese, fu la sola che si occupò degnamente a solennizzare quel giorno, sacro alla Libertà, al nostro risorgimento ed ai nostri conquistati diritti di Uomini e di Cittadini.
La Sala Operaia fu il centro di unione, ed alle 10 a. m. precise, quasi tutti i componenti la Società erano uniti ad immensa folla di popolani, i quali, in bel ordine, con alla testa la Banda Popolare, al suono dell'Inno Reale, si portarono nella Chiesa di S. Maria Maggiore per assistere al Te Deum. Finita la cerimonia religiosa, furono distribuiti ai poveri 300 Kg. di pane, fra le entusiastiche grida di evviva all'Italia, al Re ed alla Libertà ed indipendenza Nazionale. In bel ordine ed in maggior numero, si fece ritornò alla Sala, ivi giunti, ad un segno del Sig. Presidente, unanime si rinnovava il grido di evviva al Re ed all’Italia.
La sera poi, le finestre della Sala, erano bellamente illuminate, e, nel dentro della stessa, vi erano riuniti i Socii. Di poi il Sig. presidente tenne un dotto e bellissimo discorso nel quale faceva vedere il perché eravamo obbligati a festeggiare quel giorno. Da quel giorno siamo liberi cittadini, e l’Italia da terra dei morti, ora è ricca ed è fra le prime nazioni del mondo. Il dotto discorso del Sig. Presidente, dottor Luigi Patari, fu interrotto da applausi, ed infine da Evviva alla Indipendenza, alla Libertà, all’Italia ed al nostro Re Umberto I. Al fine della marcia reale, si diede termine alla festa.
Due sole cose vogliamo notare. La prima con piacere, è che il nostro bravo Delegato di P. S. ed il solerte Maresciallo dei Reali Carabinieri gentilmente risposero alla festa, e furono nella Sala, quando il Sig. Presidente pronunciava il suo discorso; e, se non andiamo errati, abbiamo letto la soddisfazione ed il piacere in quel discorso bellissimo, e nell'osservare tanto ordine ed educazione nei figli del lavoro.
La seconda cosa la notiamo con dispiacere. Il Municipio ed i Consiglieri brillavano per la loro assenza; e dei notabili? Neppure uno!!!
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Forza Pubblica in Corigliano - Chi vorrebbe che il servizio di pubblica sicurezza, in un paese che conta oltre 14 mila abitanti è affidato a pochi soli carabinieri comandati da un maresciallo? Eppure è così.
La responsabilità di questo importante servizio pesa su cinque soli individui. Per quanta buona volontà si abbiano, e per quanto zelo adoperino nel disimpegno dei loro doveri vari e molteplici, non possono poi far miracoli. E’ merito di questi benemeriti cinque militari se in piazza, affollata com'è sempre, non si ànno seri reati di sangue, devesi alla loro vigilanza e al continuo del loro benché minimo riposo. Invero le perlustrazioni in campagna sono prescritte, si fanno solo se necessarie; come pure le corrispondenze nei giorni stabiliti. Poveri diavoli, come dunque si hanno da dividere? Per percorrere un territorio cosi vasto, anche a far partire ogni giorno due carabinieri ( e tutti giorni non si può fare per la ristrettezza del numero ) quanto tempo si impiegherebbe, e di conseguenza in una stessa contrada per quanto tempo non si vedrebbe la loro faccia? Resterebbero in tre, col maresciallo. Ora, uno in caserma non può mancare, perché non si è visto mai caserma di militari senza quartigliere. Agli altri due, cioè al Comandante la stazione e ad un carabiniere tutta la responsabilità del servizio di città; e su e giù, a girare per le sante strade, vicoli, e chiassuoli, senza un momento di riposo, senza mangiare e senza dormire, e sempre presenti, come la presenza di Dio. Ma che servizio possibile codesto?
Fortuna che l'indole dei Coriglianesi non è poi così maligna e dedita a delinquere, come, quei che stanno più su di noi, nelle città civilissime, vogliono che siano i calabresi. Sì, quei modelli di civiltà che si hanno ciascuno una guardia di P. S. alle calcagna, eppure fanno registrare nei giornali quotidianamente un non piccolo numero di reati e turpitudini d'ogni genere e specie.
Ma, se l'indole di questi cittadini non è malvagia, ciò non toglie però, che, per la scarsezza di forza pubblica, i pochi reati che vengono commessi, non si possano né prevenire, né impedire all'atto della perpetrazione. No, non si può pretendere che due carabinieri si trovino nello stesso momento dove uno ubriaco esplode un colpo di rivoltella, e dove un arrabbiato vibra una coltellata!
Si è gridato contro il Municipio accusandolo d'inerzia, perché, in occasione di nuovi impianti di Tenenze di carabinieri, pareva che non si occupasse di ottenerne una in Corigliano; ma il Municipio impegnossi; vi fu una delibera del Consiglio; sì scrisse, si scrisse, si scrisse.... e non si ottenne. Non si volle concedere dall'alto. Più e più volte, si fece istanza dal Municipio e dai passati comandanti la Stazione dei carabinieri per ottenere un sussidio di forza pubblica, un distaccamento di una sola compagnia di truppa; e non se ne poté mai ottenere mezza. Ma che modo di trattarci è mai questo?
È da sapersi ( e ciò va detto particolarmente ai Sig. Sotto Prefetto e Prefetto ) che anche in Corigliano abbiamo un Agente delle Tasse, un Ricevitore del Registro, un Manutentore dei contatori applicati ai mulini; ed in ogni entrata una simpatica casetta col felicissimo motto « DAZIO CONSUMO » e, che quindi si pagano, anche qua, le tasse di Fondiaria e Ricchezza Mobile; di Successione, di Registro, Manomorta ecc.; di dazio sulla macinazione dei cereali, di dazio sul consumo ecc.; ed è da sapersi pure che anche Corigliano manda in ogni anno buon numero di robusti giovanotti, la maggior parte sostegni delle famiglie, a servire la patria.
Forse le autorità non sanno queste cose? O, se le sanno, perché non concedono mai nulla, che torni a vantaggio di coloro, che hanno obblighi e doveri come tutti gli altri della penisola?
Intieri reggimenti hanno sede in paesi della stessa ed anche minore importanza di questo, è Corigliano non può albergare una sola, una mezza compagnia di soldati; non ha potuto ospitare un ufficiale di carabinieri.
É doloroso!
Perciò, veduta la necessità assoluta di un aumento di forza pubblica, ci rivolgiamo al Sig. Sotto Prefetto, al Prefetto ed alle altre autorità competenti, pregandoli di voler avere la degnazione di appagare i giusti desideri di un paese, che crede di rappresentare nello Stivale un punticino, il quale à bisogno non della spazzola sola, ma anche di un po’ di … grasso. É scusino i termini poco bene scelti.
Siccome abbiamo anche noi i nostri rappresentanti a Montecitorio, osiamo, in questa circostanza, implorare il loro interessamento, affinché ci venisse accordato il sospirato distaccamento di truppa.
Gerente responsabile gratuito, Vincenzo Bellucci
– Corigliano Calabro – Tip. Del Popolano
Articoli singoli
La futura nomina delle tre guardie Municipali
Finalmente!!! Ci voleva il Colera in Damietta perchè la Commissione sanitaria potrà nominare le tre Guardie Municipali del
nostro paese. Le premure continue de' Consiglieri, i reclami di tutta una popolazione di 15 mila abitanti, i fatti che avrebbero pure dovuto colpire, più di ogni altro, i componenti la Giunta si
(?)... avanti il favoritismo e le vive raccomandazioni di mantenere nel loro posto le tre guardie, che non facevano il proprio dovere. Ne occorre dire che riguarda la pubblica igiene, a nettezza
delle strade, a sorveglianza di generi messi in vendita al minuto, a tutto insomma quanto riguarda gli obblighi delle guardie, ci troviamo nel nostro paese in uno stato che non sappiamo esprimere
con parole; bisogna vedere per credere. Ma finalmente si è fatto un primo passo, che vogliamo augurarci condurrà al porto, e certamente si otterrà lo scopo, se l'Amministrazione, cui è al di là
la nomina delle nuove guardie, saprà resistere, tirandosi l'orecchie, alle raccomandazioni che già si sono incominciate a mettere in moto; e se nella scelta delle nuove guardie, saprà
farsi un bel programma, col quale s'invitino a concorrere tutti gl'intelligenti, onesti ed operosi, per scegliere il meglio fra il buono.
Il Popolano attentamente osserverà se il favoritismo calpesterà la Giustizia, e poi parlerà e dirà francamente il suo parere.
La neve
E giacché siamo a parlare del Municipio e delle cose municipali, ci facciamo arditi sottoporgli un quesito, che ci auguriamo voglia risolvere con la massima sollecitudine ... come al
solito.
La vendita della neve, perchè si fa con protezioni? E perché, quando manca, ci è la riserva per i soli pezzi grossi?
Mercoledì non ve ne fu affatto. Bella!! Mancare la neve di questi tempi e con questo caldo che soffoca!!!
Signori dell'Amministrazione, vi è qualche contratto che avete l'obbligo di far rispettare?
Il contratto vi è, ma ... ma ci vorrà forse il parere del Consiglio per lacerarlo, come si volea far lacerare quello del Camposanto, ove invece di calce, gli appaltatori, ànno liquefatto sabbia?
L'acqua manca
Avremmo voluto dire qualche cosa per la mancanza di acqua, specialmente nella piazza fondaco, ma ce ne asteniamo, perché vi si è provveduto in tempo.
Che l'acqua manchi per poco, passi pure; ma che dobbiamo beverla guasta, col colera in prospettiva, è cosa che non può passare. Sono circa tre anni che non si è potuto togliere l'ammazzatojo, il quale ce la regala con tutti quegl'infusorii che si sviluppano dagli avanzi organici in putrefazione, che ci vuole altro che colera!
L'Amministrazione conosce queste cose, e siamo sicuri che vi vorrà subito provvedere.
(Il Popolano n° 13 del 15 luglio 1883)
Cronaca Elettorale
Atteso l’imminenza delle elezioni amministrative nel nostro Comune, non possiamo dimenticarci dal pubblicare in apposito supplemento una lettera indirizzataci dall'egregio Sig. Guglelmo Tocci, che si occupa delle stesse, e che non fummo a tempo di pubblicare nell’ultimo numero del giornale. Ciò facendo, confidiamo far cosa grata, non solo ai nostri abbonati, ma a tutta la cittadinanza che conosce i pregi del Sig. Guglielmo Tocci.
Averlo nel nostro Consiglio sarebbe un gran bene pel paese, onde noi facciamo nuovamente voti che il suo nome esca trionfante dall'urna. Possiamo poi affermare con tutta coscienza (?)…(?) questa la prima volta che il Sig. Tocci (?)…(?) sul nostro giornale, e che tutto quanto scritto intorno alle operazioni demaniali di questo comune, fu opera della nostra Redazione e confermandolo ne assumiamo tutta la responsabilità.
Saremo gratissimi infine al prelodato Sig. Tocci, se, come ci promette, vorrà pubblicare sul nostro giornale qualche cosa su i bisogni di questa nostra Città; perché, competentissimo, com’è, delle pubbliche cose, non potrà che influire colla sua autorevole parola all'immiglioramento della stessa.
All’Onorevole Direttore del POPOLANO,
Egregio Sig. Direttore,
Alle gentili e cortesi provocazioni del penultimo numero del suo accreditato giornale, in cui propone la mia candidatura a Consigliere comunale della Città, e fa il dubbio, che è una domanda al mio indirizzo, se accetterei o no, tacere sarebbe per me atto di scortesia, imperdonabile verso di Lei che ha così benevoli parole per me, e di poca riverenza al pubblico, o quella parte, sia pur infinitesimale, del pubblico, che ricorda il mio nome in questa congiuntura di elezioni e muove lo stesso dubbio. E alla domanda fò la stessa risposta breve e senza reticenze e sottintesi che ho dato, parecchie sere fa, a molti stimabili miei amici nel casino di riunione dove conviene la parte più eletta di questa Città, che cioè accetterei non solo, ma gradirei il mandato se mi venisse conferito, ma che non vado più in là; né lo pretendo, né l'ho a male, nemmeno coi miei amici più intimi, se crederanno, per qualunque siasi causa, più' utile di rafforzare con altri elementi diversi la rappresentanza Municipale che deve ringiovanirsi coll'urna.
Anzi prego io i miei amici che non mi ripetino gli stessi rimproveri che mi si rivolsero da diverse parti nelle ultime elezioni politiche: ma come? non dirmi nulla? non aver confidenza negli amici che più ti stimano? etc. etc. Io risponderò come allora : Una volta ero Deputato al Parlamento, e lottai contro un partito a cui venne in mente di scalzarmi, e vi riuscì per pochi voti, e lottai perché trovandomi, come si dice, in ballo mi conveniva ballare; ora sono modesto campagnuolo, et bonum est nos sic esse; non ho ambizioni.
Gradirei di prestare la mia opera all'incremento di un Comune che a mio avviso ha il più bell'avvenire innanzi e verso il quale non possono esser dubbie le mie simpatie se n'ò dato la migliore pruova collegando le mie sorti alle sue, venendo in questo suo campo, dopoché gli ozii politici mi misero in libertà, a lottare pel miglioramento dell'industria, e qui passando la più bella parte dell’anno. Ma del resto si può portare la sua pietra ciascuno all'edificio comune, anche da semplici e privati cittadini, ed io apporterò pure il mio granellino, se fuori dal Consiglio potrò esporre i miei voti per quelle che a mio avviso deve assicurare la trasformazione graduale di questa Città e comune così importante. E lo farò in talune lettere che mi permetterò dirigere da lui stesso, on. Direttore, sotto la rubrica «Ciò che manca a Corigliano », se Lei userà la cortesia di accordarmi per questa un posticino nelle colonne del giornale. Non incomincio da ora perché ho abusato troppo di sua pazienza e perché una pubblicazione simile sarebbe di questi momenti una vera sollecitazione elettorale.
E giacché ci sono sull'argomento La prego di una testimonianza che mai, prima di ora, ho mandato o ispirato articoli del giornale. Mi serva ciò di risposta a taluni fuori della Città, i quali, hanno sospettato e manifestato a me il dubbio che avessi avuto parte su certe pubblicazioni che riguardavano l'Amministrazione del Comune, i demanii comunali e che so io — Quando io faceva la polemica giornalistica sottoscriveva i miei articoli e così sarà fatto ora.
Gradisca i sensi di mia osservanza
Corigliano 17 Luglio 1883
Suo Devotissimo
Guglielmo Tocci
Rossano: vincono i "democratici"
Le notizie che ci giungono da Rossano e sotto pubblicate, circa le elezioni amministrative avvenute domenica scorsa in quella città, sono di nostra piena soddisfazione; e non possiamo non rendere le debite lodi agli elettori i quali compatti votarono pel partito democratico-progressista, ossia popolare da ottenere completa vittoria.
Alla vigilia, anche noi di presentarci al...(?) per la scelta del quinto annuale dei consiglieri, ci facciamo di nuovo a manifestare a' nostri elettori che nei tempi che corrono e colle circostanze in che ci troviamo, è necessità assoluta di rivolgerci al partito democratico, unico elemento da cui potrà ottenersi un pò di bene e portarsi un rimedio ai molti mali che si deplorano. Si faccia cadere adunque la scelta sui migliori e più intelligenti di questo partito; e non avremo fatto un buco nell'acqua, come al solito, né tradito il nostro mandato, qualora ci specchieremo nel patriottico esempio dei nostri fratelli di Rossano.
Gentilissimo Signor Direttore
Prego la Vostra ben nota gentilezza di voler pubblicare nel vostro accreditato giornale quanto appresso :
In Rossano, Domenica 15 Luglio, vi furono le elezioni amministrative. Trionfò tutta la lista democratica-progressista, contro la quale si era presentata una lista moderata. Sopra 303 votanti ebbero voti:
AMARELLI PASQUALE voti 227
ARIANI EMMANUELE voti 194
ROMANO FRANCESCO voti 178
ROMANO PASQUALE voti 172
CARBONE GIUSEPPE voti 169
GRADILONE GENNARO voti 169
DE SIMONE CESARE voti 168
SERRA GIUSEPPE voti 160
SCARNATI MICHELE voti 133
La vittoria fu completa ed il paese è rimasto soddisfatto ed attende dai nuovi eletti quel miglioramento morale e materiale nell'azienda comunale da qualche tempo desiderato.
Certo di tanto favore Le anticipo i miei sentiti ringraziamenti.
Rossano, 18 Luglio 1883
Suo Devotissimo F.
(Supplemento al n° 13 del Popolano)
II cholera
II Cholera!... Oh! la brutta parola che ci è scappata dalla penna!... Il cholera è il fantasma che altera sensibilmente la immaginazione del popolino. Noi, per carità patria, non volevamo parlarne: son così strane le versioni che si danno dalla gente ignorante a siffatto malanno! Tutte le notti si sta in guardia, come se dei nemici in carne ed ossa ci stessero alle spalle. Le donne del popolino specialmente sono irremovibili - Dalle prime ore della sera fino al far del giorno, sempre in veglia, maltrattando in mille guise la gente che non crede alle loro ciarle e preferisce di riposare in pace - in tutte le strade, in tutti i vichi della città, si sentono gridi, urli, schiamazzi, e non di rado, colpi di fucili, spesso rivolti contro pacifici cittadini che passano - Un povero mugnaio, or son pochi giorni, fu accolto a fucilate, nella strada Cerria, mentre ritornava dal mulino per faccende del suo mestiere, e poco mancò non rimanesse freddato da una palla. Chi avrebbe mai creduto che sei lunghi secoli non sarebbero bastati a diradare quei pregiudizi, che costarono la vita a tante innocenti vittime, nei famosi tempi degli untori e della colonna infame?
E provatevi a persuaderli!... Tempo perduto; anzi passate il rischio di cadere nei loro sospetti. Le son cose, che in un grosso paese come Corigliano, non dovrebbero verificarsi. Ma che si fa! Son triste retaggio dell'ignoranza, in cui furon lungamente lasciate queste nostre contrade.
Intanto, voi che credete che il cholera venga di notte, a modo di fantasma dinnanzi alle vostre porte, diteci un pò: cosa finora vi è avvenuto di male? Oltre che la salute pubblica è buona in tutto il regno; nella nostra città può dirsi ottima, in confronto ai mesi trascorsi. Ah!... si, voi ci rispondete certamente che l'allontanamento del male si deve all'opera vostra, alla solerte vigilanza notturna. Mio Dio! che cecità, che ignoranza!
Ma via! finiamola una buona volta, miei cari popolani, con queste stupidaggini che ci degradano di fronte alle città sorelle: invece di danneggiare la vostra salute con queste continuate veglie, badate un pò meglio alla pulitezza delle vostre abitazioni, alla qualità dei vostri cibi ed a quant'altro può veramente contribuire al vostro benessere.
Continuando per questa falsa via, non dovrà dispiacervi se il Delegato di P. S. ed i RR. Carabinieri vi manderanno dinnanzi al Pretore per rispondere del disturbo che arrecate alla pubblica quiete coi vostri clamori; poiché le Autorità non possono permettere che perduri questo stato anormale di cose.
Confidiamo che queste nostre parole non vi giungano sospette, perché conoscete che noi vogliamo il vostro bene, e che saremo sempre con voi.
Tribuna del Pubblico
Riceviamo e pubblichiamo:
Pregiatissimo Sig. Direttore,
Perché si parla di me, e siccome io amo che niuno ardisca parlarne, mi sono determinato pubblicare alcuni fatti onde far conoscere la verità.
Ognuno conosce le mie peripezie finanziarie, nonché lo stato della mia salute, come pure da tutti si conosce come fin ora ho cercato di conservare intatto il mio onore, e che, per lucrarmi onoratamente un tozzo di pane, mi spinsi a fare una domanda a questo Sig. Sindaco, per essere ammesso come Guardia Campestre Comunale. Non l'avessi mai fatto! II Sindaco Sig. Francesco De Vulcanis e la Giunta volevano Giovanni Zampino, e cercavano in tutti i modi escludere me.
Finalmente il 2 Dicembre ultimo, fui ammesso col mensile di Lire 50, ma non fui chiamato a prestare servizio, tanto, che i due Consiglieri Comunali, Sig. F. Adimari e G. Filomena, vedendomi girovagare per la piazza, mi domandavano spesso perché non adempiva al mio dovere; e ad essi io sempre rispondeva: non ho ricevuto ancora nessun'ordine.
Per uscire da tale stato, mi portai in Rossano dal Sig, Sotto-Prefetto per esporgli le mie ragioni, il quale gentilmente mi rispondeva che io in Corigliano aveva dei buoni amici, i quali tra le altre calunnie che mi avevano addossate vi era anche quella che mi faceva comparire come omicidiario. E qui mi piace far notare, sempre in onore del vero, che l'omicidio avvenuto or sono 24 anni, quando io era ancora ragazzo, fu commesso dal fu mio padre, per una di quelle disgrazie a cui ognuno può incorrere. Per salvare mio padre dissi essere stato io l'uccisore. Tale verità è da tutti conosciuta; ma torniamo al fatto che mi riguarda e che m'incolpa.
Il 1. Gennaio 83, fui chiamato a prestar servizio effettivo e mi recai subito nella tenuta denominata Foggia, mi avvidi che vi erano degli scavatori, i quali scavavano la radice, appropriandosela indebitamente.
Non mancai di farne rapporto al Sindaco, chiedendo forza per cacciare gli scavatori e sequestrare la radice; feci ancora di più; ne parlai alla Guardia Forestale, Vincenzo De Luca, il quale mi prometteva braccio forte in parola, ma nei fatti fece sempre l'indifferente. Dopo 4 mesi, e dopo tanti rapporti, l'Amministrazione mandò tre Guardie Forestali per verificare il danno avvenuto, e ciò fu fatto quando gli scavatori, col loro comodo, avevano fatto il loro meglio e se n'erano andati. La conseguenza di tale inchiesta si fu che gli scavatori rubarono a man franca, ed io fui punito con essere licenziato dal comune, dopo avermi dato Lire 38 al mese invece di Lire 50, com’era stabilito. Da tali esposizione di fatti veridici ognuno può farsi un esatto giudizio, senza incolpare me di ciò ch'è avvenuto e se io fossi stato in altra condizione finanziaria, non sarei stato licenziato, ma mi troverei ancora al Comune come Guardia Campestre col mensile di L. 50.
Le invio intanto sig. Direttore distinti saluti, e ringraziandola infinitamente mi creda.
Suo Devotissimo
Giovanni Favaro
Le elezioni
amministrative
Le nostre elezioni amministrative, eseguite il 22 volgente, se non ebbero quel eseguite risultato che da noi si sperava, non possono dirsi però del tutto sbagliate. Il compito degli elettori era
veramente difficile; tanto più, perché non disciplinati, né tutti forniti di quel retto criterio che dovrebbe accompagnare il voto all'urna. Fra gli uscenti vi erano delle individualità che non
si potevano di leggieri scartare; numerosi erano dall'altra parte i nuovi candidati, e fra essi parecchi degni di sedere in Consiglio, sia per le rare qualità di mente e di cuore, sia pel
principio che rappresentavano.
Risultarono pertanto eletti quattro degli uscenti, e tre nuovi del tutto alla vita amministrativa. Ci duole non vedere fra questi l'egregio Guglielmo Tocci, che ben meritava di non essere a qualche altro posposto.
Gli eletti furono: Cav. Gennaro Compagna, uscente, Avv Alfonso Terzi, id, Filippo Bombini, id., Angelo De Tommasi, id., Graziani Francesco, nuovo, Varcaro Vincenzo, id., Guidi Giovanni,id
(Il Popolano n° 14 del 31 luglio 1883)
Il
Portalettere
Ed or che ci siamo, non possiamo più lungamente tacere per altro ancor più grave inconveniente, che interessa il pubblico, e per il quale ripetuti reclami ci giungono continuamente.
Trattasi del Portalettere, il quale, al par della Guardia Municipale e del Bidello delle Scuole, si allontana per due e tre giorni alla volta, e non di rado, per seguire la predetta Banda Musicale in paesi lontani. Ma le corrispondenze? ... Si lasciano placidamente dormire nel casellario postale! ... La è cosa questa da continuare?! E se un povero disgraziato aspetta una lettera che non ammette indugio? Se attende una somma che gli necessita? Se gli scade una cambiale? Se trattasi di un avviso di partenza immediata? Se aspetta merce, spesso corruttibile? Ebbene ... si dovrà aspettare il rimpatrio della Banda per avere la lettera!! Son cose che dispiacciono cedeste, Sig. Titolare Postale, poiché gravissimi danni possono derivarne. Noi pur vogliamo, come voi, che il Portalettere esercitasse una delle arti belle, qual è la Musica; ma il pubblico vuole che le lettere gli giungano a tempo. Chi sa di esservi in Corigliano il servizio di un portalettere, non va certamente a chiedere le sue corrispondente all'Uffizio postale.
Confidiamo pertanto che l'egregio Sig. Bonparola, Titolare Postale, scrupoloso ed esatto com'è nelle cose del suo ufficio, voglia convenientemente provvedere. Poiché, se il Portalettere è pagato dal Municipio, è il Titolare che deve sorvegliare all'esattezza del servizio, e far giungere alla Comunale Amministrazione i reclami del pubblico.
(Il Popolano n° 16 del 31 agosto 1883)
Igiene
Oh quante e quante volte sì toccò questa piaga!'Eppure, il trattarla fino a che lo specifico costante della pietra infernale non l'avrà portata sulla via della guarigione, non dovrà stancare, per quanto argomento stomachevole sia, la pazienza dei cortesi lettori.
Tornar sui grati profumi balsamici, che emanano dalla Porta S. Gennaro, dell'Architello o del Corso Garibaldi non torna più conto; perché, essendo un argomento tante volte trattato, bisogna ben convenire, giacché non ci si è dato riparo, che quegli olezzi riescono grati a chi dovrebbe, potrebbe provvedere e non provvede.
Le « Rampe di S. Antonio » non sono più rampe, perché, gloria in excelsìs Deo, furono, da impraticabili che erano, rese pianissime; ma, aihmé! forse perciò ci si può passare senza rischio di buscarsi una febbre miasmatica? o tuttomeno rivoltarsi tanto lo stomaco da dover ricorrere a passo di corsa al fernet Branca?
Fu una ispirazione il far costruire in due punti delle dette Rampe uno getto pubblico; essi avevano la loro portella che serrava ermeticamente e fino ad un certo punto funzionarono bene.
Lo spettacolo ributtante, che offrono presentemente quelle due bocche dì cloache, è spettacolo indescrivibile; una cosa simile non è stata, né potrà esser mai fedelmente descritta.
Forse che i pestilenziali effluvi di quelle bocche di Lete non arrivino al delicato naso di nessuno dei consiglieri? o che pure, a guisa della Porta S. Gennaro, dell'Architello e del Corso Garibaldi tramandano, non epidemiche esalazioni, ma soavi odori di rose e gelsomini? Giacché non si può dire: « I provvedimenti a chi toccano », diciamo dunque: I cementi al pubblico.
(Il Popolano n° 17 del 15 settembre 1883)
Cavalli a briglia sciolta!
Ricordiamo, se memoria ci assiste, che nel regolamento di pubblica sicurezza fra le altre disposizioni concernenti le vetture, i carri, i traini e le bestie da soma in città, vi sia pur
quella, che queste ultime debbansi nell'abitato condurre a mano e mai lasciarle andare, con la cavezza sulle groppe, come si costuma in Corigliano, in balìa di sé stessi. Come pure dovrebbe
essere vietato, e lo è, di spingere nell'abitato a corsa sfrenata, e senza scopo, le dette bestie, come vediamo, in tutte le feste particolarmente, cavalli, muli e asini affidati a ragazzi, i
quali col pretesto di condurle all'abbeveratoio, che è in piazza., notate, per mostrare lor valentia nel cavalcare, li fanno correre a rompicollo.
(Il Popolano n° 23 del 15 dicembre 1883)