Correva l'anno 1747
La morte di Agostino II Duca di Corigliano
Soldato coraggioso, politico accorto, imprenditore abile, Agostino II Saluzzo morì a Napoli all'età di 67 anni.
di Luigi Petrone
Quando Agostino Saluzzo, "un uomo principe, che i doveri dell'ordinario stato, e comune mantennesi adempiendo"1, muore l'8
marzo 1747 nel suo palazzo di piazza San Domenico a Napoli, è al sommo della sua fama.
Il solenne funerale viene celebrato davanti alla migliore nobiltà, napoletana e genovese, nella Chiesa di San Giorgio de' Genovesi. L'elogio funebre al Duca di Corigliano diventa l'occasione per tributare ad uno dei più influenti dignitari del regno di Napoli, Cavaliere della chiave d'oro e Regio Consigliere del Supremo Magistrato del Commercio, il doveroso riconoscimento.
La vita di Agostino Saluzzo, Duca di Corigliano, ricca di fascino e di avvenimenti, fu così audace che non avrebbe nulla da invidiare alle avventure di un qualche personaggio romanzesco uscito dalla penna di un grande scrittore. Agostino, figlio di Giacomo e nipote di Agostino il vecchio (1608-1700) primo Duca di Corigliano, nasce il 24 novembre 1680. E' soltanto un fanciullo di 4 anni quando il padre muore prematuramente (1648-1684). Il vecchio duca, in ragione della primogenitura, ha destinato il ducato di Corigliano al figlio Giacomo. Ma ora l'enorme patrimonio e le immense fortune di una delle più fiorenti famiglie forestiere del regno si ritrovavano, come in un oscuro gioco del destino, nuovamente nelle sue mani, nelle mani di un vecchio che vedeva tutte le sue fatiche destinate ad un incerto futuro.
Il giovane Agostino è affidato dal nonno allo zio Carlo Maria, abate della chiesa della Schiavonea, che si prende cura dell'educazione del nipote2. Ma il fato, che con lui era stato generoso, non lo abbandona e quando, muore il sabato santo del 10 aprile dell'anno 1700, il giovane nipote ha un'età adeguata per ereditare le sorti del casato e diventare così il nuovo duca, il secondo Duca di Corigliano.
Il suo esordio nella gestione dei rapporti con i territori confinanti avviene in maniera burrascosa. Contro i coloni albanesi di San Cosmo, San Demetrio e Macchia che, approfittando della morte del vecchio duca avevano seminato a terraggio3 senza autorizzazione nella tenuta feudale di San Mauro, ordina che tutti i raccolti siano distrutti intervenendo personalmente alle azioni4. Meno negoziatore del nonno paterno, Agostino juniore è irrequieto ed impulsivo, "dal carattere totalmente diverso da quello del nonno"5. Nello stesso tempo però si mostra sensibile e ben disposto a parlare con i lavoratori che dissentono dalle sue scelte6. A questo proposito le carte dell'Archivio Saluzzo di Corigliano sono una fonte di notevole interesse per conoscere storie e vicende, fuori del rigore dei registri contabili di Casa Saluzzo.
Condannato dalla Regia Udienza per le violenze compiute verso i coloni, subisce nel 1701 il sequestro di tutti i beni, sia di quelli feudali che di quelli burgensatici appartenenti al patrimonio di famiglia. Riesce ad ottenere abilmente il dissequestro dei beni ma, perché coinvolto nella congiura contro il Principe di Macchia, è costretto ad allontanarsi dal regno. Inizia la guerra di successione spagnola. Entra nelle armate imperiali e nel 1706, sotto le insegne del principe Eugenio di Savoia, partecipa alla liberazione di Torino assediata dalle truppe Francesi7.
Fatto ritorno in Calabria, nel 1708 sposa Paola di Bartolomeo Saluzzo dalla cui unione il 4 giugno 1709 nasce il primogenito Giacomo (1709-1780) che viene battezzato nella cappella di Sant'Agostino nel castello di Corigliano. Ma in questi primi anni ci appare ancora poco propenso a dedicarsi alla famiglia e all'amministrazione dei suoi vasti possedimenti.
Di carattere bellicoso, insofferente alle continue provocazioni dei coloni di Terranova istigati dal loro feudatario, reagisce armando, contro la volontà reale, "molta gente sua vassalla" per muovere contro il principe Spinelli. Molti Terranovesi sono trucidati. Anche i mercenari mandati in soccorso dalla città di Cosenza subiscono uguale sorte. Tratto in arresto è rinchiuso nel 1709 nel castello di Taranto. Ma è presto rimesso in libertà l'anno successivo. Di nuovo al servizio dei Savoia, nel 1712 lo ritroviamo ancora sui campi di guerra, di nuovo a fianco del principe Eugenio. Per il suo coraggio si distingue nella battaglia della Schelda tanto da meritare da parte del Principe i gradi di "Sergente generale di battaglia"8.
Un'inarrestabile ascesa
La pace di Utrecht e di Rastadt lascia la corona di Spagna a Filippo V ma il regno di Napoli, Milano, le Fiandre e lo stato dei Presidi passano agli Asburgo. Si rivela come uno dei più fedeli sudditi della casa imperiale austriaca. Comincia così un'inarrestabile ascesa. Il 9 novembre del 1726 per la sua fedeltà è insignito da Carlo VI d'Asburgo del titolo di Principe sul feudo di Santo Mauro con il diritto di poterlo tramandare ai suoi discendenti.
Le intemperanze dei primi anni sembrano oramai lontane. Ottenuto il pieno riconoscimento dall'aristocrazia partenopea, suggella le fortune politiche ed economiche acquistando nel 1732 il palazzo dei duchi di Limatola a Napoli, posto nei pressi di San Domenico Maggiore, che dall'allora prese a chiamarsi, come ancora è, Palazzo Corigliano.
Dopo il breve interregno austriaco, passato il regno ai Borbone, pur leale agli Asburgo giura fedeltà al nuovo Re, una scelta non facile che il Saluzzo seppe prendere con intelligenza e apertura. Il nuovo Sovrano per la sua leale condotta lo chiama accanto a se nominandolo Gentiluomo di Camera e Cavaliere della chiave d'oro. In segno di stima Carlo III, in viaggio verso Palermo, accetta l'accoglienza del duca nel suo castello di Corigliano dal 27 al 28 gennaio 17359.
Ma Agostino è anche un abile imprenditore. Organizza l'Azienda Ducale, la Ducal Camera, in sotto aziende agricole per dare maggior impulso alle filiere produttive del suo vasto patrimonio terriero, dalla cerealicoltura alla lavorazione della pasta di liquirizia, facendo di Corigliano uno dei più interessanti esempi di centro produttivo del regno. Sotto il suo ducato è avviata la prima fabbrica di liquirizia in Corigliano10. E' evidente che stiamo assistendo ad un mutamento culturale della classe feudale. Il feudo non più soltanto come fonte di reddito certo ma, anzitutto, come status symbol nel processo di riposizionamento nel sistema politico-istituzionale.
Sono questi gli anni in cui matura, nel superiore interesse del regno, il dovere di porsi responsabilmente al servizio del sovrano. Nel 1739, a riprova delle sue capacità imprenditoriali, è chiamato a Napoli dal Re che lo nomina Regio Consigliere del Supremo Magistrato del Commercio. L'istituzione nel 1739 del Magistrato del Commercio fu, infatti, tra i primi provvedimenti presi da Carlo III nel campo del commercio nel tentativo di avviare quel processo di industrializzazione tanto atteso. Ricopre con autorevolezza e competenza l'incarico svolgendo un'accurata relazione sull'organizzazione produttiva e sui problemi del mercato della seta, "la prima storia di questa manifattura nel regno"11.
La morte per Agostino Saluzzo giunge inattesa, colpito "da inaspettato male, quantunque in tutto il vigor delle sue membra, assalito"12. La notizia della sua malattia giunge a Corigliano come il colpo di un fulmine. Il Duca muore a Napoli all'età di 67 anni. L'annuncio crea stupore e inquietudine.
Secondo la sua volontà, il funerale si svolge nella Chiesa di San Giorgio de' Genovesi. Il panegirico è letto da uno dei predicatori più acclamati, il padre minimo Fra Gherardo De Angelis, estensore dell'orazione13. Il Duca è conosciutissimo a Napoli e non è facile trovare le parole adeguate. Ma Fra Gherardo è persona esperta e avveduta. La lettura dell'elogio ci manifesta subito la statura politica e umana di Agostino Saluzzo. Il duca di cui il frate ci parla è un uomo il cui "valore, e i suoi gravi costumi, si conservarono interi in mezzo alla gloria del secolo, e tra le morbidezze, e le temporali gioje, e i tesori temperatissimo Cavaliere fra tante delizie, e permessi piaceri, misericordioso uomo fra tante accresciute ricchezze"14. Ne decanta le virtù morali, ricorda le antichissime origini del casato, la fedeltà ai Sovrani e i meriti del primo Duca di Corigliano meritevole di aver sostenuto "nelle rivoluzioni entro il suo proprio Castello, i diritti di Filippo IV". Seppe condurre, continua il De Angelis, una vita severa e moralmente giusta rinunciando ai "più intensi diletti e delizie del mondo; quanto in quel tempo, ch'e' rimanendo nell'età sua più calda privo della consorte, e non curando più mai di altre nozze in vedovil castità si visse, sino al sessantesimo settimo anno suo tanto siamo agitati dall'incontentabile ardor de' piaceri, che varcando ogni prescritto segno, quelli sempre con tal veemenza cerchiamo, che par solo in loro aver noi la beatitudine"15. Il messaggio dell'oratore, evidentemente, è rivolto anche al nobile auditorio venuto al funerale, non sempre del tutto costumato all'inflessibile castità come il nostro Duca.
Ma per quanto in molti passi la figura del duca ci appaia vicina al racconto storico, non sempre l'illustre oratore seppe discostarsi dai tanti panegirici del tempo, oltremisura celebrativi e colmi di traboccanti virtù. Non riusciamo a credere così al duca che in alcuni tratti Fra Gherardo ci rappresenta, un uomo che "lasciò a' principi il trono, e l'impero, lasciò i traffici a' mercatanti, lasciò a' magistrati l'autorità, lasciò la spada a' soldati"16. Tuttavia, se questa immagine ci appare lontana da ciò che la storia narra, molti meriti raccolse in età avanzata. Certamente i suoi pareri e i suoi uffici, così vicini alla corona, erano tenuti in gran considerazione. "Qual Senato, qual concilio di Dotti scrive Fra Gherardo - non riverì, non lodò, la sua catoniana sapienza? ".
Gli ultimi anni li trascorse lontano da vanità ed eccessiva fierezza, dedicando parte del suo ultimo tempo e delle sue fortune ad opere benefiche al quale aveva destinato il "superfluo delle rendite immense". "Stabilì che dodici fanciulle ogni anno finché dureranno i suoi fondi, e le sue castella, avessero a ben collocarsi con dote onesta"17.
La lunga oratoria in onore del Duca trova, infine, il suo vero intento. Rendere al Duca meno amara la morte, il meritato elogio a chi fu lontano da " coloro, che straniando la mente dalla immarcescibile eredità sopra i cieli, ritrovan pace e diletto in mezzo alle spine di queste incerte dovizie"18.
Viene sepolto nella Chiesa di San Giorgio de' Genovesi nel tempio "ove riposte sieno le onorande sue ceneri sotto e'l ricco altare, che il vivente Ducaormai qui dentro prepara"19.
L'orazione funebre in onore del Duca rappresenta l'ultimo atto della sua storia, indiscusso protagonista, nel bene e nel male, della storia di Corigliano.
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1 G. De Angelis, Orazioni varie di Fr. Gherardo De Angelis Minimo, in Napoli MDCCL nella stamperia di Benedetto ed Ignazio Gessari, p.1.
2 L. F. Leo, a cura di, Archivio Saluzzo Duchi di Corigliano. Inventario. "Quaderni Coriglianesi 2", p.19.
3 I terraggi erano particolari contratti d'affitto dei terreni dove i fittavoli s'impegnavano a corrispondere al proprietario una determinata quantità di raccolto, di solito cereali, da 1 a 2 tomoli di raccolto per ogni tombolata (3.333 mq) di terreno messo a coltura.
4 C.Di Martino, Saluzzo Duchi di Corigliano in Beni Ambientali Architettonici e Culturali di un centro minore del Sud: Corigliano Calabro, a cura di Mario Candido, Abramo, Catanzaro 2002, p.185.
5 L. F. Leo, Archivio Saluzzo op. cit., p.19.
6 Archivio del Comune di Corigliano, Archivio Duchi Saluzzo, Copialettere anno 1717, affari diversi, vol.131.
7 C.Di Martino, Saluzzo Duchi di Coriglianoop.cit., pp.185-186.
8 Ibidem, p.186.
9 Archivio di Stato di Cosenza, Prot. Not.Misciagna D. (959), vol.7 (1740-1741), 1741, lu.6, cc.17r-18r. Si veda anche L.De Luca, Notizie sul Castello di Corigliano Calabro, Corigliano Calabro 2000, p.18.
10 In una controversia con il Principe di Lequile, suo fratello, Agostino informa che "stante la minima richiesta, che vi è di tal genere di robbe", fino al 1715 non si era mai lavorata la radice della liquirizia. E' soltanto dal 1717, come si comprende dalla corrispondenza inviata a Corigliano e a Livorno ai suoi agenti dal Duca, che la radice è abitualmente lavorata. Archivio di Stato di Napoli, Archivio Saluzzo di Corigliano, Volumi in pergamena n.20, Apprezzo De' Beni, si Feudali che Burgensatici del Stato di Corigliano per l'anno 1700, come per il 1720. Tavolato Gio. Batta Manna. ff. 115-116. Cfr. anche R.Merzario, Signori e contadini di Calabria. Corigliano Calabro dal XVI al XIX secolo, Giuffrè, Milano 1975, pp.49-50.
11 C.Di Martino, Saluzzo Duchi di Corigliano, op. cit. p.186. Qualche anno dopo, in sintonia con il nostro, il Grimaldi scriverà come il regno di Napoli fosse l'unico luogo dove la lavorazione della seta era esercitata ancora adoperando i vecchi sistemi quando un po' dovunque veniva utilizzato il metodo piemontese (D.Grimaldi, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio della seta del Regno di Napoli alle sue finanze scritte dal Marchese Domenico Grimaldi, Napoli 1780).
12 G. De Angelis, Orazioni varie, op.cit.