Chiesa Del Carmine
Denominazione :Chiesa del Carmine
Descrizione : Chiesa del Carmine, dedicata alla Santissima Annunziata, fu consacrata nel 1496 presso il convento dei Carmelitani . Presenta affreschi cinquecenteschi sulla facciata. L'interno a tre navate conserva sulla volta della navata centrale tre affreschi di Domenico Orangesi del 1744.
Indirizzo : Ponte Margherita
Così, nel 1884, su Crono-Istoria di Corigliano Calabro, Giuseppe Amato
scriveva :
La quarta è quella del Carmine, che ha un prospetto d'ordine Corinzio; vi sono tre porte d'ingresso, e sulla più grande si osservano ancora delle ornate di stile moresco. Il suo
interno è composto di una grande navata e da due mezze navate a destra ed a sinistra, con pilastri ed archi d' ordine Corinzio, e cappelle fra i pilastri. Fra gli ultimi pilastri
s'innalza un piano per tre gradini, formando un piazzale, sul quale, per altri tre gradini si solleva l'altare maggiore, dietro del quale sta il coro, pria bellissimo, ora tutto
guasto. Avea questa chiesa moltissime ricchezze in parati, argenti lavorati e reliquie. Aveva quadri bellissimi. Ora va in rovina. È ufficiata bene da un cappellano.
La chiesa del Carmine, o SS. Annunziata, sorge a fianco dell'ormai diruto convento dei Carmelitani, ai piedi del paese, vicino al ponte Margherita.
Costruita verso la fine del Quattrocento, viene consacrata nel 1493 dall'arcivescovo di Rossano, G. Battista de' Lagni. La facciata si distingue per essere una delle poche affrescate in Calabria.
Tre dipinti murali occupano le lunette degli archi che sovrastano i portali. Rappresentano, a partire da sinistra, Sant'Angelo Carmelitano, Madonna con Bambino, Sant'Alberto di Messina. I tre
affreschi sono datati al 1550. Altri tre affreschi, di cui uno quasi illegibile, sono venuti alla luce durante i lavori di restauro iniziati nel 1988. Collocati sul lato destro della facciata,
rappresentano un Vescovo (probabilmente S. Pier Tommasi) a figura intera, in atteggiamento benedicente, ed il Trionfo della Morte. Tutti sono databili alla prima metà del secolo XVI. Molto
interessante il portale centrale, caratterizzato da un arco ogivale decorato da angeli-musici e poggiante su due eleganti pilastri laterali. Bello il campanile di stile lombardo, in mattoni, con
coronamento decorato ad archetti e sormontato da una guglia. L'interno è formato da una grande navata e da due mezze navate a destra e a sinistra. Sulla volta della navata centrale un affresco in
tre riquadri di Domenico Oranges, raffigurante L'Eterno Padre Benedicente, L'Annunciazione e Due Angeli con lo stemma dell'Ordine dei Carmelitani (a. 1744) . Il convento dei Carmelitani viene
soppresso con decreto del 7.8.1809. La chiesa, fino all'apertura del Cimitero di Corigliano (1882) utilizzata per la sepoltura dei cadaveri, viene officiata da un cappellano nominato dal
consiglio comunale . Restaurata nel 1908, la chiesa attualmente è chiusa per problemi insorti durante i lavori di consolidamento del 1988. Numerose tele, non attribuite, si trovano presso la
Sovrintendenza alle Belle Arti di Cosenza per essere restaurate.
(E.Cumino)
la Chiesa del
Carmine(sec. XIV). La facciata si distingue per essere insolitamente affrescata, di cui restano pochi brani, e per la presenza di tre portali quattrocenteschi di stile
gotico-napoletano. Tre dipinti murali occupano le lunette degli archi che sovrastano i portali e rappresentano, a partire da sinistra, Sant’Angelo Carmelitano, Madonna con Bambino, San Alberto di
Messina. Altri tre affreschi, di cui uno quasi illeggibile, sono venuti alla luce durante i lavori di restauro iniziati nel 1988. Collocati sul lato destro della facciata, rappresentano un
Vescovo a figura intera, in atteggiamento benedicente, ed il Trionfo della morte. Tutti sono databili alla prima metà del secolo XVI. Molto interessante il portale centrale, caratterizzato da un
arco ogivale poggiante su due eleganti pilastri e decorato da angeli-musici. Anche se i rifacimenti tardobarocchi ne hanno modificato l’aspetto e alcuni interventi più recenti, sulle coperture
delle navate laterali, ne hanno alterato le proporzioni architettoniche la chiesa conserva intatto il suo fascino.La chiesa ha un probabile impianto trecentesco con aggiunte posteriori attestate
da un affresco nella lunetta del portale con stemma dell’arcivescovo di Rossano G. G. Lagni (1493-1509). Il campanile, recentemente restaurato, è a torre, ornato ad archetti e sormontato da una
caratteristica guglia. Attualmente la chiesa è chiusa. Numerose tele dopo i lavori di restauro della Sovrintendenza alle Belle Arti di Cosenza si trovano custodite presso la chiesa di
Sant’Antonio.
(La Pro Loco di Corigliano Calabro)
La scena rappresentata nel dipinto è quella dell'Annunciazione a Maria. L'autore (il cui nome è in basso a destra, tra varie sigle e l'anno in cui venne eseguito) si ispirò probabilmente alla Annunciazione del Caravaggio, che fu il primo a raffigurare l'Angelo in volo e non di fronte a Maria. I fiori in mano a Gabriele sono naturalmente gigli, a significare la purezza di Maria.(foto e commento di Carlo Caruso)
Il Campanile del Carmine
Una mirabile costruzione della fine del Quattrocento a Corigliano
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di Luigi Petrone
Tra gli esempi più piacevoli dell’architettura tardogotica calabrese, ampia e isolata, di forte riferimento urbanistico, poche chiese esercitano un fascino particolare come quella dei Carmelitani[1]. I monaci che la costruirono furono guidati da scelte funzionali (un luogo al riparo dalle acque del torrente che di là scorreva e sulla strada che conduceva i viandanti al borgo) e da altre esoteriche a noi sconosciute, come ignote restano le mani che la edificarono. Ma ciò che esercita un misterioso potere di attrazione non è la chiesa, pur meritevole di mille racconti, ma l’eleganza della sua torre campanaria.
Simbolo di unificazione spaziale tra città e territorio, non possiamo che restare ammirati dalla nobiltà di quest’opera e dalle sue armoniose linee. Un disegno del convento carmelitano, realizzato da Despréz per il Voyage pittoresque edito da Jean Claude Richard abate di Saint-Non (1727-1791), ci offre una bella immagine della torre campanaria[2]. Sotto un cielo ancora cupo di un temporale oramai lontano, le donne si affaccendano a stendere rapide il bucato. Sulla riva del torrente attraversato dalle ampie arcate di un ponte, ricco d’acque e navigato da barche, donne e uomini si adoperano nelle faccende quotidiane, alcune lavandaie sono intente a pulire i panni mentre più in là uomini si affaccendano attorno ad una grande caldara: è un’istantanea di vita coriglianese del settecento. Ai piedi del borgo oltre il fiume, isolato, appare il complesso dei Carmelitani con il campanile individuato in una posizione di rilievo, come si evince dalla cura grafica con cui è descritta la sua architettura. Sullo sfondo altre architetture, il colle urbico nella sua immagine di borgo medievale e, più oltre, la collina alberata dei Conventuali con la chiesa cupolata.
Attraverso la vecchia sacrestia della chiesa, sotto gli sguardi severi di tre antichi personaggi carmelitani riaffiorati dallo scialbo del tempo, una cancellata di ferro introduce all’interno della torre che, nonostante la scarsità di aperture lucifere, si presenta alquanto luminoso. La mole del campanile, infrequente nell’area per dimensioni perimetrali e per robustezza (ampia 4,50 m. per lato), si pone come tra le più alte del territorio. Se consideriamo che fu costruito per una chiesa del suburbio (ma l’edificio al quale appartiene è uno dei più ampi della città), questo manufatto rappresenta la torre più grande del circondario. Il complesso dei Carmelitani venne costruito a ridosso del borgo, fuori e distante dai primi apprestamenti difensivi della cinta muraria che correva più in alto. Se è vero che la torre campanaria di questa chiesa «sia per lo stato politico della città (feudo) sia per la dislocazione extraurbana del complesso è da vedersi, anche funzionalmente, …senza relazione alcuna con il governo della città» [3], non si può del tutto escludere una sua funzione nell’ambito del piano difensivo del borgo. La svettante struttura realizzata in muratura mista, l’aspetto ferrigno (aperta solo da semplici e rade feritoie che avevano la funzione di illuminare la salita agli spazi sommitali), quasi una sorte di torre-fortezza che si apre su una vista molto ampia e il lungo cavedio percorso da una scala in muratura, sono tipici di una struttura da difesa che, in caso di necessità, poteva essere utilizzata anche come torre d’avvistamento contro le rovinose sortite dei saraceni. Del resto il nostro presenta un aspetto più consono ad una torre fortificata che ad una campanaria, come dimostrano l’assenza di vere e proprie aperture e la scala interna con rampe in muratura risvoltanti le pareti (per resistere agli incendi attivabili dal basso, temibile tecnica di attacco per questi manufatti), che consentono ad una sola persona il passaggio, caratteristiche che denotano una funzione di difesa che per questo campanile dev’essere stata pensata.
La torre quadrata, che diventa ottagona nel coronamento della guglia, s’innalza maestosa a ridosso dell’abside in asse alla navata laterale di sinistra. Fu costruita probabilmente tra la fine del sec XV e l’inizio del secolo successivo quantunque mostri nel coronamento ad archetti e nella cuspide poligonale che ne conclude la cella, elementi connotativi per una datazione più certa. Non ci è pervenuto il nome del mastro d’opera che disegnò e costruì questa torre, del magister fabrice, ma certamente furono mani abili quelle che lavorarono al servizio dei Carmelitani. Le maestranze - forse gli stessi frati - costruirono un altissimo corpo che giunge a sfiorare alla cima del pinnacolo, all’incrocio dei venti, i 30 metri di altezza che potevano essere di più come lascia supporre la brusca interruzione dell’ultima serie di riquadri lasciati a metà in corrispondenza del piano d’imposta della cella campanaria (che denota un improvviso mutamento nella decisione delle misure finali da dare alla torre), progettata per essere più elevata.
La sua costruzione costituì un momento fortemente innovativo dal punto di vista artistico. Con una soluzione decorativa che non trova riscontri nel territorio, tutta la superficie sino alla cella è segnata all’esterno da una continua ed interrotta riquadratura di dodici file di quattro quadrati per ogni lato che, ad imitazione di un liscio bugnato, esalta la semplicità della forma del campanile in una sorta di moltiplicazione di lesene con un singolare gioco cromatico che sottolinea la continuità dell’elemento verticale accentuandone lo slancio ascensionale. La regolarità dei 192 riquadri della partitura esterna, realizzati in laterizio intonacato, segnata solo da fori pontieri (entro cui furono ancorati i ponteggi di legno necessari ad innalzare la torre), spinge a rivolgere l’interesse visivo verso la cella, l’elemento più importante di ogni campanile e non già solo per l’uso di diverso materiale «scelta (forse motivata, ad inizio, dall’intenzione di raggiungere quegli aspetti peculiari che oggi noi leggiamo come conseguenze di questa opposizione) che determina le caratteristiche proprie dell’ultimo livello, per molti versi, se vogliamo, antitetico rispetto a quelle del livello sottostante» [4]. Ciò che caratterizza questa torre ad ogni modo, non è tanto il tessuto costitutivo ma l’importanza espressiva assegnata non solo alla cella ma a tutto l’insieme, ricco di attenzioni formali e di elementi che sottendono ad un preciso disegno e ad un’organizzazione di cantiere di notevole professionalità.
Aperta su ciascun lato da una finestra centinata a sesto rialzato con arco a doppia ghiera scalare, affiancata da monofore cieche ad imitazione di una trifora solo in parte lasciata aperta[5], l’ampia cella interrompe il ritmo ascensionale della torre. L’esiguità dei suoi spigoli angolari, altrimenti insufficienti ad assolvere alle esigenze portanti, lascia intendere che i fornici minori, rientranti rispetto alla superficie muraria, furono concepiti per rimanere chiusi (come giustifica altresì la presenza di corsi di mattoni tra loro ortogonali, realizzati all’altezza dell’imposta dell’arco e in asse delle loro chiavi, con evidente funzione di concatenare e chiudere gli stessi angoli), senza rinunciare comunque a svolgere una funzione estetica quando, sfruttando i contrasti chiaroscurali propri delle zone d’ombra, lasciano immaginare -osservati in lontananza - il disegno di una sorta di trifora a serliana.
Ma il gusto e l’abilità dei costruttori non si esaurirono qui. L’articolazione e l’armonia della parte terminale della cella movimentata da una serie di nicchie cieche rivela, infatti, una personalità di indiscusse capacità, come l’uso sapiente del cotto che ben documenta quelle doti di manualità e d’impiego suggerite da un’esperienza maturata nel tempo. Immediatamente al di sotto dell’ultimo cornicione, la cella è infatti conclusa da un coronamento di sei archetti rientranti a sesto lievemente acuto «dei quali si segnalano quelli posti alle estremità per la singolare giacitura della retrostante struttura muraria di piedritto posta a 45° rispetto agli assi ortogonali del manufatto per rendersi collaborante agli archetti d’angolo posti su piani perpendicolari»[6], espressione di un gusto ancora influenzato dalle forme e dalle proporzioni del romanico in cui gli archetti pensili appaiono qui trasformati in una loggetta dai profondi fornici. Ma l’elemento di maggior caratterizzazione che conclude il risalto alla sommità e che contribuisce a rendere più slanciata una costruzione peraltro elevata, è la guglia, una cuspide a base ottagonale realizzata anch’essa in laterizio, formata da otto lati poggianti su un basso trapezio. L’impaginazione della tessitura muraria e l’articolazione con le strutture situate al di sotto, manifestano un interesse dei costruttori orientato nella qualificazione estetica della parte emergente volutamente lasciata a vista. Così come il linguaggio architettonico che presiede alla forma dell’edificio, rivela un chiaro simbolismo dei numeri e delle forme propri del lessico cristiano tardo medioevale. Situato sul fianco meridionale della chiesa, indipendente ma direttamente collegato ad essa, nel suo significato nascosto esso riassume emblematicamente nell’idea di una chiesa turrita, una “difesa materiale” che si continua con quella di una “difesa spirituale”. Se la triplice archeggiatura che segna ciascun lato della cella rappresenta il mistero trinitario, la guglia piramidale dalla forma ottagonale sta a significare il mistero della resurrezione e quello della rinascita, come ricordano le prime fonti battesimali.
Ma vi è di più. Nella sua canonica ripartizione in fusto, cella e cuspide, il campanile è definito da una sovrapposizione di forme e volumi diversi non solo nella funzione ma anche nel significato espresso dal contenuto simbolico. Analizzando il disegno della parte conclusiva si distingue una cella a base quadrata sormontata da un basso trapezio, su cui s’innesta una cuspide di otto lati. Nel linguaggio proprio del simbolismo cristiano la pianta quadrata della torre identifica, in un universo virtuale, la terra[7], il trapezio quadrangolare l’asse cosmico, la terminazione a cono ottagonale concluso dalla sfera rappresenta la volta celeste, mentre il coronamento a sei archetti che sottende al tutto, simboleggia la perfezione e il compimento dell’universo (i sei giorni della creazione). Nel suo slancio verso l’alto, nell’idea di chi costruì il campanile dei Carmelitani, esso doveva rappresentare dunque l’axis mundi, l’asse verticale che collega terra e cielo, che dal centro della terra conduce a quello del cielo e che unisce il mondo umano con quello divino, come la campana comunicazione tra uomini e uomini, tra uomini e Dio, tra terra e cielo[8].
La torre carmelitana, ponendosi come elemento di rapporto e di unione col paesaggio, costituisce un’opera senza uguali nel panorama coriglianese per l’equilibrio dei volumi che lo compongono e per il disegno nuovo, un unicum nell’architettura di quest’area calabrese. Esso chiude un’epoca ma rimane ancora oggi come un tempo, dopo il castello, l’emergenza più cospicua della città tardomedievale[9].
(Estratto da: Luigi Petrone, “Campanili e campane di Corigliano. L’architettura della città e lo spazio sonoro”, “Il serratore” 1999)
[1] G. Leone, La facciata del Carmine, “Il serratore”, IV (1991), 19.
[2] Jean-Claude Richard de Saint-Non, Voyage Pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile. Troisiéme volume, tav.48, Paris 1783.
[3] P.P.Balbo, A.Bianchi, F.Cervellini, F.d’Orsi Villani, M.Giovannini, Per un Atlante della Calabria. Territorio, insediamenti storici, manufatti architettonici, Roma 1993, p.522.
[4] Ibidem, p.523.
[5] La monofora meridionale, per la necessità di sistemarvi campane di dimensioni minori, si presenta parzialmente bipartita con un muretto realizzato successivamente per consentire la posa dei mozzi di due campane. L’antica sfera che conclude il campanile, sulla quale è fissata a mo’ di banderuola la sagoma di un angelo (forse l’arcangelo Gabriele), è stata rifatta in occasione del restauro della torre nel 1994.
[6] P.P.Balbo, A.Bianchi, F.Cervellini, F. d’Orsi Villani, M.Giovannini, Per un Atlante della Calabria… op.cit., p.523.
[7] Il quattro è il simbolo della terra mentre il tre, con il suo richiamo al mistero trinitario, rappresenta invece il numero della perfezione (Cfr. O. Beighbeder, Lessico dei simboli medievali, Milano 1994, p.47; G.de Champeaux, I simboli del Medioevo, Milano 1992).
[8] AA.VV. I simboli del Medio Evo, Milano 1984, p.462.
[9] All’interno di esso, a metà percorso salendo verso la cella, una modesta iscrizione ci ricorda che fu «restaurato con gli avnzi [sic]delle offerte dei fedeli nella festività del 16 luglio 1944». Dopo il lontano intervento effettuato negli anni Quaranta del nostro secolo (ma non dovette trattarsi di grandi lavori se questo fu «restaurato con gli av[a]nzi delle offerte dei fedeli»), è stato oggetto di un nuovo cantiere motivato da infiltrazioni d’acqua che mal drenati avevano prodotti cedimenti alle fondamenta. I caratteri stilistici e la sua bellezza senza fine che sembravano abbandonati all’incuria del tempo, sono stati ora restituiti da un sapiente e generale restauro effettuato grazie all’iniziativa privata nel 1994.
Il 1903, viene nominato parroco il rev. D. Michelangelo Garasto.
Per leggere il breve articolo, leggi la terza pagina de il Popolano n. 6 del 4 giugno 1903
Per conoscere lo stato di questa chiesa nel 1908, vi suggerisco di leggere la terza pagina de "Il Popolano" n. 22 del 1908, cliccando qui
Per un'altra visita virtuale di questa chiesa, basta un click qui