Correva l'anno 1743
In questa pagina riporto i dati del "Catasto Onciario" del 1743, riguardanti tutte le contrade (rioni) della città di Corigliano Calabro. Un grazie particolare, per avermi consentito l'elaborazione di questi dati sotto forma di grafici matematici, all'amico Giovanni de Rosis per la sua prestigiosa pubblicazione : Corigliano 1743.
Per una migliore lettura dei dati, vi consiglio di leggere le seguenti semplici note :
Fuochi |
Nuclei Familiari : Complesse : L'Estesa con la presenza di altri nuclei familiari(famiglie multiple) |
Appartamenti | Locali abitativi e non (ospitavano persone, animali, cose,...) |
Categorie sociali
Bovari | Custodi di buoi e di altri animali domiti |
Bracciali | Braccianti |
Caldarari | Stagnini |
Custode di neri | Custode di maiali |
Ferrari | Fabbri (Forgiari) |
Foresi | Contadini |
Magnifici | Notabili (nobili, dottori, notai...) |
Mannesi | Riparatori di carri(birocci) |
Merciari | Mercanti |
Pignatari | Vasai |
Sartori | Sarti |
Sciabacari | Riparatori(tiratori)di reti da pesca |
Tenente di Birri | Poliziotto (comandante) |
Vardari(Bardari) | Costruttori(riparatori) di basti da soma |
Cliccare su questi link per leggere i dati relativi alle Contrade :
Li Pignatari - Il Polveraro - S. Martino
Il Pozzillo - Le Furche - La Pigna
Il Cozzo della Castagnella - La Silica di Pisciotta
Vernuccio - L'Arco di Alessio - L'Olivella
La Ricella - Il Caforchio - Il Cozzo - Falcone
S.Pietro - Piazza del Muro Rotto
Il Fondaco - La Chiesiella - S.Maria - Porta dei Brandi - Risguardo - Palazzo del Principe
La Casa della Corte - La Giudecca - La Grecìa
I Serraturi (Spontone - Torretta) - Belvedere
Sotto la Badìa - S.Luca - S.Nicola
S.Venere - S.Basile - S.Andrea
Dati generali per tutte le contrade
Fuochi e abitanti
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I Mestieri dei Fuochi e degli abitanti
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Patrimonio zootecnico
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Patrimonio immobiliare
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N.B.
Da una verifica generale, ho notato qualche leggera discordanza dei dati pubblicati su questa pagina. E' mia intenzione in un prossimo futuro risolvere quanto appena detto.
Di seguito, riporto alcuni appunti di Arcangelo Liguori, che ha pubblicato, nella seconda metà degli anni ''40 del secolo scorso, sul quindicinale coriglianese Cor Bonum
Il Generale Catasto del Comune di Corigliano (1743)
Il Cancelliere Notaro don Celestino Costa, intinta la penna nel calamaio e un po' titubante sul nuovo lavoro, che andava ad intraprendere
scrisse il Nome del primo rivelante:
Antonio Maria Citrea, saponaro, di età sua di anni 36.
- Avete famiglia? domandò don Celestino
- Ho una sorella a carico che si chiama Teresa di anni 26.
E il Cancelliere scrisse di seguito il nome del rivelante:Teresa sua sorella di anni 26.
- Che cosa possedete?
- Ben poco e...
- Badate alla verità perché le provvisioni della Regia Camera Sommaria ordinano che le dichiarazioni siano rivedute dai Magnifici Deputati, da Regi Agrimensori e dagli Apprezzatori per la formazione del Catasto.
- Quanta gente, signor don Celestino, e quanti guai.
- Dunque dite dove abitate?
- In casa propria e bottega propria luogo detto Scinìa.
- Avete altri beni stabili?
- Una vigna loco detto Incapolirto che rende annui carlini 15; un vignale diruto con casella e palmento, che rende annui carlini 3, situato in luogo detto Gallica; una tenuta di castagne propria di detta Teresa, mia sorella, situata nel luogo detto Montalto, che rende annui ducati 9
- E quali pesi pagate?
- Pago per la casa dove abito al Convento del Carmine annui grana 55 per il luogo
- Che cosa vuol dire per il luogo? Ah! Si ho capito si dice "ratione loci"
- Mhe! scrivete come volete: pago per la bottega annui grana 15 alla Venerabile Primiceriale e Parrocchiale Chiesa di S. Giovanni Battista annui grana sette e mezzo per la vigna di Incapolirto alla venerabile ed insigne Badia di S. Maria del Patire; per lo vignale diruto annui carlini sei e mezzo alla Venerabile Arcipretale e Parrocchiale Chiesa di S. Maria della Piazza; per le castagne pago alla Badia del Patire annui grana dodici, e finalmente pago docati quattro al Venerabile Mnastero sotto l'invocazione e titolo di S. Chiara sino all'affrancazione del capitale di docati 50.
- Non c'è altro?
- Proprio niente altro, almeno che non ci fosse da pagare, come dicevano i nostri antenati, fino per tener la tesata sul collo.
- Potete tornare alla vostra bottega.
- E dite un po', don Celestino: la tassa sarà molta?
- Che fretta che avete, mastro Antonio: probabilmente l'onciaria verrà con l'anno nuovo.
Mastro Antonio Maria Citrea salutò ed uscì con l'impressione che tutte quelle domande fattegli ed alle quali aveva dovuto rispondere, lo avevano come denudato sotto gli occhi di don Celestino, il quale chi sa che pensava delle sue dichiarazioni, le quali, in fondo, non erano state troppo veritiere specie su quanto poteva essere il suo guadagno di saponaro.
"Che governo, mio Dio, e che Re...", pensava andando via, ma come se qualcuno dovesse sentire il suo pensiero, aggiunse, toccandosi il berretto, ad alta voce: "Che Dio guardi!"
Anche don Celestino quella mattina era distratto, ma la sua era una distrazione d'ufficio e cioè pensava come dare ordine al lavoro farraginoso a cui dava inizio; ad un certo punto gli parve d'aver risoluto la faccenda stabilendo, in pensier suo, di trascrivere i testanti a seconda dell'iniziale alfabetica del nome.
- Avanti, avanti, gridò ad un giovane che si affacciava dall'uscio semiaperto; come vi chiamate?
- Leonardo Monaco
- Avete famiglia e quanti anni avete?
- Ho la moglie che si chiama Vittoria Giordano; io ho 30 anni e mia moglie ne ha 23. stanno in casa con noi la sorella di mia moglie che ha 19 anni e si chiama Lucrezia ed è zitella, e la madre di mia moglie che si chiama Isabella Pellegrino.
Lo zelante don Celestino scrisse sotto ai nomi dei coniugi: "Lucrezia Giordano, vergine in capillis, di anni 19; Isabella Pellegrino, suocera di anni 45"
- Dove abitate?
Abitiamo in casa affittata e paghiamo a Marco Falcone carlini annui 14
- Che mestiere fate e cosa possedete?
- Non possediamo nulla ed io non ho nessun mestiere
Don Celestino guardò con una certa curiosità questo bel tomo che con tanta improntitudine denunziava il suo stato di ozioso professionale, e per essere alla pari, alla brutalità della denuncia scrisse, dopo il nome del rivelante: "senza arte e miserabile"
Ma poi si pentì di questo scatto cattivo e ad alleviare un po' le cose annotò: "non possiede beni di sorta alcuna, ma vive".
Ricordate il "chi son, che faccio e come vivo" della Bhoema?
C'è la differenza della musica e della notorietà, ma di umorismo ne possedeva - me lo perdonino gli illustri mani di Giacosa e di Illica - di più l'ignoto cancelliere don Celestino!
E di questo umorismo se ne doveva servire ad ogni piè sospinto in questo lavoro, a prima vista arido, ma in effetti triste, come triste è sempre questa nostra povera
umanità quando si vuole giudicarla e classificarla.
- Come vi chiamate?
- Teresa Orlando, moglie di Antonio Risafi di anni 35
- E vostro marito dov'è?
- Assente per delitto da molti anni
- Avete figli?
- Sì. Anna, di anni 10; Francesco di anni 7; Leonardo di anni 3; Felice di anni 2. Sto in casa locata al Pirainello.
- Avete detto assente da molti anni, e come fate ad avere...
Voleva dire figli di due anni, ma non finì la frase e si contentò di sorridere fermando con compiacenza lo sguardo sulla giovane e prosperosa Teresa, che anche lei sorrise, sorprendendo ed andando via.
Ma il sorriso di Teresa non scioglieva tutti gli imbrogli della situazione. Don Celestino pensava in quale gruppo doveva rubricare questa benedetta donna: fra i cittadini presenti e capofamiglia no, perché il marito era assente; fra le donne libere, no, perché il marito anche se assente, c'era; ed allora?
Don Celestino sorridendo questa volta all'idea che gli era balenata la annotò candidamente nella rubrica delle "vedove"
- Vi chiamate?
- Diana Grande, sono dell'Amantea ed ho 45 anni; tengo un figlio di nome Pasquale di anni 8; sto in casa locata nella contrada S. Andrea e pago carlini 5 all'anno agli eredi di Angiolo Isola.
Nome e cognome poetici aveva questa estera cacciatrice d'amore, ma a ben considerarla, parve a don Celestino che le mancasse la sfrontatezza delle donne di quel
mestiere, ed allora filosoficamente, non potendo variare la rubrica che le toccava "Donne Libere Seu Meretrici", scrisse a caratteri marcati "Non possiede beni di sorta alcuna, ma vive colle sue
proprie braccia".
E Diana andò via lasciando il posto ad una vecchierella che disse chiamarsi Agata Puglisi di anni 70, che viveva chiedendo l'elemosina.
Don Celestino paziente e preciso, trascrisse le indicazioni che fornì la vecchietta:
"Abita per carità in una casa detta il Fosso, senza pagare cosa alcuna a Giovan Battista
Mingrone".
Quando si trattò di rubricarla, un po' per ironia, un po' perché non trovava altro posto, lasciò la vecchia mendicante fra le "Donne Libere".
Infatti era libera, pensava il cancelliere, di crepare di fame quando, per grave età, le fossero venuti meno le forze per andare elemosinando.
[...]
... lì 27 novembre 1742, martedì mattina..... 11 ore battono all'orologio del Castello...
Pare l'inizio d'un capitolo di romanzo giallo, ed invece è la verità perché l'orologio, anche se proprio non è lo stesso orologio, che oggi suona sulla torre della Chiesa di S. Pietro, allora suonava sulla torre della Chiesa di S. Agostino del Castello. E siccome era comunale, i baroni Compagna, successori del Duca Saluzzo, per sollevarsi dalla servitù dell'addetto al caricamento dell'orologio, lo trasferirono nella torre attuale, costruita a loro spese e fornita di un macchinario più moderno.
Il servitore dell'Università, spalancato l'uscio della stanza di lavoro di don Celestino, si fa da parte per lasciare passare li Magnifici Deputati.
Don Celestino è amico personale di tutti costoro, ma poiché è un impiegato sa che un po' di lavoro di schiena non nuoce al suo impegno ed al suo mensile. E si alza dalla sedia per riverirli.
Il primo di questi egregi cittadini è don Nicolò Mezotero, un ricco scapolo di 45 anni, che vive nobilmente nel palazzo dell'Aquanova, ed ha in casa tre giovanissime cugine ed un figlio naturale, Giovanni, di anni 8, ed una serva di 18 anni.
Amante della gioventù questo signore Deputato, al contrario del fratello don Alessandro che vive da solo, con la figliuola diciottenne, donna Beatrice, delle altre due figliuole, donna Margherita è sposata a don Luca Perrone in Rossano e donna Vittoria, pure in Rossano, a don Tommaso Greco. Ed amministra il suffeudo seu feudo de Plana e Tabula detto di Arnaro; seu Cannata di cui il terzo però tocca anche a quello sciupone di don Nicolò.
L'altro terzo è dell'altro "nobil vivente" don Francesco, il quale è andato a sposarsi una napoletanina di 18 anni, donna Serafina De Marinis, ed è arrivato proprio in quei giorni con la sposa giovanetta, lui, uomo maturo di 43 anni. Però costui alla nobiltà ci tiene tanto e non più perché ad aumentare le rendite tiene in una delle sue botteghe all'Acquanova un negozio di "robbe commestibili, che si smaltiscono in Piazza e dove tiene impiegate ducati 120, e per la vendita tiene a Scipione Salimbeni a cui paga annui docati 36.
Il negozio doveva andar bene perché dopo 30 anni ancora è aperto al pubblico, gestito dal figlio don Domenico.
Il secondo deputato è don Baldassarre Sollazzo, bel giovane di 33 anni, molto ricco, gentiluomo, cioè appartenente al ceto, che, nell'ordinamento feudale, comprendeva, come dice il Macchiavelli, "quelli che oziosi vivono dei proventi delle loro possessioni senza alcuna cura o di coltivare o altra necessaria fatica per vivere".
Dopo il Duca era certo la persona più in vista: "la sua casa palazziata sita nella contrada detta di Santa Maria era quanto di più comodo potesse esservi in paese, ed il tenore di vita che vi conduceva con la moglie, donna Isabella Cherubino, ed i suoi sette figli era pari al censo, che costituiva il patrimonio di famiglia. Patrimonio che possiede unitamente con il capitano don Giovanni Battista, che convive con lui, e con l'altro zio don Felice Sollazzo, Vescovo di Bisignano.
A rendere più cospicue le rendite della famiglia contribuisce anche la madre, donna Erina Castriota, vedova di don Francesco Sollazzo, privilegiata napoletana "ratione nativitatis" e come tale gode di due suffeudi, quello dei Marianetti e quello dei Ciaccio Cardamo, per i quali paga annualmente alla camera Ducale l'Adoa di "ducati 11 e mezzo, 17 tomoli di grano e tomoli 5 e 2 stuppella di orzo". Contro una rendita annua di parecchie centinaia di ducati ed un "ius tabernae" a Cardamo, al presente diruta.
Come vasto è il suo censo, è anche vasta la sua parentela con le più nobili e ricche famiglie del paese: una zia donna Anna Castriota aveva sposato don Attilio Morgia, gentiluomo, sua sorella donna Caterina è la moglie del nobile vivente don Francesco Abenante, l'altra sorella zia ha sposato l'altro nobile don Francesco Luzzi, e donna Vittoria è la vedova di don ? De Rosis, la quale abita con don Giuseppe di anni 27, Scipione di anni 11 "in una casa palazziata sita nel luogo detto la Portella, giusta le vie pubbliche.
Ma la vera fortuna di don Baldassarre è lo zio don Felice, perché non solo è un dotto uomo, che ha scritto un poderoso volume sulla bolla Unigenitus di papa Clemente XI, che gli fruttò il Vescovato, ma gli consentì di stipulare un contratto con la Regia Camera Apostolica, che comprende una Grancia detta San Giosafatte, la quale è composta di un pezzo detto Sopravia e proprio avanti la Chiesa posta sotto il titolo e l'invocazione di San Giosafatte ed abitazione per il romito di moggia 142 oliveto ed incolto; di un altro pezzo detto il Timpone di Paladino di moggia 118, nel quale luogo detto volgarmente il Timpone vi è un querceto, che si dice il Comune nel quale la Grancia vi ha il ius arandi e la Magnifica Università di Corigliano ius pascendi, di cogliere e di battere le suddette querce; un altro pezzo di terre chiamato il Marinetti di tomolate 170; un altro loco detto la Fiumarella di tomolate 122 e di un altro in detto luogo della Fiumarella di moggi 170 e 2 stuppella: quali tutti pezzi sono tomolate 722 e 2 stuppella e per essi l'Ill.mo Rev.mo Monsignor don Felice paga un canone annuo di ducati 125 all'Abate Commendatario della detta Grancia di San Giosafatte, l'Eminentissimo Cardinale don Francesco Giudice.
Don Celestino pensava che con parenti e con tratti simili è facile andare avanti e molto avanti, come era stato comodo ammogliarsi a vent'anni mentre lui, pover'omo, avea dovuto aspettare i 40 sonati.
A distrarlo entrò in quel momento il terzo delegato, Domenico Astone, dottore d'ambo le leggi. Uomo acido per la professione che esercita e per le vicende di vita: vedovo da moltissimi anni convive col figlio Giuseppe, dottore anche lui in utroque , in casa locanda del Chierico don Alessandro De Rosis, nella contrada di Santa Maria della Piazza, con un servo della città di Tropea, un tal Domenico Vitetti, ed una serva, in omnia, certa Teresa Arena. Ha un'agiata posizione economica ma ciò non gli consentì di ammogliarsi e tanto meno di ammogliare il figlio, che ha raggiunto i 33 anni, e col quale si estinguerà la famiglia.
È il deputato che dà filo da torcere a tutti. La sua prima dichiarazione è una protesta scritta di suo pugno alla prima ed ultima pagina dell'Onciario e che dopo le firme di Giacomo Maratea Sindaco, Eliseo Capalbo eletto, Carlo Maria Terzi eletto, Giuseppe Casace eletto, e dopo quelle dei primi due Deputati Menzotero e Sollazzo, suona così: lo dottore Domenico Astone mi protesto che detto onciario firmato dal Sindaco ed Eletti non se ne debba tener conto, a ragione e causa che è contrario alle Istruzioni della Regia Camera della Sommaria, ma si debba attendere l'Orato discusso di detto Supremo Tribunale.
E quando si tratterà di rendere la sua dichiarazione di rendite farà annotare che dell'erba agreste che viene indebitamente, c. v., pascolata dal bestiame dell'Illustre Duca non si esige cosa veruna.
Veramente don Domenico ha detto con la forza ma ad attenuare la forza, don Celestino ha scritto abbreviando c.v. ed ha dato al Duca una aggettivazione di illustre che don Domenico non aveva nemmeno pensato.
Il quarto Deputato è lo speziale di medicina Giuseppe Giardino. Abita in casa propria sita nel luogo detto sotto la porta di Brandi, che poche altre case hanno, con giardinello intorno. Ha una Farmacia sita all'Acquanova.
Quinto Deputato Gennaro Pataro,maestro sartore che abita in casa propria, luogo detto S. Martino, un'agiatezza che gli consente di vivere
col suo mestiere e nel prestare denaro al 6 per cento.
Sesto e ultimo deputato è Santo Di Gaudio, vive in casa propria palazziata, loco detto Il Muro Rotto.
Si è ammogliato tardi ma non ha perduto tempo, egli conta 55 anni ed è vegeto e forte: la moglie Teresa Grisafi ne conta 28 ed ha già messo al mondo 6 figli. Possiede terre ed oliveti, una delle più numerose industrie armentizie ed un avviatissimo negozio di olio, che gli assicurano la ricchezza per sé ed i suoi. Sottoscrive come Gennaro Pataro col segno di croce di propria mano, ma è un uomo di molto buon senso, che merita la sua fortuna per l'attività e la maschia energia che lo distinguono da tutti. È forse per amore di contrasto che Santo Di Gaudio piace a don Celestino: vorrebbe anche lui sentire la pienezza della vita come la sente questo figlio dei campi, che ha paura solo dello zio e non soffre le ubbie sentimentali, che a lui amareggiano la vita quando pensa che ha 46 anni e la moglie appena 27.
Mancano alla seduta i tre deputati supplenti: Don Orazio Abenante, don Giuliano Drogo, dottore di ambo le leggi e Marcantonio Pisano, maestro ferraro e piccolo proprietario, i quali firmano a differenza degli altri deputati premettendo un "Io" marcatissimo al loro nome e cognome.
Don Orazio Abenante è discendente di una delle più antiche e nobili famiglie del posto e nella lunga vita di questa famiglia, che data da circa 6 secoli, vi sono stati uomini come Nicola Abenante, Missionario del Marocco, dove a Ceuta soffrì il supplizio, per cui venne santificato; Barnaba Abenante e tutta una serie di valorosi Capitani, Cavalieri Gerosolimitani di Governatori, di blasonati e che oggi formano illustre vanto della famiglia la quale è composta oltre che da don Orazio, dei fratelli don Francesco, sacerdote, don Gennaro, chierico, e di donna Teresa Lauro, loro madre e vedova di don Scipione Abenante.
Don Orazio è ammogliato con donna Lauro Riso e i sopraddetti, meno don Francesco convivono con lui: possiede oltre una vasta industria armentizia, il feudo di Volimento in territorio di Rossano. Al fratello don Francesco, vivente in questo o palazzo, è toccata la proprietà sita in questo territorio; convivono con lui, oltre la moglie, donna Caterina Sollazzo, dalla quale non ha avuto figli, le sorelle donna Ippolita e donna Lucrezia, mentre le altre quattro sono monache professe: due, suor Giuditta e suor Innocenza in questo Monastero di Santa Chiara; una terza, suor Veneranda nel Monastero delle Clarissi di Rossano, ed una quarta, suor Maria Maddalena, nel Monastero delle Clarisse di Cutro.
Don Giuliano Drogo, dottore di ambo le leggi, che ha la casa nella contrada della Santissima Trinità, vive alla meno peggio, di rendite modeste, che deve dividere con uno dei due generi Gian Paolo Pucciano da Crosia, mentre all'altro genero, don Paolo Toriaci da Rossano, era riuscito a dare la dote in contanti. Con don Giuliano si estinguerà il cognome.
Marco Antonio Pisano, maestro ferraro; gran brav'uomo, la cui reputazione parve scuotersi quando a 46 anni pensò di passare a matrimonio, scegliendo una ragazza quindicenne, Rosa Tordarello. Sembrava un colpo di testa anche della ragazza, invece il tempo dimostrò che il marito aveva valutato giustamente la capacità, e che la ragazza non aveva sognato invano un marito che la forgiasse come il suo Marantonio forgiava il ferro sull'incudine. Infatti, la felicità era venuta coi 4 figlioli, nati puntualmente uno ogni anno; confermata dalla suocera, quasi coetanea del genero, che aveva preferito di vivere con la figlia anziché col figlio Giuseppe; e col fatto più concreto che questa suocera ideale mietesse a contributo della nuova famiglia le rendite patrimoniali, tanto da permettere al genero di "concedere per gratitudine" al fratello prete, don Leonardo Pisano, l'abitazione gratuita di una sua casa sita Sopra i Canali dell'Acquanova.
Con Marcantonio era completa la Deputazione del Catasto che, quale organo complementare, aveva il suo cancelliere in don Celestino Costa, notaro, figlio del Giudice ad contractus don Domenico, vecchio di 76 anni ed oramai inabile.
La vita di don Celestino era, come lui stesso diceva, una tragedia con intermezzo da egloga: la tragedia era la sua situazione di famiglia: suo fratello Giovanni, chierico, guadagnava pochissimo, lui, come notaro, anche poco, il padre nulla; intanto c'era da pensare a 3 nipoti ed alla cognata, Caterina Chiarello, vedova di suo fratello Antonio, ed a loro stessi. Le magre rendite non bastavano, ed ecco perché lui aveva rinunciato a prendere moglie. Ma poi un bel giorno, anzi, per essere preciso, nella serata di Giovedì Santo del 1737, Amore gli tese il laccio e lui cadde prigioniero del ... Novo Miracol Gentile, che si chiamava Teresa De Rosis, una giovinetta di 22 anni, bella e procace come rosa che aspetta d'essere colta.
E intanto crebbe... Il Desio Che L'innamora che Poco Prezzando Quel Che Ogni Uom Desia e decise a chiederla in moglie a donna Lucrezia La Petra, che non titubò un istante a dare il suo consenso a questo matrimonio, che cominciava a risolvere un po' le sue imbrogliate faccende di casa. Le quali propriamente si presentavano così: il figlio Giacomo, senz'arte e senza parte, due ragazze belle ma con poca dote; un patrimonio modesto, che sarebbe bastato appena al figlio maschio per farlo "vivere civilmente".
Ed il matrimonio fu preparato a galoppo, così da soddisfare l'amorosa ansia, ogni dì crescente, di don Celestino, il quale non s'avvide che durante i preparativi, mai gli si parlò di dargli con la moglie un modesto appannaggio. Ma tanto a lui parve di essere più ricco dello stesso Illustre Duca quando nel settembre di quell'anno si portò a casa la bella moglie, che dopo un mese del celebrato matrimonio, in una confusione di linguaggio, da sembrare il cinguettio di uccellino e con un rossore, che l'accendeva il volto grazioso, gli confessò che forse era... incinta.
A don Celestino parve di impazzire per la gioia e furono tante le cose puerili che quel giorno disse e fece, che la stessa Teresa dovette richiamarlo all'ordine e rammentargli che un cliente lo aspettava alla Curia.
Bei tempi oramai passati perché dopo il primo figlio venne il secondo, poi il terzo e così dopo 5 anni 3 figli e la moglie ancora incinta...
Ma gli affari non erano migliorati, come aveva sperato, anzi erano andati di male in peggio, così che gli parve una sistemazione degna e sufficiente quando poté ottenere di aggiungere, alle sue
limitate attività professionali, quelle del Cancelliere della Deputazione del Catasto. Se il guadagno non era molto, era sempre qualche cosa di sicuro per soddisfare i numerosi bisogni. Perché il
povero don Celestino si era dovuto accollare anche le preoccupazioni della famiglia del cognato Giacomo, che, avendo una bella calligrafia, lo collocò nel suo ufficio, portando a fine l'amorosa
vicenda di sua cognata Camilla.
(Vari numeri del Cor Bonum 1946)